Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente…

Fisicamente sono quasi sempre a una delle mie due scrivanie: una nella casa di Monza della mia compagna, una nella mia nuova casa in campagna a Crevalcore… mentalmente invece cerco di stare dentro la scena che sto scrivendo, in generale dentro la storia, nella testa dei personaggi, ma più nello specifico dentro la singola scena. È un'attitudine che mi arriva da anni di scrittura di sceneggiature perché in sceneggiatura quando scrivi una scena sei obbligato a VEDERLA: a visualizzare il luogo, gli spazi, la posizione dei personaggi e come si muovono dentro quel luogo e quegli spazi.

Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?

Le vittime le scelgo perché possano raccontarmi un mondo. Se racconto un omicidio, e dunque una vittima, voglio poter raccontare un pezzo della realtà che ci circonda e che viviamo. Ad esempio, ne Il Cinese, le prime due vittime mi permetttevano di entrare dentro la comunità cinese in Italia. L'assassino, invece, tra i potenziali sospettati, deve essere quello che ha le ragioni più "calde" – emotive, sentimentali, private. dolorose – per uccidere. Mi interessa insomma che il lettore possa almeno in parte sentirsi vicino anche con l'assassino.

Qual é il tuo modus operandi?

Parto spesso da un fatto reale che mi ha colpito. Un fatto, o più fatti diversi che in qualche maniera si mescolano nella mia testa. Poi da lì inizio a costruire la storia di finzione. Ma quasi tutte le mie storie iniziano da un evento realmente accaduto che in seguito io trasformo. La vicenda di Erika e Omar per Un Gioco da Ragazze, ad esempio. O il vero duplice omicidio – padre e figlia – a Torpignattara per Il Cinese. Dopodiché, dal punto di vista pratico, scrivo decine e decine di scalette molto ampie e corpose. Scalette di anche un centinaio di pagine. Questo perché una scaletta ben organizzata e già "molto scritta" mi consente di tornare a una storia anche dopo una lunga assenza senza dover fare molta fatica a rientrarci dentro.

Chi sono i tuoi complici?

I miei complici sono soprattutto amici poliziotti o magistrati che spesso sono anche scrittori. Sono incredibilmente preziosi perché come investigatori mi aiutano a districarmi tra le procedure di indagine e a trovare spunti proprio in queste, e perché come scrittori capiscono al volo quali informazioni sono importanti per la storia e quali invece si possono omettere.

Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!

Confesso, Commissa'! No, scherzi a parte con i lettori e le lettrici ho un rapporto molto stretto. Non solo li incontro alle presentazioni, ma discuto con loro sui social, ricevo suggerimenti a volte centratissimi che mi fanno rivedere dettagli di ciò che sto scrivendo, me li ritrovo nei corsi di scrittura che tengo. So anche che il finale de L'Impero di Mezzo ha spiazzato molti, e che sono in attesa di un terzo romanzo di Luca Wu che risponda a domande alsciate in sospeso. Purtroppo in questo momento non dipende da me. Diciamo che se per miracolo si dovesse realizzare la serie tv da Luca Wu a cui sto lavorando, allora le probabilità di avere altri romanzi con lui protagonista aumenterebbero molto… 

Che messaggio vuoi dare con le tue opere?

Nessuno. Nessun messaggio. Di solito però nei miei romanzi racconto un'ostinata ricerca della verità e uno schierarsi dalla parte dei più deboli. Questo è ciò che fanno tendenzialmente i miei personaggi, e se vogliamo è già un messaggio…