Anno 2011, una scuola superiore di una città imprecisata della Cina contemporanea: nel pieno della pressione da countdown, a sessanta giorni dagli esami di ammissione all’università, la studentessa Hu Xiaodie (Zhang Yifan) si lancia dal primo piano morendo sul colpo. Tutti rimangono attoniti da quell’evento inaspettato e nessuno tenta di avvicinarsi; gli studenti in particolare si limitano a scattare foto ossessive con i cellulari scambiandosi messaggi concitati ma rigorosamente da lontano, come per scacciare la presenza della morte visto l’approssimarsi di un evento così vitale e di assoluta importanza come gli esami. Soltanto una ragazza, Chen Nian (Zhou Dongyu), osa andare vicina al cadavere e coprirlo con la propria giacca in segno di rispetto, magari anche di affetto, verso una compagna che non ormai non c’è più. Quel singolo atto, così spontaneo e naturale perché umano, porta però a delle conseguenze nocive ed irreversibili nei confronti di chi l’ha compiuto: all’improvviso, Chen Nian viene vista come un’anomalia nel sistema scolastico, tutto votato alla competitività e all’impegno proattivo, dove la sicurezza del campus e l’infallibilità della ratio studio=successo, unite al piegarsi al volere di professori, consiglio scolastico e famiglia, devono rappresentare l’unico credo possibile per le studentesse e gli studenti senza farsi distrarre da niente. In altre parole, dimostrare di avere empatia per qualcuno o dare senso e dignità alla perdita non possono essere visti come segnali positivi; viceversa, devono diventare oggetto di attenta indagine da parte della scuola e della polizia, per poi conseguentemente far trasformare chi ha palesato quegli stessi segnali in nuovo bersaglio. Inizia così l’impietosa e dolorosa trasformazione di Chen Nian da “amica” della vittima di bullismo del campus in nuova vittima sacrificale, presa di mira dal gruppo capitanato dall’ipocrita ragazza di buona famiglia  Wei Lai (Zhou Ye), già torturatrice di Xiaodie e ora intenzionata a farla pagare in tutti i modi alla “spia” interrogata dalla polizia.

Chen Nian sembra ormai persa nelle maglie di un gioco sempre più crudele e senza via d’uscita, ma l’incontro casuale e violento con il teppista Xiao Bei (Jackson Hee) le offrirà un’inaspettata occasione di riscatto per poter arrivare indenne, e possibilmente vittoriosa, agli agognati esami di ammissione e finalmente avere la possibilità di andarsene dall’incubo di una vita anonima di provincia  ̶  salvo poi dover fare i conti con i propri fatali errori, unica strada possibile per poter entrare nell’età adulta e lasciarsi alle spalle “la te adolescente” (che è poi il titolo originale in cinese del film, Shao nian de ni  少年的你).

Alla sua seconda prova alla regia, con Better Days (questo il titolo internazionale dell’opera) l’hongkonghese Derek Tsang crea una storia ambientata e finanziata nella Cina continentale, con tutte le problematiche tipiche del caso, vista la (auto) censura con cui le registe e i registi cinesi che lavorano con capitali mainland devono inevitabilmente fare i conti se vogliono che le proprie opere vedano la luce e vengano distribuite, in Cina come all’estero. Nello specifico, Shao nian de ni/Better Days doveva essere presentato alla selezione ufficiale dell’edizione 2019 del Festival di Berlino, ma è stato ritirato “per motivi tecnici”, probabilmente perché alcuni contenuti erano risultati poco rispondenti all’ideale di “sogno cinese” teorizzato da Xi Jinping nel suo testo politico The governance of China del 2014 e rinforzato dal 2017 in poi con continui attacchi a tutte quelle espressioni di arte incapaci di esaltare il vitale ottimismo che una nazione leader come la Cina deve assolutamente trasmettere al suo popolo e ai popoli esteri per risultare “vincente”. A questo riconducono, ad esempio, le scritte esplicative sul bullismo che incorniciano il film sia in apertura che in chiusura, inquadrandolo apertamente come problema chiave della società contemporanea globale e dandone una possibile soluzione grazie ai ripetuti interventi del governo cinese per contrastarlo con programmi specifici creati ad hoc e prontamente menzionati nel film. A chi ha assistito alla proiezione durante il FEFF 22, questo intento propagandistico, mirato ad accrescere il soft power cinese nel mondo attraverso la visione del film di turno, è sembrato accentuato (parodiato?) dall’intervento iniziale dell’attrice Zhou Dongyu, che ha introdotto il film ricordando con una dizione American English quasi perfetta quanto sia importante combattere il fenomeno del bullismo perché “i bambini sono il nostro futuro”. All’apparenza, dunque, Shao nian de ni/Better Days si colloca dichiaratamente come film di denuncia, ruotando attorno ad un unico grande argomento e tracciandone gli sviluppi; in realtà, a differenza di Victim(s), opera pura e compatta nel suo descrivere la discesa dei personaggi nell’asfissia del sé e nell’inazione impotente, Shao nian de ni/Better Days è invece un’opera spuria che cambia continuamente pelle, trasformandosi via via da dramma sul bullismo a qualcosa di sempre diverso: una storia d’amore, un romanzo di formazione adolescenziale, un cammino di redenzione e riscatto, una sfida di due ribelli, una crime story, un dramma di delitto e castigo, con colpi di scena continui e serrati. In questo, il film sembra marcatamente erede della tradizione cinematografica più originale della Hong Kong di fine ventesimo secolo, dove un film poteva essere mille cose diverse nello stesso tempo e cambiare continuamente direzione senza perdere di coerenza e bellezza (si pensi ad esempio ad Anna Magdalena di Chung Man Yee, meraviglioso caleidoscopio di romance, ghost story e molto di più). Peccato che le parti più poliziesche del film, con il confronto ostinato fra il giovane idealista Zheng Yi (Fang Yin) e il navigato Lao Yang (Huang Jie), ma soprattutto gli estenuanti interrogatori fra Zheng Yi da una parte e Chen Nian e Xiao Bei dall’altra, finiscano per diventare esasperanti, e viene anche da chiedersi se il finale originario del film fosse davvero quello, o se l’imperativo dell’ottimismo abbia costretto Derek Tsang a cambiare le carte in tavola e a piegarsi ad una visione più conciliante, dove non sono tanto i sentimenti o la verità a trionfare ma la polizia (e quindi il governo che essa rappresenta), che deve dimostrare di riportare la situazione alla normalità e  far quadrare il cerchio.

Al di là dei limiti, inevitabili per un film in qualche modo deturpato della sua vera natura (che forse non conosceremo mai), Shao nian de ni /Better Days è un’opera di sicuro interesse, con una grande prova attoriale di Zhou Dongyu e una descrizione neanche troppo velata delle tante storture del sistema scolastico cinese, caratterizzato da quell’inquietante misto di sessioni pubbliche di ginnastica accompagnate da slogan  al megafono di maoista memoria e lezioni/cerimonie di fine anno simili a convention americane sulla PNL, con docenti investiti più del ruolo di coach motivazionali dispensatori di ricette spicciole per raggiungere la meta prestabilita (“Aprite le braccia al vostro futuro!” recita uno degli slogan sulla fiancata di un autobus scolastico) che della responsabilità di essere guide e facilitatori in grado di fornire strumenti per interpretare il mondo. Forse perché interpretare richiede pensare, e in un universo superficiale e di facciata dove contano solo il successo e la sicurezza (an quan 安全, altra vera ossessione della Cina contemporanea) probabilmente pensare, (così come avere degli “amici”, a scuola o altrove), non è utile. Ed è forse proprio in nome di una visione personale della sicurezza e del successo che Chen Nian dimostra di avere che si può leggere una delle battute chiave del film pronunciata da Xiao Bei, che racchiude forse il senso ultimo di tutta la storia: “Tu proteggi il mondo, e io proteggo te”.  

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