Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente.

Fisicamente posso essere ovunque. Avrei uno studio ben organizzato scrivania, libreria e tutto il cucuzzaro, ma si dà il caso che poi scriva letteralmente ovunque. Divano, letto, tavolo della cucina e così via.

Mentalmente sono dentro la scena che sto scrivendo o immaginando. Chiunque scriva lo sa che l’atto fisico dello scrivere non è il solo momento in cui si vive a contatto con i propri personaggi e le loro vicende. A volte l’immersione nel testo è totale e pure un po’ pericolosa, soprattutto se si è alla guida di un veicolo o si sta svolgendo altra attività che richiederebbe molta attenzione.

Potete chiedere a chi ha dovuto mangiare piatti cucinati da me.

Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?

E’ difficile rispondere a questa domanda perché non c’è un unico modo. Dipende dai casi.

Nello specifico, l’idea ha preso il via dalla lettura di un saggio di Robert Jay Lifton sui medici nazisti.

Non godevano della mia simpatia già da prima, ma la lettura di quel testo mi ha fatto molto riflettere sulle enormi responsabilità della classe medica nazista e non soltanto nell’annientamento del popolo ebreo, ma anche in altre efferate attività. E non mi riferisco soltanto a medici tristemente famosi come Mengele.

Moltissimi hanno ad esempio partecipato o favorito l’eliminazione dei disabili nelle Germania nazista.

Scelto il colpevole e il reato, la vittima è stata solo una conseguenza.

 
Qual è il tuo modus operandi?

Anche in questo caso non ho un unico modo di affrontare la scrittura di un romanzo. In generale però posso individuare due momenti principali.

Un lungo o lunghissimo periodo in cui la vicenda ha una sorta di maturazione nella mia mente. E’ lì che la trama ha la sua prima bozza e che nascono i personaggi.

Una successiva fase è di scrittura vera e propria che può seguire o discostarsi parzialmente da quanto abbozzato in precedenza.

Non faccio scalette ma schede, schemi e tabelle di ogni tipo.

Chi sono i tuoi complici?

Il mio complice principale è il silenzio. Conosco amici scrittori che lavorano nei bar, circondati dalla variopinta moltitudine degli altri avventori.

Io ho bisogno di silenzio e di tranquillità. Altri complici sono alcuni amici che si prestano gentilmente a dare una prima lettura. I loro occhi e le loro sensazione arrivano dove io non arrivo più perché troppo abituata a quanto ho scritto.

Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!

Parlo volentieri. Mi piace incontrare lettrici e lettori alle presentazioni. Nella maggior parte dei casi non hanno ancora letto il libro e adoro incuriosirli e suscitare dibattiti.

Rispondo molto di buon grado anche alle mail con le quali chi ha letto il libro mi racconta le emozioni che ha provato o non ha provato leggendolo.

Sono ben accette anche le critiche non necessariamente costruttive, mi si può anche dire che in tutta onestà il libro non è piaciuto e a questa affermazione non seguirà un terzo grado.

Unica eccezione gli insulti gratuiti. A quelli non rispondo.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere?

Io scrivo per il puro piacere che mi dà il creare trame, intrecci e personaggi.

Tuttavia mi accorgo che attraverso ciò che invento passa anche ciò che penso.

I messaggi sono diversi di volta in volta e mi ritengo soddisfatta quando i miei romanzi veicolano delle idee che travalicano la pura e semplice vicenda narrata e si fanno messaggio universale non più legato solo all’epoca e alla storia raccontate.