Con l’avvocato Amberley, il prof. universitario Gervase Fen e il sergente Beef…

Il villaggio, come scrive il nostro Mauro Boncompagni nella Introduzione, è il posto più congeniale al giallo classico in cui il male può scaturire dappertutto e da parte di chiunque. Oggi ne vedremo tre esempi eclatanti. Partiamo dal primo… L’omicidio di Norton Manor di Georgette Heyer L’avvocato londinese Frank Amberley sta andando con la sua potente Bentley lungo una stradina di campagna verso Greythorne mentre incombe foschia autunnale. Vede una Austin accostata sul ciglio, una ragazza appoggiata alla portiera e un piccolo foro di proiettile sul parabrezza. Alla guida un uomo ucciso. La ragazza ha pure una pistola ma la lascia andare (naturalmente la ritroveremo in seguito). Perché?… La vittima è il maggiordomo di Norton Manor, una bella tenuta ereditata dal giovane Basil Fountain, dove il nostro avvocato potrà iniziare a svolgere le sue osservazioni, essendo stato invitato da sua cugina Felicity e dalla zia lady Matthews proprio lì per un ballo in maschera. Già la casa è da brivido perché sorge su “peccati e tragedie antichi” ed è “così misteriosa e silenziosa” che, appena varcata la soglia, si viene colti da “un senso di depressione.” Ma il delitto sembra quasi dare fastidio in questo piccolo mondo presuntuoso di partite a golf, biliardo, prelibatezze culinarie, denaro e denaro. Alcuni punti essenziali: il maggiordomo aveva messo una bella somma da parte; l’importanza di un certo libro; il classico testamento; il bosco oscuro e misterioso e poi l’amore. Ah! l’amore! Dialoghi su dialoghi costruiti sapientemente (per cui i gialli della Heyer sono stati anche denominati “conversation thrillers”). La morte nel villaggio di Edmund Crispin 2 giugno 1950. Il signor Datchery, “alto e magro, tra i quaranta e i cinquanta”, si avvia verso Cotten Abbas dove succedono strane cose. Una in particolare riguarda le lettere anonime, formate da parole ritagliate da articoli di giornale, che ossessionano gli abitanti e sfociano in omicidi. Dal paese emana aria di agiatezza, quella di un villaggio abitato da gente benestante, da una ricca borghesia. Datchery si presenta come uno studioso di sociologia che si occupa della vita rurale. In realtà, lo scopriremo in seguito, trattasi di Gervase Fen, professore universitario e detective dilettante chiamato a risolvere il mistero delle lettere anonime da uno dei personaggi. Tra questi spiccano la dottoressa Helen Dowing sulla quale pesa il pregiudizio delle dottoresse di un tempo, mentre invece tutto va a gonfie vele per il dottor George Sims, poi l’odiato Harry Rolt, padre di Penelope e Peter (un ragazzo piuttosto “particolare”) perché ha una segheria che rovina il paesaggio (tra l’altro non è snob come gli altri abitanti) e il signor Weaver, macellaio, praticante della setta dei Figli di Abramo. Con il contorno delle solite vecchiette di paese che sanno tutto di tutti. Primo problema, l’amica della dottoressa, Beatrice Keats-Madderly, si è impiccata. Le erano state recapitate cinque lettere con la posta del mattino ma era sparita quella con l’inchiostro violetto. Ad indagare il commissario Babington e l’ispettore Casby, mentre Datchery se ne va in giro per tirar fuori qualcosa dai pettegolezzi della gente. Nella testa quel colore violetto gli ricorda qualcosa…Ed arriva un morto ammazzato che forse sapeva troppo. Viene sospettata proprio Helen erede del patrimonio di Beatrice ma alla fine tutti in circolo ad ascoltare la ricostruzione dettagliata del vero Gervase Fen. La moglie del dottore di Leo Bruce Per il sergente Beef ci sono dei casi di omicidio in cui l’uomo del posto batte “tutti i furbacchioni di Scotland Yard” perché conosce la gente coinvolta. Vedi, per esempio, la morte della moglie di un dottore a Braxham. Più precisamente del dottor Markwright. Morte naturale, morte per tetano causata da una ferita alla mano secondo i soliti Capoccioni. Ma non per lui che conosceva i soggetti interessati. Morte naturale un corno! Trattasi di un vero e proprio omicidio, anche se… Due romanzi ed un racconto diversi nella realizzazione stilistica e proprio per questo complementari. Rigore, leggerezza, stravaganza, citazioni colte, humor, ironia graffiante, pathos, tensione, movimento, paura. Eccetera, eccetera. Quando c’è qualcosa curata da Mauro Boncompagni, beccatela subito.