Pia Caroselli, il suo cognome da nubile, nasce a Sulmona, in Abruzzo, il 29 Gennaio 1916 ed è l’ultima di sei fratelli e sorelle; la sua è una famiglia umile che entra a far parte della medio - bassa borghesia grazie ad alcuni investimenti nel campo delle costruzioni edili. La madre, molto religiosa, le impartisce la sua prima educazione, rigida e conservatrice, imponendole, in seguito, di frequentare una scuola cattolica gestita da religiose. La ragazza dimostra fin da subito un temperamento passionale intervallato da frequenti sbalzi d’umore difficilmente controllabili, ama trascorrere il tempo in solitudine scrivendo poesie d’amore e fantasticando, fra le pagine dei romanzi, di amori platonici e sofferti.

Durante una vacanza a Cortina D’Ampezzo insieme alla madre, Pia, all’età di ventun’anni, conosce e ammalia con la sua bellezza il conte Lamberto Bellentani, industriale quarantenne con un’ingente conto in banca, a cui la mano di Pia viene concessa senza alcuna opposizione avendo, i genitori della ragazza, una così facoltosa opportunità.

I due si sposano il 15 Luglio 1938 e conducono, con le loro due bambine Stefania e Flavia, una serena esistenza a Reggio Emilia e a Bologna.

Due anni dopo, ad un gala organizzato all’Hotel Des Bains di Venezia, avviene l’incontro con Carlo Sacchi, industriale della seta sposato con un’ ex ballerina viennese, padre di tre bellissime bambine e amante di numerose donne.

I rapporti fra le due famiglie, quella dei Bellentani e quella dei Sacchi, s’infittiscono quando, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quest’ultimi si trasferiscono a Cernobbio e Pia stringe amicizia con la sorella di Carlo, Ada Mantero Sacchi.

Distrutto dal dolore per la perdita di una delle sue figlie, Carlo, trova conforto, nel fisico e nello spirito, fra le braccia della contessa Bellentani, paziente e amorevole, come dimostrano queste poche righe estratte da una missiva dell’epoca:

“Tu hai suscitato in me sensazioni mai conosciute, risvegliato sensazioni nuove, hai sconvolto il mio cuore e i miei sensi: mi hai fatto conoscere quello che si chiama amore.”

Così, mentre Pia si concede totalmente a Carlo immersa in un vortice di emozioni nuove e coinvolgenti, lui si trascina da una donna all’altra fino all’entrata in scena di Sandra Guidi, detta Mimì, momentanea fiamma di un Sacchi incapace di mettere la parola fine al rapporto con Pia.

Furente, ferita nell’orgoglio e livida di gelosia, la contessa tenta addirittura il suicidio gettandosi, a bordo di una motoretta, sotto le ruote dell’auto dell’amante. Carlo sterza bruscamente, smonta e aggredisce verbalmente la donna, colpevole di avergli ammaccato la sua lussuosa macchina sportiva.  Si susseguono lettere, inviti e richieste d’incontri da parte di Pia che perseguita, instancabile, l’uomo.

 

La sera del 15 Settembre, alla sfilata di presentazione della collezione inverno ’48- ’49 della sarta milanese Biki, è presente tutta l’alta società lombarda  e una nutrita schiera di giornalisti e reporter, tra cui Elsa Haertter per la rivista “Epoca”.

La contessa sembra felice, sorride agli amici, balla e interloquisce.

Pochi attimi prima della mezzanotte Lamberto manifesta alla moglie il desiderio di rincasare ricordandole la promessa di non far tardi ma, rimbeccati dagli amici, i due coniugi desistono e decidono di rimanere. Due ore più tardi il marito di Pia rinnova, alla consorte, l’invito a rientrare alla loro abitazione. Pia si reca, allora, al guardaroba e si fa riconsegnare il pullover e la rivoltella del compagno. Tornata al tavolo e, poggiati gli oggetti su di una sedia, acconsente a un ultimo giro di valzer roteando felice in una sala resa suggestiva dalle luci soffuse e dal suono dell’orchestra.

Al termine del ballo la contessa Bellentani indossa la sua pelliccia d’ermellino, raccoglie gli effetti del marito e scambia poche, concise parole con Carlo Sacchi; indietreggia, estrae l’arma e spara.

La confusione è totale. Carlo è a terra, bocconi, la mano stretta sul cuore; la donna rivolge l’arma contro se stessa, preme il grilletto e urla:

“Non spara più! Non spara più!”  

Quello che uccide Sacchi è l’unico colpo in canna.

La nobildonna viene arrestata e condotta al carcere di San Donnino a Como, raccontando agli inquirenti, smentendo quindi l’ipotesi di un incidente, cosa lei e Sacchi si sarebbero detti pochi istanti prima dell’omicidio.

- Be', che cosa vuoi ancora, che ti prende?

- Nulla, ma stavolta è finita davvero, puoi credermi…

- Che cosa intendi dire?

- Che ti posso uccidere. Ho qui la pistola.

- I soliti romanzi a fumetti di voi donne; i soliti terroni spacconi.

Il 4 Marzo 1952, alla Corte d’Assise di Como, inizia il processo. Alla difesa l’avvocato Angelo Luzzani.  

La prima perizia psichiatrica effettuata sull’omicida dal Dottor Filippo Saporito, medico del manicomio criminale in cui Pia è rinchiusa, rivela la presenza di un disturbo ereditario caratterizzato da annebbiamento e turbamento, mentre la contro perizia guidata dal Dottor Petrù sostiene la semi infermità mentale.

Il 12 Marzo la sentenza è unanime. Pia viene condannata a dieci anni di reclusione, in seguito ridotti a sette, di cui tre condonati e tre da scontare presso una casa di cura.

Pia Bellentani riceve la grazia dal Presedente della Repubblica il 23 Dicembre 1955 e lascia l’ospedale psichiatrico di Pozzuoli con sei mesi d’anticipo.

Una berlina nera, circondata da un nugolo di giornalisti e fotografi, attende la contessa all’uscita del penitenziario, elegante, fiera e vedova. Trasferitosi, infatti, a Montecarlo per sfuggire allo scandalo, il conte Bellentani muore a pochi giorni dalla liberazione di Pia.

Forse pentita o forse semplicemente per mettersi l’animo in pace e riscattare in un qualche modo la sua coscienza, così mormorano le voci,  Pia dichiara ai giornalisti di voler stendere le sue memorie e devolvere il ricavato alle figlie di Sacchi, guadagnandoci, di riflesso, una querela a suo carico da parte della moglie della vittima.