Soffermandosi su C; era un po’ che l’inaspettato e non richiesto monologo di quell’uomo, evidentemente istruttivo, lavorava nella sua mente. Più o meno come un rebus. Era venuto lì per cercare di risolverne uno che lo impegnava da mesi e se ne trovava un altro. Ma cominciava ad intravedere la possibilità che la risoluzione dell’uno avesse a che fare con quella dell’altro. E quell’uomo? Che ruolo poteva avere? Uno studioso di casi criminosi per diletto? Un mitomane? Chi poteva dire se quei titoli corrispondessero al vero, tanto più le storie che vi erano legate? Al massimo C avrebbe potuto certificare l’esistenza del Maresciallo Rocca. “E allora, continui, mi racconti del salto di qualità”, intervenendo, finalmente.

“Lo spettatore di Lee’s Summit, ma anche successivamente quelli, in ordine cronologico, di Montpellier, Francia; Rye, nell’East Sussex, Gran Bretagna; e Losanna, Svizzera - lei sarà a conoscenza del meccanismo dell’emulazione - in tutti e tre i casi, i soggetti, insofferenti all’attesa estenuante della risoluzione della narrazione, che gli autori delle serie, da bravi artigiani, tengono in sospeso per tenere acceso l’interesse e viva la tensione – quello che in gergo tecnico viene chiamato, appunto, cliffhanger – decidono di mettere loro stessi in scena la parte non godibile per cause di forza maggiore. Certo, quasi sempre in modo rudimentale, approssimativo, ma sufficientemente oggettivo e narrativamente accettabile così da condurre a quella soddisfazione negata o indefinitamente procrastinata, come un’eccitazione lungamente sostenuta e per questo non sostenibile”. “Mi sta dicendo forse che i serial - mai parola fu più appropriata – i serial-killer finiscono per sostituirsi agli sceneggiatori? chiese sagacemente C. – “Esattamente”, rispose l’uomo. “Una dottrina specifica non esiste. Occorre estrapolarla da caso a caso”.

C era così irretito dal racconto dell’uomo che non pensò di chiedergli a bruciapelo chi diavolo fosse. Invece si rammaricò, bizzarramente, di non essere stato più tempo davanti alla televisione. Quest’uomo possedeva strumenti di indagine e di comprensione della realtà, dell’essenza del bene e del male, che a lui erano negati. Nuove tipologie di azioni criminose, conseguenti all’incalzare di inediti disturbi psichici, erano sorte, o da essa amplificate, a causa del diffondersi della società dello spettacolo; sovvertendo anche l’abusata equazione che voleva l’azione malvagia discendere da modelli esteticamente di basso valore, se non raccapriccianti. A quanto ne sapeva, le serie che trasmettevano da un po’ di anni in tutto il mondo, specie quelle di produzione statunitense, erano ben fatte e di grande successo. La realtà, o meglio: il crimine, emulava ora la buona televisione, come l’assassinio di Lennon era debitore di Holden.

Nel frattempo, intorno ai due, la folla aumentava e l’atmosfera appariva più festante. Giovani presenze, tra cui molti dall’aspetto adolescenziale ma dai modi goffamente adulti, alcuni lasciati lì da genitori pensierosi: chi disposto a vigilare non visto, chi ripromettendosi di tornare a prenderli a qualsiasi ora notturna pur di non trovarli coinvolti in qualche pasticcio etilico. A questa parte consistente, si aggiungeva il settore degli eterni giovani, con gran dispendio di tinte color testa di moro per i maschi e abbronzatura total body per le donne, rinvenibile sotto variegate trasparenze color rosa confetto adeguate alla serata. Una musica martellante si diffondeva nell’etere, alcuni già azzardavano passi sciamanici invogliati dall’alcool e dalla prospettiva di un incontro fatale. Disse C, costretto ad alzare la voce per contrastare il loop di bassi proveniente dall’impianto : “E tutto questo perché lei ha letto sulle mie labbra la parola cliffhanger! Mi permetta di manifestarle la mia sorpresa. Avevo un presentimento venendo qui stasera, ma certo non di tale portata e contenuto”.

L’uomo, a cui non restava che completare il suo racconto di fronte allo sguardo invocante di C, attaccò una sorta di invettiva contro l’atomizzazione delle nostre vite, la frammentazione delle relazioni, la dispersione del senso fino a certificare l’impossibilità di poter vivere una vita armoniosa. Parlò della sua angoscia nel dover constatare che nulla della sua esistenza aveva un futuro, essendo nelle mani del caso o di chissà chi. E che ogni giorno si dispiegava uguale all’altro e della paura che sarebbe stato così per il resto dei suoi giorni. Poi citò a memoria – lui, spettatore compulsivo – un passo di una delle serie che più amava: