Chi l’avrebbe mai detto che la vacanza cominciata alla fine di maggio si sarebbe conclusa con un assassinio?

Una bella tipa come lei aveva attirato le attenzioni di giovanotti, giovanottelli ed anche tipi più attempati, ancorati al miraggio della preda facile, dei tempi della ridicola stagione dei pappagalli.

La realtà del borgo marinaro costruito a ridosso di una costa meravigliosa ideale per appassionati del mare, della pesca dalla barca, delle escursioni subacquee, della navigazione da diporto, era rimasta ancorata ad abitudini medievali, perdendosi nel peggior becerume orgogliosamente coltivato dagli abitanti.

Una sera seduta al Dalì City Pub, conobbe Marco Tulliani.

Si trasferì armi e bagagli nella sua villa. Però non disdisse l’appartamento che aveva preso in affitto.

“Strangolato, non vi è alcun dubbio lo hanno strangolato… mentre mangiava il cornetto … il caffè gliel’hanno versato sulla bocca dopo averlo… ‘corretto’ con ‘Vecchia Romagna’.” Nessuna traccia di sangue. Il latte era ricaduto sulle uova, sui biscotti, nella zuccheriera con il cucchiaino piantato nello zucchero, sul vassoio e sul pavimento. Qualcuno aveva vuotato il bicchiere con il succo d’arancia. Una lunga striscia di latte finiva contro la parete dove era la tazza con il manico rotto. La bottiglia di “Vecchia Romagna” vuota sul tavolino.

Chi l’aveva ucciso era un maniaco? colto da raptus… un dispetto? non era possibile era una reazione troppo esagerata, anche se da quelle parti non poteva mai dirsi… un furto? la villa era tutto fuorché un esempio di spreco, per austerità si avvicinava ad un convento. Unico lusso erano i quadri acquistati dai pittori che durante l’estate giungevano in paese e provavano le proprie capacità. Niente libri per lui. Se acquistava i giornali dopo un primo sguardo li gettava nella spazzatura. Era un palloso. Mai che avesse preso un appunto, scritto una nota, lettera o cartolina. Niente telefono. Unico svago la musica dei Beatles. Possedeva una raccolta completa dal primo all’ultimo disco.

I quadri gettati sul pavimento avevano il vetro sbriciolato rimasto all’interno della cornice, come se qualcuno si fosse divertito a calpestarli.

Lesse la firma, Angelo Cubacoschi.

Si stropicciò gli occhi. “Sogno o son desta?”

Martina a passo sostenuto superò, gettando uno sguardo distratto, il rigghioccolo attorno al pittore. Proseguì per una ventina di metri sulla banchina e fingendo il punto di ritorno girò in circolo, evitando una retromarcia repentina “utile a far salire il prezzo dei quadri”, pensò e si aggiunse agli ammiratori e curiosi.

La posizione dell’artista a gambe divaricate richiamava il tentativo di una spaccata senza successo. Era più alto della media. Baffetti quadrati. Piccole chiazze di diversi colori sulle guance, sul mento, sulla fronte, sul naso lasciate ogniqualvolta si asciugava il sudore o si toglieva un prurito, rallegravano un volto smunto e bianchiccio. Camicia di tela, jeans sbrindellati tagliati sotto il ginocchio con tasche e taschini nei quali infilava colori e pennelli, riflettevano la migliore idea del pittore al lavoro. Zoccoli ai piedi. Dipingeva il tramonto mentre la luce del sole si abbassava.

Terminò il quadro a tempo di record.

- Quanto lo fa? – domandò la più alta delle due turiste che gli erano vicine.

- Dipende da chi lo chiede e dalla simpatia che sprigiona, 50 euro per lei 45.

Fissare nella mente i particolari. Vassoio, latte, tazza, uova fritte nel piatto, quadri, macchinetta napoletana, pentolino sul gas, Vecchia Romagna, ante della credenza nella quale teneva una collezione di bottiglie di alcolici, aperte. La porta del soggiorno si apriva soltanto dall’interno.

Risalì in camera da letto. Frenesia e fretta maledette. “Festina lente”. Avvitò l’asta del flash alla vecchia Mamiya. Aprì il cassetto del comodino. “Possibile che Tulliani comunicasse ancora con i segnali di fumo?” Trovò il portafogli. Pochi spiccioli. Niente carte di credito. “Lasciano una scia rintracciabile”. Frugò con la mano. Un blocchetto per appunti. Un solo numero di telefono. Staccò il foglio. Lo infilò nel taschino della minigonna.

Martina, non disponendo di altri elementi lavorò di fantasia, circa la persona che aveva scritto quel numero di telefono. Un’amicizia che datava a molti anni ravvivata da un incontro casuale e il telefono utile per “recuperarsi?”