Su di una barca ormeggiata in mare aperto vivono un uomo e una giovane ragazza. L’uomo aspetta che la giovane compia il diciassettesimo anno di età per poterla sposare…

 

Sdoganato una volta per tutte, il cinema di Kim Ki-duk è diventato un appuntamento fisso per chi ne ha voglia. Voglia soprattutto di sguardi mai obliqui su sentimenti basilari che il cinema di Kim Ki-duk ha sempre trattato lontano dal compitino ben scritto e alla fine stucchevole.

Per certi versi simile a Ferro 3 (piuttosto che a La samaritana) dove la passione trovava il suo sfogo naturale nella presenza in spirito di un lui che nulla poteva tenere lontano dalla sua lei, anche stavolta il discorso verte su temi come la passione che brucia anche se l’oggetto è quanto mai prossimo, sul desiderio, ma soprattutto su come sia lo sguardo a fare da cerniera tra i due, tema, questo dello sguardo-cerniera, non soltanto che Kim Ki-duk dimostra di conoscere a menadito, ma che si ritrova, a ben riflettere, in svariati film (i noir, ad esempio…).

 

Stavolta i personaggi cardine sono un anziano e una giovane al quale se ne aggiunge come detonatore un terzo, giovane anch’esso, cui spetterà il compito di far esplodere le contraddizioni di un rapporto troppo sbilanciato per concludersi in modo indolore. Ma anche se detta così la faccenda sembra studiata a tavolino, quello che conta davvero è che L’arco gode di una straordinaria ricchezza visiva che vola alta sulle parole (l’anziano e la giovane promessa sposa semplicemente non parlano…) capace di regalare un sontuoso e lunghissimo finale i cui mille e uno risvolti metaforici corrono l’unico rischio di non essere colti per intero (a iniziare dal sottoscritto…).

 

L’arco del titolo è pluriuso: arma, strumento musicale, mezzo di divinazione.