Dove siete quando scrivete? Sia fisicamente che mentalmente.

Raimondo: Fisicamente le idee mi vengono di notte, le annoto al mattino in bagno, le sviluppo al tavolino del bar di fronte casa nella magica Ortigia sorseggiando un caffè. Lavoro alla stesura delle pagine preferibilmente durante l'estate in campagna. Uso la penna per gli appunti veloci e il pc per il resto. Mentalmente sono discontinuo: giorni fecondi e produttivi e interi periodi di blocco dello scrittore.

Luca: Fisicamente ho bisogno di uno spazio tranquillo e del mio pc, non sono tipo che scrive in bar, parchi o altri luoghi pubblici, per me la scrittura è una fatica immane e ho bisogno della massima concentrazione e tranquillità, che di solito trovo soltanto nel mio studio e nell’ambiente digitale del mio pc. Mentalmente, cerco di immergermi nella storia e di capire la vita e le prospettive dei personaggi, per lo più ispirati a persone reali, cercando di comprenderne motivazioni e interiorità, allo scopo di costruire una narrazione convincente e autentica.

Come scegliete le vostre vittime, e i vostri assassini?

Raimondo: Nel variegato mondo che mi circonda ci sono sia assassini che vittime designate, poi le cronache quotidiane offrono a piene mani spunti per storie misteriose e terrificanti (le mie preferite) o per intrecci polizieschi non sempre condotti a buon fine dagli inquirenti. Il male è presente nella società, oggi come sempre, per il bene spesso non siamo attrezzati.

Luca: In genere, cerco di creare personaggi che possano rappresentare una varietà di sfumature psicologiche e comportamentali. Nella scelta delle vittime, cerco di creare una loro connessione significativa con il protagonista o con altri personaggi chiave della storia, in modo che la loro morte possa avere un impatto profondo sulla trama e sui personaggi stessi. L'assassino rappresenta un simbolo del male o dell'oscurità, e attraverso di lui cerco di esplorare tematiche più profonde come la psicologia umana, la morale e la giustizia. Il mio obiettivo è quello di creare una storia che offra riflessioni su tematiche universali e profonde senza annoiare.

Qual è il vostro modus operandi?

Raimondo: Del mio scrivere ho già detto, aggiungo che amo le short stories. Il racconto è un modo di intendere la scrittura come libertà dallo sviluppo di una trama, tipico del romanzo. Risulta quindi collocabile in un’area di confine, di ibridazione tra generi letterari. Questa grande libertà che la prosa breve porta con sé mi permette quindi di concentrarmi su ciò che più mi interessa, e cioè la narrazione di frammenti di vita, di scampoli della memoria, la descrizione puntuale del dettaglio, di tutto ciò che appare marginale e secondario, ma che in realtà è profondamente significativo. Brevi storie che, a volte, hanno un tessuto complesso ma gestito in una sintesi linguistica e narrativa, altre volte esprimono sentimenti di una immediatezza che si condensa in una espressione, in uno sguardo, in un atteggiamento.

Luca: Non scrivo spesso, a volte non scrivo nulla per mesi. Preferisco accumulare le riflessioni, le osservazioni e le letture, finché non sento l’urgenza di creare un racconto o un romanzo. E anche a quel punto, non comincio subito a scrivere come un fiume in piena, preferisco soppesare tutti gli aspetti della storia che ho in mente. Soltanto quando la sento matura, mi siedo a scrivere e a quel punto la redazione materiale è una rapida formalità. Quando scrivo “a quattro mani” è tutto più complesso (oltre che con mio padre, ho scritto due romanzi anche con Joe Schittino), ma anche più affascinante, perché la storia che ho in mente deve armonizzarsi con il punto di vista del partner letterario e quindi alcuni aspetti di quella storia sono misteriosi e imprevedibili anche per me, ed è questo il bello: sono un autore ma, al tempo stesso, conservo la meraviglia del lettore quando s’imbatte in qualcosa di totalmente nuovo e inaspettato.

Chi sono i vostri complici?

Raimondo: Non ho complici, sono un lupo solitario, a parte le collaborazioni con Luca che fortunatamente ha ereditato le mie stesse passioni, sviluppandole al meglio, come è giusto che avvenga per le giovani generazioni nella scrittura creativa come negli altri campi del sapere. Mi soccorrono anni di letture e migliaia di autori frequentati attraverso le loro pagine, a partire dai miei fondamentali Jack London, John Steinbeck, Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Giorgio Scerbanenco, Ernest Hemingway (loro si complici e ispiratori).

Luca: Sostanzialmente sono tre:  mio padre, con cui la letteratura è sempre stato il principale argomento di conversazione e che è stato il mio primo “editor” quando ho cominciato a scrivere; il già citato Joe Schittino, un geniale musicista che mi ha insegnato cosa vuol dire sperimentare, osare e andare oltre il banale e il dejà vu; infine, Giuseppe Maresca, con cui da anni curo antologie di racconti e con cui dirigo la collana “Demoni meridiani” per l’editore Algra, dedicata alla letteratura fantastica e horror.

Che rapporti avete con i vostri lettori e le vostre lettrici? Avanti, parlate!

Raimondo: Quando ero più giovane cercavo di avere un "buon rapporto" con le lettrici, ora nell'età vetusta mi relaziono con lettori di ogni genere concentrandomi sulla "captatio benevolentiae" dell'élite dei frequentatori di librerie.

Luca: Cerco di essere sempre disponibile, leggo e ascolto ogni singola opinione critica. Cerco di essere presente sui social media e di interagire con chiunque, rispondendo alle domande e ai commenti che mi arrivano. In definitiva, il mio obiettivo è quello di creare una connessione emotiva con i miei lettori, di trasmettergli stimoli culturali, interessi e riflessioni.

Che messaggio volete dare con le vostre opere?

Raimondo: I messaggi etici preferisco lanciarli col tramite delle mie (numerose) raccolte di poesie nelle quali l'amore universale, le tematiche ambientali e la speranza di un futuro migliore sono assai presenti. Nella narrativa cerco di coinvolgere il lettore e non farlo annoiare dopo le prime pagine. Insomma che arrivi alla fine assaporando il gusto del libro.

Luca: Essendo piuttosto eclettico, il messaggio che cerco di trasmettere con le mie opere dipende spesso dal genere che ho scelto di scrivere. Ad esempio, in un romanzo giallo, è facile che l’attenzione sia focalizzata sui temi della giustizia o su problematiche morali. Quando scrivo un romanzo o un racconto horror, m’interessa indagare il rapporto che abbiamo con l’ignoto, con la paura, con la morte. L’obiettivo credo comunque sia più o meno uguale per tutti: creare un'esperienza di lettura che intrattenga ma che allo stesso tempo sia significativa e profonda. “Il senso dell’ora felice”, l’ultima opera scritta con mio padre, si sofferma in particolare su coloro che coltivano talenti e ambizioni in provincia e su quanto sia difficile comprendere (ma il razionalissimo genere “giallo” almeno ci prova) quali fuochi brucino nel cuore di un uomo, quali dolcezze e quali torture, per citare Yves Klein.