AVVERTENZA: La seguente recensione contiene spoilers su tematiche, contenuti e finale della serie televisiva “Dead Ringers- Inseparabili” (2023). Una versione in inglese dello stesso testo è visionabile qui:

https://sacharosel.wordpress.com/2023/07/26/dead-ringers-or-capitalism-celebrating-itself/

La nostra è un’epoca decisamente sgradevole, scandita dal mondo fatuo e virtuale dei social media che funge da cassa di risonanza per gli istinti più deplorevoli, un tempo occultati nella vita reale come qualcosa di cui vergognarsi ma ormai trasformati in motivo di vanto: odio, dominazione, shadenfreude, oppressione (e soppressione) del più debole, sopravvivenza e celebrazione del più forte. In altre parole, il trionfo dell’orrendo vecchio capitalismo nella sua ennesima incarnazione, moribondo ma non ancora morto, con addosso una nuova e sfavillante maschera di impunità volta a cancellare con ogni mezzo necessario chiunque sia in disaccordo col suo istinto cannibalistico e (auto)distruttivo.

Gran parte della narrazione sviluppata in Dead Ringers (2023), rilettura recente del classico di David Cronenberg del 1988 (che a sua volta era un adattamento cinematografico di un libro basato su una storia vera) proviene dalla stessa celebrazione sgradevole, irritante e autoindulgente del capitalismo. Ben lungi dall’essere una critica alla sovrastruttura misogina alla base di cliniche e reparti ospedalieri riservati alla maternità, la serie televisiva finisce invece per rafforzare la natura oppressiva della società e della cultura capitalista in quanto intrinsecamente sessiste, razziste ed escludenti. In una svolta narrativa che dovrebbe garantire una chiara forma di agency ed empowerment alle donne, i gemelli Mantle, originarimente maschi e interpretati da Jeremy Irons, sono ora due professioniste donne incarnate da Rachel Weisz. Lesbica, introversa e apparentemente più empatica, Beverly ha spesso difficoltà nel gestire i rapporti interpersonali, incapace com’è di vedere i possibili vantaggi nel trattare le persone come semplici accessori o casuali incidenti di percorso nella sua vita professionale e personale. Al contrario, Elliot non solo è eterosessuale, costantemente sopra le righe e del tutto priva di etica, ma è anche una cocainomane che ama usare (e abusare del) corpo e della mente delle persone, creando scompiglio nella vita della sorella perché è l’unico modo che conosce per esprimere qualcosa di simile all’empatia o all’amore (anche se in realtà non prova nessuna delle due cose). Entrambe ginecologhe e specialiste della fertilità operanti all’interno del sistema ospedaliero patriarcale, le due sorelle sognano di rivoluzionare il parto e la cura per le future madri creando una clinica tutta loro. Mentre però Beverly sembra essere autenticamente interessata al benessere delle madri dando loro potere decisionale prima, durante e dopo il parto, Elliot vuole in realtà realizzare un progetto segreto: sperimentare su embrioni in vita da 16 o più settimane usando gli ovociti di Beverly e creare due gemelle perfettamente identiche per darle in regalo alla sorella, ma forse anche a se stessa.

Per realizzare il progetto della clinica, le sorelle Mantle trovano la sponsor perfetta nella magnate degli oppiacei Rebecca Parker, una donna sgradevole che casualmente è anche lesbica, ha una schiera di ex mogli all’attivo e vanta inoltre una collezione di oggetti d’arte che ricordano i genitali femminili e che dovrebbero essere fonte d’ispirazione femminista e rivoluzionaria, ma che in realtà rappresentano una cinica ostentazione della sua ricchezza e del suo potere di donna bianca privilegiata. Mentre lei, la sua orribile famiglia ed Elliot si ritrovano perfettamente in sintonia nel manifestare una famelica bramosia per il profitto e la dominazione, Beverly non riesce ad accettare un mondo fatto di logica amorale e predatoria. Forse, la sua ultima conquista amorosa, l’attrice Geneviève, potrà aiutarla a comprendere e far proprio il lato più cinico della vita, anche se Elliot potrebbe intralciare la nuova relazione.

Elemento di rottura nel rapporto perfettamente simbiotico fra Beverly ed Elliot, Geneviève potrebbe davvero sconvolgere del tutto il modo in cui le gemelle si relazionano l’una con l’altra e con il resto del mondo. Come i loro predecessori cronenberghiani, Beverly ed Elliot condividono tutto, anche le/gli amanti. Essendo lesbica e timida la prima ed etero e senza scrupoli morali la seconda, la strategia di seduzione adottata dalle gemelle verso le donne solitamente implica che sia Elliot a fare la prima mossa per conquistare la preda (ovviamente del tutto inconsapevole dello scambio fra le due gemelle) per poi “donarla” alla sorella come premio con cui trastullarsi per un po’. La sceneggiatura sembra suggerire che questo sia uno dei giochi preferiti dalle dottoresse Mantle ormai da diverso tempo, il che renderebbe Beverly molto più simile alla sorella di quanto la storia non ci mostri in realtà. Alle prese con il sesso, inteso come forma di depredamento e conquista di un corpo/territorio (in questo caso femminile), le sorelle mostrano di attuare lo stesso meccanismo atto a garantire piena soddisfazione ad entrambe in quanto donne bianche, ricche e privilegiate. Il tutto funziona alla perfezione, finché non arriva Geneviève a rovinare tutto. Il nuovo elemento, aggiunto al comportamento sempre più imprevedibile di Elliot, finisce per compromettere sia l’esistenza della clinica che il rapporto fra le sorelle. Alla fine, ciascuna delle due dovrà decidere se compiere una scelta estrema oppure no, in nome dell’autoconservazione.

Elemento fondamentale dei cambiamenti recenti sulla rappresentazione delle donne nel cinema e nella televisione avvenuti in tutto il mondo (ma soprattutto nei paesi occidentali), il movimento #Metoo ha portato ad una maggiore visibilità delle donne nelle arti, producendo dei lavori interessanti incentrati su temi fondamentali quali la diseguaglianza di genere e la violenza contro le donne e permettendo un’esplorazione di punti di vista eccentrici, sovversivi e femministi a livello sia macro che micronarrativo. Esempi notevoli di questi lavori e che hanno lasciato il segno (non necessariamente creati da donne, ma sulle donne, per le donne e a favore delle donne, dando quindi un vero messaggio femminista) includono ad esempio le serie tv Big Little Lies (2017-2019, diretta da Andrea Arnold e Jean-Marc Vallée e scritta da David E. Kelley), Dietland (2018, scritta da Marti Noxon) e Russian Doll (2019, creata da Natasha Lyonne, Leslye Headland ed Amy Poehler) o film come Twentieth-Century Women (2016, scritto e diretto da Mike Mills), The Nightingale (2018, scritto e diretto da Jennifer Kent) e Misbehaviour (2020, scritto da Rebecca Frayn e Gaby Chiappe, diretto da Philippa Lowthorpe), solo per citarne alcuni. Purtroppo, questa proliferazione della visibilità delle donne nell’industria dell’intrattenimento è spesso diventata deleteria per il femminismo in quanto strategia politica volta a cambiare le regole e il sistema dall’interno, con il risultato che in questi ultimi anni sempre più film e serie televisive hanno visto le donne presenti nella trama solamente come involucro di facciata e non come veicolo di veri contenuti femministi. In altre parole, la storia potrà anche includere donne protagoniste o con ruoli di spicco, ma la loro evoluzione narrativa risulta spesso inconsistente e priva di implicazioni politiche di alcun tipo. Per l’ennesima volta, il capitalismo ha trovato un’altra risorsa da depredare e sfruttare, cannibalizzando gli aspetti più sovversivi delle donne in quanto agenti potenziali di una rivoluzione femminista in grado di rovesciare il sistema, rigurgitando i punti di vista più originali e rivoluzionari delle donne rendendoli degli ingredienti neutrali e svuotati di qualsiasi contenuto poilitico. Invece di cambiare l’industria cinematografica dal suo interno, i temi femministi hanno dunque perso di mordente. Prendiamo ad esempio il cambio di prospettiva dalla lotta femminista per l’autoaffermazione contro un antagonista maschile in Wonder Woman alla soluzione predatoria per sopperire a una mancanza d’amore in Wonder Woman 1984: c’era davvero bisogno di vedere Diana appropriarsi del corpo e della mente di un uomo per soddisfare il suo desiderio egoista di riavere il fidanzato morto tutto per sé? È a questo che si è ridotta l’istanza femminista?

Dead Ringers presenta una problematica molto simile: una storia che si presume dovesse dare agency ed empowerment alle donne finisce per dare empowerment al capitalismo. A ben vedere, agency non vuol dire semplicemente scegliere una donna come protagonista della storia, se essa consiste unicamente nel distruggere chiunque le capiti sotto tiro. Un’agency vera richiede invece integrità politica e creativa. In quanto scrittrici, credo che ognuna di noi abbia il dovere etico di creare storie che possano “inventare il futuro” (per dirla con Nick Srnicek ed Alex Williams), utilizzando elementi quali il dolore, il trauma e la violenza come percorsi per arrivare alla conoscenza di sé, la guarigione e il cambiamento per poter infine costruire un mondo diverso dove le persone, soprattutto quelle marginalizzate e appartenenti alle minoranze, possano diventare integre e riappropriarsi in modo autentico di “una stanza tutta per sé” raccontando la storia dal proprio punto di vista. L’autrice di Dead Ringers, Alice Birch, e lə suə produttorə esecutivə (moltə deə quali sono donne) non inventano invece nessun nuovo futuro, ossia un futuro dove le donne, soprattutto non bianche e di classe sociale non abbiente, possano tessere la propria voce affianco a quella delle altre donne per creare una società e una cultura migliore e più equa. Al contrario, Dead Ringers crea una celebrazione della sgradevolezza (auto)distruttiva dei nostri tempi, una sgradevolezza che è capitalista sia nella forma che nella sostanza.

In particulare, il fatto che la gemella che alla fine sopravvive sia Elliot, ossia la predatrice alfa, e non come tutti credono Beverly, ossia quella (relativamente più) compassionevole fra le due, è un’ulteriore conferma di quanto autoindulgente il capitalismo possa essere con i propri simboli pù ostinati. Elliot è quella che riesce a vincere proprio perché rappresenta e incarna il sistema al peggio (ossia al meglio), con la sua pulsione cannibale verso il consumo di persone, risorse e sentimenti. Nonostante tutto quello che ha fatto (etichettato come “sbagliato” solamente quando non è più utile all’autoconservazione e accumulazione di capitale che il sistema ha perfezionato nel corso dei secoli fin dalla sua nascita), Elliot viene alla fine celebrata come “geniale” da Silas nel suo articolo perché è il simbolo per eccellenza del sistema: bianca, avida, predatrice, fallica e anaffettiva.

Non a caso, gli unici momenti in cui la serie diventa emotivamente “vera” è quando viene data voce a due donne non bianche, marginali e di classe non abbienta: Anarcha la schiava e Greta la donna delle pulizie riescono per un attimo a passare in primo piano e a raccontare la propria storia, di cui nessuna donna bianca può appropriarsi. “Tu non puoi seguirmi”, dice Anarcha rivolgendosi a Beverly, ricordandole come non le sia permesso oltrepassare la linea che separa le donne bianche privilegiate dalle donne nere indigenti ed emarginate cancellate dalla Storia scritta dal maschio bianco. La sua sarebbe stata una storia completamente diversa, e sicuramente molto più interessante da sviluppare in una serie televisiva, invece è stata scelta unicamente come collante emotivo volto a dare spessore e significato al temporaneo rifiuto del capitalismo da parte della protagonista “buona” Beverly, salvo poi farle comunque accettare i privilegi derivanti dal sistema per sé e per la sorella in quanto donne bianche in una posizione di potere. Alla fine, si resta con il dubbio sul perché Alice Birch abbia scelto di raccontare una storia su due ginecologhe donne ricche fondamentalmente assimilabili a dei predatori dalla mentalità maschile camuffati da donne (per rimanere in un universo cronenberghiano, le immagini usate in Dead Ringers e in particolare l’ossessione per la simbologia legata all’atto della penetrazione sono curiosamente simili a quanto mostrato in Possessor di Brandon Cronenberg, un’altra storia incentrata su un predatore fallico dalle sembianze femminili), donne le cui ambizioni non hanno nulla di politico, invece di creare una storia del tutto differente incentrata unicamente su Anarcha o su Greta e sul loro dolore. Senza dubbio, questa scelta avrebbe rappresentato un scarto politico ben più forte rispetto alla rappresentazione misogina del corpo femminile esposta nel film originario di David Cronenberg.

In realtà, proprio come in Cronenberg, la serie televisiva mostra e concepisce il corpo femminile come oggetto di aggressione, un campo di battaglia costantemente sondato, invaso, sezionato, squarciato, dissanguato e potenzialmente distrutto dalle sorelle Mantle (soprattutto da Elliot, anche se la collusione di Beverly con il sistema e il suo atto di “suicidio assistito” la rendono una complice irresponsabile e fin troppo accondiscendente). Saranno anche delle “donne”, ma il loro atteggiamento predatorio nei confronti delle altre donne (molte delle quali non bianche) è in realtà in tutto e per tutto maschile. In altre parole: non basta una “donna” (concetto già di per sé ambiguo perché filosoficamente codificato dagli uomini sulla base di canoni maschilisti) per scrivere una storia femminista; ci vuole una persona femminista per scrivere una storia femminista. Il che non vuol dire necessariamente che chi crea la storia o che lə personaggə principali debbano essere delle donne. Se non cambiamo la dinamica che soggiace alle strutture di potere fra le persone, di fatto nulla cambierà nella nostra storia. Il thatcherismo dovrebbe essere una prova inconfutabile di quanto ciò si sia dimostrato vero nel mondo della politica in passato, così come ne è ampia testimonianza il triste inasprirsi del nazionalismo nella politica contemporanea. Se le dinamiche non cambiano, i copioni rimarranno sempre incentrati su personaggi (il maschile univoco è voluto) Fassibinderiani mossi da una sete fascista (e dunque misogina) e perversa per l’autoconservazione e l’indifferenza verso la sofferenza delle altre persone, che vanno schiacciate proprio perché soffrono e “provano emozioni”.

Per quel che riguarda le altre donne non bianche incluse nella trama, la loro alterità è totalmente irrilevante (o fatta passare inosservata) da un punto di vista politico. Prendiamo Geneviève, ad esempio: la sua blackness è tutt’al più accidentale, un semplice prodotto secondario delle leggi americane sull’affirmative action che permettono alle attrici nere di apparire sullo schermo ma solo in ruoli da “spalla” della protagonista bianca. Inoltre, cosa ben peggiore, Geneviève esibisce la stessa mentalità capitalista, maschilista e predatrice che tutte le altre personagge principali (bianche) mostrano, in particolare quando dice a Beverly che devono farlo “senza preservativo” perché vuole “mettere un bambino dentro” il suo corpo. Il fatto che le bambine che vediamo alla fine assomiglino più a lei che non a Beverly sembra quasi suggerire che il sogno di Elliot di creare la formula per lo “sperma femminile” in laboratorio si sia trasformato in realtà. A questo dovrebbe ridursi una rappresentazione femminista della realtà, a un riprodurre lo stesso linguaggio costruito dagli uomini imbastendo una relazione “romantica” attorno alla solita vecchia fantasia di colonizzare il corpo femminile impregnandolo con il proprio seme?

In effetti, la serie dà una rappresentazione molto problematica del sesso: nel suo costante bisogno di soddifare una fame vorace che include letteralmente tutto e chiunque le capiti sotto tiro – cibo, persone, magari anche entità non commestibili – Elliot incarna sia il predatore esterno che quello interno, quella pulsione orribile che spinge il capitalismo verso il cannibalismo e la distruzione. In Dead Ringers, essere una donna libera è sinonimo di avere una vita sessuale perversa, deviante o abusante con chiunque si trovi nella stessa stanza. Più che una donna libera, però, Elliot sembra un vampiro energetico, che prosciuga chiunque venga a stretto contatto con lei, per poi passare alla vittima successiva.

Nel complesso, Dead Ringers è una serie dove ogni personaggə è profondamente sgradevole e ossessionatə in maniera irritante dall’idea di celebrare la propria sgradevolezza come qualcosa di figo e liberatorio (tratto costante di alcune icone “femministe” vere o presunte degli ultimi anni, basti citare Fleabag o Smilf). L’atto di scopare, in inglese fucking, così come l’ossessiva ripetizione della parola “fucking” (equivalente all’esclamazione italiana “cazzo”, anche se in inglese non designa l’organo sessuale maschile ma appunto l’atto sessuale) fra una parola e l’altra funge da significante del potere e della dominazione per coloro che la usano (per lo più donne bianche) ai danni delle persone presenti: Elliot, Rebecca e Mackenzie, le maschie alfa della storia (per inciso, il fatto che la senzatetto Agnes scelga lo stesso linguaggio non la rende parte del team alfa ma solo una triste parodia dell’autoproclamata onnipotenza/onnipresenza del team stesso). Questa ossessione con il fucking nella lingua come nella pratica – una pratica violenta e predatoria dove la liberazione si ottiene sempre ai danni di qualcun altrə – è l’equivalente dell’uso lacaniano della parola phallus in quanto significante del potere e dominio maschile sulle donne (e sulle persone non binarie). Il sesso, dunque, viene usato o come forma di assimilazione (nel caso di Rebecca con la sua “ingenua” moglie Susan) o come forma di annientamento (nel caso di Elliot con i suoi partner maschi casuali).

Il che ci porta al finale. La serie si conclude con Elliot che uccide Beverly strappandole le due gemelle dal corpo sanguinante, per poi prendere il posto della sorella e vivere affianco alle altre persone impersonandola senza sosta. Nessuno dovrebbe sapere quel che è accaduto, e la verità si presume rimarrà per sempre sigillata nella coscienza perversa da cannibale di Elliot, eppure è molto difficile credere che nessuno si accorgerà di come siano andati realmente i fatti, visto lo scempio del corpo dilaniato dal parto cesareo rimasto in clinica; rimande dunque il dubbio se Rebecca, Geneviève, Tom e chiunque altro siano complici e consenzienti del suo atto di sostituzione, scegliendo poi di far finta di niente. È proprio racchiusa qui tutta l’ideologia soggiacente alla storia: la personaggia principale, l’unica gemella rimasta in vita, rappresenta il trionfo della mentalità maschile predatoria nascosta dietro una maschera di donna. Diciamo pure addio alla sorellanza che il femminismo dovrebbe incarnare: nessun cambiamento nelle relazioni di potere e nella loro dinamica è possibile nell’universo Mantle-Parker. Alla fine, dietro l’atteggiamento femminile “mi-scopo-chi voglio solo perché posso farlo” c’è sempre lo stesso sistema di sopraffazione maschilista e patriarcale. Il fatto che Elliot sopravviva soltanto impersonando Beverly, dunque per sempre nascosta dietro una maschera, potrebbe sembrare una punizione esemplare per una persona come lei, abituata a scatenare la sua furia incontrollata sul mondo. E se invece tutti conoscessero la verità e, appunto, facessero finta di niente? Dopo tutto, hanno ottenuto quello che volevano – la gemella “geniale”, quella che garantisce al capitalismo il suo perenne autoriprodursi. Così, tutti vincono – tutti tranne il femminismo, ovviamente, e la sgradevole bestia del capitale continua a camminare fiera a testa alta senza alcun intoppo lungo il cammino.

Personalmente, ritengo che non dovremmo reagire alla sgradevolezza dei nostri tempi aggiungendovi ulteriore sgradevolezza al punto da celebrarla ad nauseam (come si divertono a fare molte figure politiche o guru di altro tipo sui social media). Abbiamo invece il dovere etico di combattere questa sgradevolezza esplorando e celebrando la bellezza. Sfortunatamente, non c’è neanche una parvenza di bellezza in Dead Ringers, tranne per l’apparizione spettrale di Anarcha, che ci ricorda come la medicina moderna sia fondamentalmente un’invenzione razzista basata sulla superiorità sociale ed etnica, e il percorso interiore di Greta, da apparente feticista ad artista consapevole in grado di rielaborare il trauma personale e materno in senso profondo e dunque politico. Questi sono gli unici veri accenni di empowerment e rilettura femminista che la sceneggiatura riesce a compiere sulla storia originaria dei gemelli Mantle (in inglese omofono di mental, “matto/a”), senza mai trasformarla per davvero da history, ossia la Storia declinata unicamente al maschile, in herstory, dove le donne sono protagoniste del proprio destino. Per il resto, Dead Ringers sembra esistere unicamente perché, al di là dei contenuti e del pathos (o sua eventuale assenza), i remake sono “fottutamente redditizi”, come dice Rebecca parlando della nuova clinica, esclamazione che può riferirsi tranquillamente alla serie nel suo complesso e alla logica dietro la sua creazione: un uso cinico e aziendale della creatività, che diluisce le tematiche femministe di agency e controllo sulla narrazione fino a renderle una mera ripetizione della solita vecchia storia dei predatori che distruggono l’Altrə, lə diversə, l’eccentricə e lə sovversivə.

Nel frattempo, nel mondo reale, le donne, lesbiche, eterosessuale, nere, asiatiche o bianche che siano, sono ancora vittime di abusi psicologici e verbali, ridicolizzate, discriminate, azzittite, calpestate, molestate, aggredite, stuprate e uccise dagli uomini per il fatto stesso di essere donne, quindi con il preciso intento di cancellare la loro presenza fisicamente, psicologicamente, culturalmente, politicamente, o tutte queste cose insieme. Nonostante la convenzione di Istanbul, la violenza sistemica contro le donne è tutt’altro che morta e le leggi a tutela contro di essa sono spesso troppo vaghe, virtualmente inesistenti o raramente applicate in maniera efficace. Sebbene il dibattito culturale sul consenso sia comune in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, con leggi specifiche contro la misoginia di ogni tipo, inclusi il catcalling o l’upskirting, non esiste nessuna legge universale sul consenso che venga applicata in ugual misura da tutti i governi, né un accordo a livello politico su quali atti costituiscano una “molestia” o una “violenza” né come e quando esse debbano essere punite per legge, il che spesso si traduce in episodi sistematici di violenza istituzionale contro le donne. Ad aggravare la situazione, la disparità di salari è ancora una pratica comune e le donne sono ben lontane dall’aver raggiunto una posizione di potere nel mondo, in politica come nel lavoro – a meno che non decidano di far parte del favoloso club dei maschi bianchi. Poche fra le donne attualmente in posizione di potere in politica possono essere definite femministe –certo è il caso di Yolanda Diaz e Katrin Jakobsdóttir, ma altre donne politiche sono totalmente complici del sistema e conformi alle sue regole che opprimono le donne da secoli. Sebbene non si possano definire predatrici, senza dubbio queste donne in posizione di potere non fanno nulla per fermare la cultura predatoria e machista alla base del sistema. Ecco perché scegliere di descrivere le donne come stronze predatrici e privilegiate quando nel mondo reale le donne vengono oppresse o addirittura cancellate, spesso con l’aiuto delle istituzioni e dei mass media, non solo è irritante, ma inaccurato a livello socio-culturale e politicamente irresponsabile. Il punto della liberazione femminista dovrebbe essere quello di smantellare la struttura oppressiva del potere; ma se si usa il proprio stato di donna liberata – che può includere scoparsi tantə partner consenzientə tanto quanto opzioni alternative quali l’asessualità, il celibato, la monogamia o altro ancora – per opprimere altre donne, e alla fine cancellarle come fa Elliot con Beverly, il punto di vista femminista dove va a finire? Come si può pretendere di eliminare l’oppressione se si finisce per diventare il nuovo oppressore?