C’è mancato poco

A 17 anni Maurizio diventò grande tutto d’un colpo. Quello sferrato dalla sua mano scintillante di lama nel cuore di un coetaneo. Quel bastardo.. glielo avevo detto di lasciarla stare. Ma lui no.. ha voluto continuare. Non c’ho visto più. Me la voleva fottere, quel negro di merda, disse all’avvocato, decretando la sua condanna. Sono passati dodici anni da quella primavera. Da quella stagione delle stragi. Da quelle notti di maggio, sotto stelle macchiate di sangue. Quando in una famiglia del Collatino un dolore personale aveva preso il posto di un dramma nazionale com’era stata la follia omicida di Capaci. Per i giornale se ne poteva anche parlare, dell’omicidio di un giovane senegalese, ma in un semplice trafiletto. Che hanno ammazzato Falcone. Che è stata dichiarata guerra allo Stato. Mentre la famiglia di Maurizio aveva scoperto la violenza di una perdita, diversa ma non per questo meno crudele, l’innocenza di un figlio. Che aveva ucciso, diventando un assassino anche senza far saltare un’autostrada.

Ci tolgono il lavoro e pure le donne vogliono portarci via. Pure le donne aveva affermato Maurizio al processo. Nessun rito abbreviato. Nessuna relazione sulle condizioni psicologiche e sociali del ragazzo. Nessuna attenuante. Solo dodici anni di carcere per quella folle ira verso la diversità. Xenofobia. Se le ricorda ancora le sue parole, limpido il ricordo della rabbia da cui doveva nascere il rispetto degli altri. Se n’era stata là, schiacciata alle pareti dello stomaco, quella specie di voglia di riscatto per l’accanimento della vita, fino a quando non è esplosa. Padre disoccupato. Madre terminale. Sorella che si svende per arrivare a fine mese. Poi un giorno era arrivata lei, Elena. L’unica cosa bella. L’unica. L’aveva conosciuta al Cube. Nella luce. Rossa blu gialla verde. Assorta in quel pomeriggio di house, sudore e alienazione. Sorridente alienazione. A lei Maurizio aveva detto per la prima volta ti amo, trasformando il sesso da avere in amore da dare. Fino a quando ha perso tutto in tredici cm di profondità. Come in un bicchier d’acqua. Perdersi. Sporcato di un denso rosso appiccicoso. Incapace di comprendere quel pazzo, insensato odio che lo aveva reso un assassino. Elena ha scritto una sola lettera a Maurizio in tutto questo tempo. Ma a lui sono bastate ventidue sillabe di quella lettera per trovare la forza di resistere: la libertà profuma come la testa di un bambino appena nato.

 

Maurizio ha aspettato quel profumo e finalmente è arrivato. La lettera nella tasca della giacca di velluto, sorride a Mano Armata, serra le labbra, non dice nulla. Un piede oltre la porta della cella, poi l’altro. Si gira. Guarda la finestra e il cielo a scacchi per l’ultima volta. Ci si affeziona alle cose più impensabili. Come quei vetri sporchi da cui ha osservato e atteso il tempo, mentre Elena scartava la sua vita. Lo sa, non la rivedrà. Né vuole tornare a ciò che ha avuto prima di lei. Suo padre capirà. Sua madre veglierà da un cielo finalmente diverso. Senza più scacchi. Sua sorella chissà.

 

Mezzogiorno, un uomo libero. Il sole se ne sta perpendicolare sulla testa rasata di un corpo appoggiato al ponte. Sorride al vento liberando un pensiero, meglio farlo da uomo libero. E il vuoto si prende lo spazio in cui era Maurizio. Dov’era la sua ombra ora non c’è che sole. Non c’è che luce. Poi il buio. Nero. Fino a quei due bagliori verdi. Fiaccole alla porta di Satana. Ma.. cosa? Occhi verdi. In quel nero. «Ehi, guardami. Forza, respira.. RESPIRA!» sta urlando lei. Maurizio sputa e tossisce, bagnato come Gene Kelly sotto la pioggia, sdraiato sull’argine di un fiume, sotto un viso nero, bellissimo e disperato. «C’è mancato poco» dice Amina. «C’è mancato poco». Una mano splendente di lama entra silenziosa nell’addome umido di fiume, come il vento tra le persiane bagnate di pioggia. Maurizio spalanca gli occhi, serra le labbra, non dice nulla. Sorride. «C’è mancato davvero poco» ripete Amina «stavo per perdere la mia vendetta».