A Diego la parola...

Non ho conservato la copia dell’edizione tascabile Garzanti del romanzo L’eredità Schirmer (1953) grazie al quale ho conosciuto Eric Ambler. Non avrò avuto neppure vent’anni. Prima d’allora non sapevo che esistesse uno scrittore del genere. Non avevo neppure idea che fosse considerato un maestro della spy-story. Non avevo mai seguito i generi. M’innamorai di quel libro. Tanto da andare alla ricerca degli altri romanzi di Ambler per scoprire se mi regalavano le stesse emozioni dell’Eredità Schirmer.  Trovai facilmente i suoi titoli maggiori Topkapi (1962), innanzitutto, pubblicato negli Oscar Mondadori, romanzo famoso anche per l’omonimo film che ne fu tratto con Melina Mercuri, Peter Ustinov e Maximilian Shell. E poi un bel volumone della Garzanti con tre suoi romanzi: L’eredità Schirmer appunto,  che mi spinse a disfarmi dell’edizione tascabile, Uno strano processo (1951) ed Epitaffio per una spia (1938). Nella “Medusa” Mondadori trovai, tra gli ultimi titoli della collana, Ricatto internazionale (1969). Gli Oscar Mondadori, dopo Topkapi pubblicarono l’altro successo di Ambler La maschera di Dimitrios (1939), mentre ne I capolavori di Segretissimo usciva la continuazione di Topkapi ovvero Una sporca storia (1969).  Poi cominciò la mia caccia ai tanti suoi altri romanzi, mentre continuavano ad uscire alcune novità come Il levantino (1972) o Doctor Frigo (1974), da Mondadori, oppure Non più rose (1977) e Mancanza di tempo (1981) da Rizzoli. Nella Bompiani usciva invece Una rabbia nuova (1964). Molto più tardi, nel 1997, la Hobby&Work avrebbe ripubblicato La frontiera proibita, già uscita da Garzanti nel 1958, nella stessa traduzione di Giorgio Manganelli (che avrebbe, significativamente, tradotto diversi romanzi di Ambler).

 

La caccia ai libri di Ambler, ovunque, in particolare presso le bancarelle, mi portarono a rimediare titoli come Spia per forza, nella collana Il romanzo per tutti del Corriere della Sera, volume numero 5 del marzo 1951, e un altro paio di romanzi della stessa iniziativa editoriale che, prestati per una eventuale ripubblicazione presso la Mondadori, sono andati, ahimè, definitivamente perduti.

Quasi tutti i romanzi dello scrittore inglese, nato nel 1909 e morto nel 1998, hanno continuato a incantarmi, in particolare quelli scritti negli anni Quaranta e primi anni Cinquanta, periodo d’oro che si sarebbe concluso con Topkapi, ovvero quelli che sono considerati i suoi maggiori, mentre meno appeal avrebbero avuto gli ultimi titoli, fatta eccezione per Doctor Frigo.

 

Che cosa mi incantava dei romanzi di Ambler? Ritengo oggi che uno degli elementi non secondari sia legato alla mia biografia personale. Ovvero gli scenari che Ambler privilegiava nei suoi romanzi maggiori: i Balcani, la Grecia, il bacino mediterraneo in genere. A questa geografia, e agli aspetti politici e criminali legati ai paesi che a essa appartenevano, ero legato per nascita (la mia famiglia è di Fiume, oggi in Croazia) e per motivi sentimentali (la mia fidanzata d’allora, oggi mia moglie, è di madre greca), terre e genti tutte delle quali sono assiduo frequentatore, e che, non a caso, costituiscono a loro volta scenari dei miei romanzi.

Accanto a questi aspetti mi affascinavano i personaggi di Ambler, tutti antieroi, gente comune che riscattava la banalità del vivere quotidiano attraverso l’immersione casuale, quando non per la curiosità umana della quale erano dotati, nell’avventura più profonda. Un’avventura che si collegava a quella di altri scrittori che amavo come Kipling, Hemingway, Conrad, Graham Greene, Lawrence Durrell, e cioè un’avventura non fine a se stessa, bensì di forte valenza formativa. I protagonisti delle loro storie alla fine delle stesse risultavano trasformati rispetto al momento in cui ci erano entrati. C’è una frase ne L’eredità Schirmer che mi sembra significativa a riguardo. Il protagonista del romanzo, un giovane avvocato che all’inizio della storia troviamo annoiato nel suo ufficio di Filadelfia, negli USA, viene mandato in Europa a cercare gli eventuali eredi di un’eredità e la ricerca si trasforma in una magnifica avventura che porterà il nostro fin nella guerra civile che si sta svolgendo verso la fine degli anni Quaranta in Grecia, ai confini con l’allora Yugoslavia comunista di Tito. Il giovane avvocato cerca un uomo e investiga nel suo passato attraverso il quale arrivare al presente e, scrive Ambler, riflettendo i pensieri del protagonista: “Non era possibile che mentre scopriva qualcosa su quel morto, avesse anche cominciato a scoprire qualcosa su se stesso?”.

Questa è una formula, un impianto se volete, che è proprio dei romanzi di Ambler e che lo definiscono come scrittore assolutamente non assimilabile ad altri autori di gialli o spy-story, che sposano l’avventura fine a se stessa e perciò in qualche modo inutile.

Io me n’ero accorto fin dall’inizio, al contrario dei critici e, se volete, anche degli editori che continuavano a definire Eric Ambler autore di genere. La verità emerge solo ora, grazie all’iniziativa di Adelphi che ha preso a pubblicare i romanzi di Ambler, seppur alcuni con il titolo cambiato. Per cui, ad esempio, Uno strano processo lo potete leggere oggi con il titolo Il processo Deltchev e L’eredità Schirmer col titolo Il caso Schirmer. Per il resto, potete trovare La maschera di Dimitrios ed Epitaffio per una spia col titolo invariato. Mentre l’ultimo romanzo di Ambler pubblicato da Adelphi è Tempo scaduto che sarebbe poi quel Mancanza di tempo pubblicato da Rizzoli, un romanzo indubbiamente minore e molto noioso del nostro, rimesso in circolazione solo per i suoi richiami di attualità al terrorismo arabo.

Un terzo elemento, anch’esso non secondario, del fascino che Eric Ambler trasmette al lettore è una certa atmosfera d’epoca che la sua narrazione riesce a suscitare, ovvero la stessa che possiamo ritrovare in alcuni film in bianco e nero prodotti negli stessi anni in cui lo scrittore scriveva i suoi romanzi maggiori.

Tutto ciò rivaluta questo maestro che, fin dalle mie introduzioni ai suoi libri pubblicate sulle collane omnibus di Segretissimo, negli anni Ottanta, avevo cercato di sottrarre dal ghetto del genere, non perché la spy-story sia un genere negletto – vi appartengono scrittori anche di alto profilo come John Le Carré o di grande interesse come Frederick Forsyth – bensì perché non è solo quella la sua unica chiave di lettura come si è lasciato intendere per tanti anni. Fino almeno a che Adelphi, con una delle sue operazioni editoriali di grande invenzione, gli ha dato la misura giusta. Quella del grande scrittore quale egli è sempre stato.

Se volete conoscere meglio Diego, i suoi pensieri e i suoi romanzi, visitate il sito www.diegozandel.it