Il bosco, l’omicida-orco, i bambini metaforicamente divorati sono elementi che innescano ancor più nel lettore la paura. L’impressione non è che tu volessi utilizzare elementi di favola nera ma che, con gli occhi ben volti alla realtà, tu volessi estrapolare dal quotidiano la suggestione della vita e coglierla nel suo momento nero.  

Non racconto favole nere, vorrei però poterle raccontare belle e piene di principi e principesse luminose. Uso il Noir per cercare di fare il punto sulle vicende umane che ci riguardano. In questo libro parlo delle attese. Di ciò che abbiamo perso (bambini, infanzia, emozioni). Della nostra posizione in perenne ricerca ideale di qualcosa che si scontra in continuazione con il piano di realtà. L’infanzia che si perde in un bosco rapita da un Orco/Orso cattivo. Un’arcadia dei sentimenti che non ci possiamo più permettere. Una posizione di guardia che dobbiamo abbassare per non vivere la vita solo parzialmente, perdendone la parte migliore.

Il peccato e il perdono scorrono, tra le righe, come lo Yin e lo Yang di una narrazione che tiene il lettore in tensione. Qual è il trait d’union tra queste due forze?

Il perdono ha una matrice fortemente religiosa e riguarda gli uomini che sanno pentirsi e chiedono di essere sollevati dalla loro colpa. Ma credo che sia anche un percorso individuale profondamente laico, che può fare a meno del pentimento altrui. É una risorsa preziosa per lasciare sullo sfondo ciò che ha provocato un immenso dolore. Per aiutarci a sopportare meglio il presente. Il peccato, il Male, è invece la materia che sto indagando fin dal principio. La sua esistenza mi inquieta e mi rende insicura e piena di domande. I miei libri si chiedono in continuazione cosa sia peccato e cosa no. E quali siano le infinite maschere del male, i suoi canti di sirena, quali parole compongano le lusinghe così capaci di plagiare le menti criminali.

Il perdono è un tema di scottante attualità. All’inizio del libro sembra che la Vergani sia perplessa. Vi è una scena in cui al padre di una ragazza brutalmente uccisa viene chiesto se sia disposto a perdonare i colpevoli e lui risponde affermativamente. La voce narrante imputa questa reazione ad un’ “anestesia totale al cuore”(p.39), in realtà la risposta del padre è un punto di partenza per più profonde riflessioni.

É un modo per guardare il perdono da vicino. Credo non si possa prendere in considerazione un’idea teorica di perdono, va necessariamente applicato alla realtà. A volte proviamo una rabbia così feroce nei confronti degli esseri umani che ci feriscono che non siamo neanche capaci di rielaborarla, accettarla fino in fondo, capirla. Meglio chiudere ostentando un perdono sbrigativo e fasullo. E quel dolore si trasforma in altro. Ci corrode dall’interno. Dobbiamo essere in grado di lasciarci permeare e attraversare da tutte le emozioni, anche le peggiori, per arrivare a concedere una seconda possibilità, o semplicemente escludere dalla nostra esistenza (ma con una centratura conquistata) chi si è dimostrato cattivo con noi. Il perdono è una conquista e non ci rende esseri migliori, solo persone che cercano di vivere con un respiro meno condizionato dal dolore e dalla rabbia.

L’ombra del male incombe sui capitoli, sia che si svolgano nelle vallate valdostane sia nel capoluogo lombardo. Cos’è il male, secondo il tuo punto di vista?

Il Male, il lato oscuro, è presente ovunque. In ogni luogo. Annidato all’interno di ogni essere umano. Il Male trova spazio nell’istinto indomito, nelle frustrazioni e nei conflitti che la nostra psiche non riesce a rielaborare. Il Male è la cattiveria, la crudeltà, l’invidia e la presunzione che schiaccia e riduce in un angolo il prossimo.

Forse mi sbaglio, ma mi è sembrato di percepire un po’ di diffidenza, da parte della Vergani, verso don Paolo, personaggio enigmatico. Da cosa è motivata tale diffidenza?

Maria Dolores Vergani è un’ispettrice laica ma subisce il fascino e l’attrazione che la fede esercita. Lei vorrebbe averla perché sente che molti dei suoi problemi e delle sue insicurezze potrebbero ridimensionarsi, avrebbero una cura speciale.

É ambivalente nei confronti di don Paolo. Ne teme il giudizio umano e nello stesso tempo sente che è un uomo lacerato. Don Paolo è a un punto di svolta esattamente come lei.

La Vergani approda in Polizia dopo un passato da psicologa che non ha capito le problematiche di una sua ex-paziente, caso che scatena, nella Vergani profondi sensi di colpa. Ma forse proprio questo sguardo d’indagine sugli animi umani costituisce una delle sue peculiarità. Cosa ne pensi del senso di colpa? É una prerogativa tipicamente femminile?

Il senso di colpa è un potente deterrente che odiamo tutti. E’ stato inventato per tenere a bada il Male. Per arginarlo. Evitare che dilaghi. Ma il senso di colpa è stato anche strumentalizzato da chi non si meritava di “amministrare” questa grande scoperta… ci impedisce di fare anche tante altre cose, che non sono il Male, sono la vita. Quindi stiamo cercando di scrollarcelo da molto tempo e ce ne stiamo liberando poco a poco, senza però sostituire una coscienza etica, un rispetto laico forte e reciproco. Ecco perché i gesti non corrispondono più alle intenzioni. Il pentimento non arriva quasi mai dopo aver compiuto nefandezze o crimini. E siamo qui a domandarci il perché di molti delitti irrisolti. Di cattiverie che non ci sembrano possibili.

Dimmi cinque cose che avvicinano te e la Vergani e cinque che vi allontanano.

Parto da quelle che sono maggiormente distanti da me: Maria Dolores Vergani è una ex psicologa ora ispettore di Polizia, due professioni che non sceglierei mai, troppa aderenza con il Male e con la sofferenza. É single, alla ricerca del principe azzurro. Poco socievole, tende a dare del “lei” a tutti. Frequenta i locali milanesi che io detesto. É convinta che il miglior perdono sia la vendetta, su questo devo assolutamente farla riflettere ancora. Abbiamo punti in comune, uno è l’amore profondo per l’Arte. Poi quello per i pastori tedeschi, lei ha avuto Laila io ho Max. Crede nella verità più che nella giustizia. Ha un’amica su cui contare. (Quelle cose rare che sembrano miracoli). Non ama eccedere, né alcol, né droghe, né sesso facile.

La si accusa anche di cinismo...

E’ la sua freddezza che viene presa per cinismo. Ma è anche per questo che si guadagna il rispetto del prossimo, soprattutto degli uomini. E’ difesa e con poche illusioni, ma quelle che ancora possiede sono le peggiori.

Ancora la Vergani. La sua solitudine è interrotta dalla puntualità delle telefonate di Luca Righi, dalla forza del legame invisibile con Mauro Marra (“Siamo legati e lo saremo sempre, Ma non in quel senso. É qualcosa di più.” Pag. 87), dalla vicinanza discreta di chi la stima, come Achille Maria Funi. Si può dire che l’ispettrice sia fondamentalmente sola ma non lo sia in assoluto? Come se vi fosse un piano parallelo a quello che si consuma materialmente e come se, in questo piano virtuale, lei non fosse davvero così sola.

L’assenza di corpo la mette al riparo dalla vita vissuta. Forse in “Io ti perdono” il lettore capirà qualcosa di più sul perché la Vergani tenga così a distanza le emozioni e i sentimenti. Forse grazie ai passaggi esistenziali che la portano a crescere storia dopo storia, riuscirà anche a ridurre le distanze tra lei e il mondo.

“Milano è una trappola. Chi la conosce lo sa”. (Pag. 238). Ma anche l’amenità di un bosco valdostano inganna. Rischiamo ovunque di venire intrappolati?

Le trappole sono i bei vestiti che nascondono le brutte persone. Le facce rifatte che mirano a cancellare il tempo. I muri affrescati e intonacati di fresco con all’interno microappartamenti pieni di angoscia. Le telecamere che proteggono dal “fuori” quando il “dentro” è marcio e corrotto. Pensavo che Milano fosse noir e ho scoperto che non è così. E’ inodore e insapore. Fatta di persone vere che hanno una memoria. Eppure è pervasa dalla smania di cancellarne i segni visibili. In mutazione, forse, verso una nuova identità. E comunque città o bosco, mare o provincia, basta un cuore nero a costruire trappole. Speriamo tutti di non incontralo mai.

Passiamo dal nero al rosa con una domanda al femminile: chi è la dedicataria del romanzo?

E’ un’amica che stimo, a cui voglio bene. Io ti perdono è dedicato a lei, ma anche a tutte le donne. E agli uomini che hanno voglia di impegnarsi un po’ per capirle.

Io ti perdono di Elisabetta Bucciarelli (Colorado/Kowalsky) in notizie/8084