Partiamo subito dal libro appena uscito per Piemme, Cuore di ferro. Un noir storico ambientato in una Bologna Trecentesca. Hai dichiarato di esserti divertito durante la stesura, nonostante l’impegno che un romanzo di tale portata (e lunghezza) abbia comportato. Entriamo più a fondo in questa parte di divertimento?

Scrivere è la mia passione, per questo mi diverto sempre quando scrivo. In questo caso particolare, dovendo risolvere un enigma alchemico e una serie di omicidi legati alla trasformazione di un cuore umano in un blocco di ferro, è stato come vivere in un film, per tutto il tempo in cui è durata la stesura del romanzo.

 

Il distacco temporale ha imposto delle forzature o degli artifici letterari?

Direi di sì. Alla fine, scrivere romanzi significa creare un mondo credibile, ma che fuori dalle pagine del libro non esiste. Questo è l’Artificio letterario con la A maiuscola, che si compone di tanti aspetti diversi e collegati tra loro. Ne cito uno tra tutti, relativo a Cuore di ferro: il romanzo è ambientato nel medioevo, ma io scrivo oggi per lettori di oggi.

Quindi ho usato un linguaggio moderno per ricreare un’epoca passata.

 

Qual è lo shining del medioevo? Perchè hai scelto quest’età?

Proprio per la distanza così grande, non solo in termini cronologici ma anche di mentalità e cultura, che separa quell’epoca dalla nostra. Nel medioevo il mistero aveva un grande spazio, era parte della vita quotidiana.

 

Dietro la stesura c’è un’approfondita preparazione e documentazione. Qual è il dato o il costume che più ti ha colpito, rispetto all’epoca studiata?

Più che di un’epoca, parlerei di un periodo. Il romanzo è ambientato nel 1311. In Italia è l’epoca dei Comuni, si respirava un’aria di indipendenza e libertà, tutto sembrava possibile. E la morte nera non era ancora arrivata.

 

Hai vissuto in Messico per molto tempo. Qual è la cosa più grande -a parte tua moglie(!)- che ti è rimasta da quest’esperienza?

Il senso di spazio sconfinato. Il Messico ha quasi lo stesso numero di abitanti dell’Italia, sparsi su un territorio sette volte più grande, in gran parte desertico, soprattutto al nord. Io ho vissuto oltre un anno accanto a un deserto, e tutto quel rosso mi è rimasto nel cuore.

“Café Nopal” è il tuo primo romanzo. E’ molto diverso il tuo modo di scrivere, oggi, da quello degli esordi? In cosa principalmente noti la differenza?

È un po’ difficile giudicarmi da solo, tuttavia direi che il mio modo di scrivere oggi non è molto diverso nella sostanza da quello degli esordi, ma è più maturo e sciolto. All’inizio, quando qualcosa funzionava bene, non sapevo esattamente perché.

E quando non funzionava, non sapevo dove mettere le mani per cambiarla. Veniva fuori tutto un po’ per istinto. Oggi uso ancora l’istinto ma in modo più disciplinato. Le critiche di amici scrittori e degli editor con i quali ho lavorato mi hanno aiutato molto a maturare.

Spesso hai sottolineato quanto, nella scrittura, sia importante l’aspetto tecnico. In rapporto a quello creativo, quanto pesa?

Non saprei fare una percentuale. Sono necessari l’uno all’altro. Direi che l’aspetto tecnico è l’automobile. Se è veloce, potente e ben tenuta, può offrire grandi prestazioni. Ma l’aspetto creativo è il pilota. Senza pilota anche la macchina migliore non va da nessuna parte. Così come il più grande pilota, su una macchina scassata difficilmente vincerà una corsa…

 

Nel 2007 è uscito “Duri di cuore” per Perdisa. In pochi ti immaginano -tu sempre riflessivo e pacato- al computer a scrivere alcune scene estremamente cruente. Abbiamo tutti, nei recessi della fantasia, un Passeggero oscuro?

Credo di sì.

C’è chi non lo lascia mai uscire, chi lo lascia uscire solo in opere di fantasia, e chi gli dà campo libero anche nella realtà. Ma avercelo, secondo me ce l’abbiamo tutti.

 

Prima di “Cuore di ferro” ti eri già cimentato per la raccolta “History & mistery”, in un racconto storico. Il metodo di lavoro è stato lo stesso?

Sì. Prima un’idea di base, poi una fase di documentazione, poi lo sviluppo dell’idea nel racconto vero e proprio.  

 

Narrativa e storia: non è un ossimoro? In fondo la storia si basa sulla storiografia, che esige una certa precisione. Cosa fa la differenza?

Sono felice di questa domanda. Ho scritto un thriller storico, e spesso le persone con cui parlo si focalizzano solo sulla fase di documentazione e ricerca.

Alfredo Colitto in una foto di Francesco Vicenzi
Alfredo Colitto in una foto di Francesco Vicenzi
Ma il mio scopo non è ricostruire la Bologna del ‘300. Quello è l’ambiente dove si svolge la mia storia, e la ricerca serve a renderlo il più “vivo” possibile. Il mio scopo principale è scrivere una fiction tesa, intrigante e piena di colpi di scena. Non reale, ma credibile. E con Cuore di ferro spero di esserci riuscito.

 

Se tu potessi invitare a leggerti una persona del passato, chi sceglieresti?

Stendhal, senza dubbio. Lo amo tanto che il protagonista del mio primo romanzo si chiama come lui…