Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente. 

Scrivo solitamente al mattino presto, in un luogo dove posso essere isolato e libero di spaziare con la mente. Mi serve per potermi immergere con la fantasia nei luoghi del romanzo e indossare i panni di ciascun personaggio. Cerco di immedesimarmi nella loro psiche, anche quando hanno caratteri completamente diversi dal mio, per rendere plausibili i loro comportamenti. In particolare, nel caso di “Quattro di coppia”, le psicologie dei quattro protagonisti sono molto differenti l’una dall’altra; le loro vite, le loro abitudini, li portano nel tempo ad essere sempre più diversi tra loro, che da ragazzi erano invece come un'unica persona. Non a caso, crescendo d’età sono portati ad abbandonare la barca lunga, dove è necessario “l’assieme”, ossia la sintonia dell’equipaggio, per optare verso barche sempre più corte. Segno di una vita che, invecchiando, ci porta sempre più ad isolarci.

Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini? 

Sia in “La strantuliata” che in “Quattro di coppia”, conosco bene sia le vittime che gli assassini. Questi ultimi non sono mai dei criminali efferati, ma spesso sono delle persone normali, che qualcosa ha trasformato in omicidi. Così come le vittime non sono mai, fino in fondo, vittime. Si tratta, in entrambi in casi, di persone normalissime che qualcosa, un fatto imprevedibile (una strantuliata verrebbe da dire) trasforma, tirando fuori la parte oscura che, forse, alberga nell’animo di ciascuno di noi.

Qual è il tuo modus operandi? 

Parto sempre dalla costruzione della struttura del romanzo, dello schema. Dopo aver definito il percorso che seguirò, comincio a scrivere i singoli capitoli. Nel caso di “Quattro di coppia”, in particolare, ho immaginato che la storia si sviluppasse come una gara di canottaggio, divisa in quattro fasi: partenza, allungo, al passo, serrate. Queste quattro fasi sono simbolicamente corrispondenti alle stagioni della vita, della crescita dei personaggi. Da ragazzi si muovono dai blocchi di partenza mettendo il massimo della forza, perché da fermi devono riuscire a mettersi in movimento. Poi si accelera al massimo, per staccarsi dai propri coetanei, emergendo dalla massa e trovando un proprio posto nel mondo. Successivamente, avendo già realizzato il massimo sforzo, si cerca di rallentare, prendere respiro, godere un minimo della posizione raggiunta per prepararsi al rush finale, quando si sa che manca poco tempo al gran finale e che bisogna dare il massimo per arrivare al traguardo. Inoltre, il romanzo è scritto proprio come gareggia un canottiere, arrivando alla fine di spalle e con gli occhi puntati alla partenza.

Chi sono i tuoi complici? 

Chiunque. Sono solito annotare idee, frasi, spunti che mi vengono dalla vita quotidiana, dai miei familiari, dagli amici, dai colleghi di lavoro. Li conservo in magazzino e li tiro fuori al momento di scrivere. Mi è capitato spesso di trovarmi davanti a persone mie conoscenti che si sono identificate, almeno parzialmente, nei personaggi. E, forse, avevano ragione.

Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla! 

Con mia grande sorpresa, ho ricevuto lettere e messaggi social dai miei lettori. I lettori di gialli sono molto attenti, anche a dettagli minuziosi. È capitato per “La strantuliata” di raccogliere osservazioni davvero interessanti e utili. Nel caso di “Quattro di coppia” ho cercato di stare molto attento ai dettagli, perché i lettori sono scrupolosi. In generale, mi fa molto piacere riscontrare che ai miei lettori piacciono le stesse cose che apprezzo io nella storia.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere? 

Non ho un messaggio da dare. Non credo che il compito dell’autore sia quello di “dare messaggi”. Quanto meno non tocca a lui svelarli. Ciò non vuol dire che nei miei romanzi non vi siano tanti messaggi subliminali. Ma il compito del lettore è proprio quello di rinvenirli.