Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente

Scrivo in casa, in salotto, di sera o di notte. Quando la famiglia dorme, quando fuori è buio. I rumori ovattati dalle ombre di solito mi facilitano la creatività. Sono un rockettaro di vecchia generazione e ho provato a volte anche a scrivere accompagnato dalla musica che amo, ma con me non funziona.  La testa inizia a seguire le melodie e i riff di chitarra, e non concretizzo i pensieri.  Le idee mi vengono in qualsiasi momento della giornata, non ho particolari tecniche per cercarle.  Anche perché le storie migliori non si cercano, si trovano. Io mi sforzo di vivere con le antenne alzate, mi faccio guidare dalla curiosità, dall'interesse per gli altri. La vita così è più divertente, e divertirsi è sempre un buon presupposto per svincolarsi dalle sovrastrutture della mente e liberare i canali della creatività. Ogni giornata della nostra vita, in fondo, propone situazioni e persone che possono diventare spunti su cui romanzare.

Come scegli le tue vittime, i tuoi assassini? 

Ho un rapporto strano con tutti i personaggi dei miei romanzi. Difficilmente hanno un'identità ben definita nella mia testa, all'inizio. Io li visualizzo a poco a poco, entro in sintonia con loro progressivamente, in un percorso di conoscenza (reciproca?) che spesso fa sì che dopo un po' siano loro a suggerirmi le loro azioni, le loro direzioni di vita, incastrandosi nelle storie che scrivo, orientandole. Alcuni diventano vittime, altri assassini. I personaggi neri sono quelli che mi affascinano maggiormente. Non trovo particolarmente complicato entrare in sintonia con loro, forse mi aiutano a confrontarmi con me stesso e con il mio lato oscuro, quello che nella vita “normale” va tenuto controllato. Scrivere mi risparmia lo psicologo, ecco.

Qual è il tuo modus operandi? 

Bella domanda. Ho scritto vari racconti e tre romanzi, sto terminando il quarto, fatico a trovare un denominatore comune dal punto di vista metodologico. L'impalcatura generale della storia la vedo, o forse la sento, all'inizio; il finale non ce l'ho quasi mai in testa, quello arriva scrivendo, sentendo i personaggi, ascoltando le loro voci e i loro sentimenti. A volte mi dico che le parti iniziali dei miei libri servono sì al lettore per inquadrare il perimetro della vicenda, ma soprattutto a me per capire che direzione dare alle vite dei personaggi. Nella mia vita quotidiana mi piace annotare gli spunti che mi trasmettono delle vibrazioni positive, una volta giravo sempre con un taccuino, ora uso lo smartphone per tenere traccia delle idee che so che mi potranno aiutare quando scriverò. Operativamente, scrivo utilizzando il mio laptop, su un unico file, aggiornando sempre il Sommario iniziale alla fine di ogni sessione: credo sia il mio modo per avere una vista di sintesi sull'avanzamento del lavoro e tenere in qualche modo sotto controllo che il flusso dei capitoli sia coerente, che fili. Quando scrivo, mi sforzo di guardare le mie storie dai diversi punti di vista dei protagonisti, mi aiuta a viverle in modo diverso; per terminare “Due. Dispari”, ad esempio, a un certo punto ero a secco di idee e ho sentito la necessità di passare dalla narrazione in terza alla narrazione in prima persona, “entrando” in uno dei personaggi e portando il romanzo a termine utilizzando il suo punto di vista. Ha funzionato.

Chi sono i tuoi complici? 

I miei complici sono quei contenitori di energia che mi alimentano nella mia vita quotidiana. Penso alla musica (i miei romanzi sono carichi di riferimenti rock), penso ai posti in cui ho vissuto o che ho visitato, quelli che mi hanno trasmesso emozioni intense (Madrid, Milano, il Costarica… il romanzo che sto scrivendo si svolge ad Amsterdam), penso soprattutto alle persone da cui sento di potere / dovere imparare sempre qualcosa. Affido le prime letture del romanzo a pochi amici fidati, quelli che non si fanno problemi a dirmi che la tal cosa non va bene, il tal personaggio va affinato, la tal situazione non è chiara… è lì che si migliora. Da questo punto di vista, devo dire con piacere che mia madre è… la madre dei complici: seziona i miei manoscritti con una lucidità e una capacità di critica costruttiva davvero impressionanti. Dopo il primo romanzo, ho avuto anche tanti complici fra i lettori che mi chiedevano “quando esce il prossimo”: quella è sempre un'iniezione di positività che aiuta chi scrive, in modo decisivo. Perché, in fin dei conti, credo che il fascino della scrittura stia proprio nel riuscire a far emozionare i lettori, mentre girano le pagine del tuo libro.

Che rapporti hai con i tuoi lettori/lettrici?

Mi fa sempre piacere ascoltare i loro punti di vista sui miei scritti. E l’utilizzo dei Social Network ha ovviamente facilitato questo percorso, accorciando molte distanze. Mi stupisce/incuriosisce soprattutto l’originalità di ogni feedback ricevuto: ogni lettore/lettrice apprezza (o non apprezza) cose diverse da tutti gli altri. Ad esempio, alcuni miei lettori della prima ora sono ancorati a “Quasi Noir”, il mio primo romanzo (2013), e misurano su quella cifra stilistica tutto quello che ho scritto dopo. Io ho cercato di evolvere il mio stile con gli anni, e non ti nascondo che, rileggendo oggi alcune parti di “Quasi Noir”, noto io stesso uno stile nel quale fatico a ritrovarmi, uno stile essenziale, molto asciutto, che nei romanzi successivi ho cercato in qualche modo di “rimpolpare”. Nel 2013 evidentemente ero uno scrittore diverso, sicuramente più acerbo, più istintivo, ma a qualcuno sicuramente piacevo di più così.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere? 

Questo è un tema sul quale non rifletto troppo quando scrivo. Però mi ha fatto molto piacere quando sia la giuria del premio Amarganta, che ho vinto nel 2017 con “Due.Dispari”, sia quello del premio Argentario, che ha premiato nel 2022 “8:08”, hanno sottolineato la valenza morale dei miei romanzi e la profondità delle relazioni fra i miei personaggi. Ecco, cerco sicuramente di costruire storie e personaggi che grazie al loro fattore umano facciano la differenza, nel bene e nel male. Mi piace studiare la mente e l'anima dell'uomo, mi piace analizzare i processi e le scorciatoie cognitive, mi sforzo di capire come le emozioni possano determinare le situazioni di vita. Ora che mi ci fai riflettere, forse è proprio questo il messaggio che in modo inconscio cerco di trasmettere ai lettori: le emozioni e le relazioni fra le persone sono molto più “forti”, direi forse più determinanti, dei meri fatti che succedono nella vita. Credo valga lo stesso anche nel nostro quotidiano… o per lo meno, per me è così.