Parigi, sabato 2 luglio, ore 11.30

Di primo mattino dopo la sveglia, l’uomo che considerava il suo maestro gli aveva chiesto: « Sei pronto? »

« Sì! » aveva risposto lui con enfasi, ma si era accorto che il cuore gli batteva troppo forte per un vero soldato.

L’altro lo aveva accompagnato fino all’automobile lasciandolo con il giovane silenzioso che aveva conosciuto la sera prima. I parigini cominciavano ad abbandonare la città per le vacanze e il traffico era abbastanza fluido. Quando giunsero in prossimità del l’edificio, il giovane silenzioso accostò per farlo scendere e gli disse: « Adesso sei solo. Che Dio ti accompagni ».

Mentre l’automobile si allontanava lentamente, lui si avviò verso l’entrata principale. L’edificio era già affollato. Guardava quei volti, le loro kippah, i loro ridicoli scialli sapendo che doveva odiarli; certo che li odiava! Gli sembrò che alcuni di essi lo guardassero con fare inquisitorio. Secondo le istruzioni ricevute il giorno precedente, quando avevano eseguito una prova, si appoggiò al muro vicino a una porta da cui passavano molte persone. Indossava jeans e un’ampia giacca a vento; aveva caldo e sudava abbondantemente. Cercò nella sua mente una preghiera e le sue dita si avvicinarono al pulsante, ma subito se ne allontanarono e lui si disse: ancora un momento. Poi fu il buio.

In pochi secondi lo spazio intorno al l’ingresso della sinagoga di rue des Rosiers fu avvolto da un fumo denso e l’atmosfera invasa dalle urla dei feriti e dalle voci terrorizzate di chi riusciva a darsi alla fuga. Le ambulanze arrivarono rapidamente, con le sirene spiegate che si aggiungevano al clamore delle persone. I soccorritori trovarono una scena infernale: sangue sparso sulle pareti, brandelli di membra umane e corpi ancora vivi straziati dal dolore. Dopo poco, fu il turno delle televisioni, seguite quasi immediatamente dal presidente della Repubblica, dal primo ministro e dal ministro degli Interni. Ciascuno pronunciò, secondo il rango che gli competeva, le inutili ma necessarie parole dettate dalla circostanza.

Dopo meno di un’ora gli ebrei di Parigi e di numerose altre città si erano mobilitati e avevano organizzato la reazione. Alcuni giovani avevano eff ettuato una spedizione punitiva in un quartiere magrebino; la polizia era intervenuta ed era rimasto a terra un morto di origini algerine. Prima di sera, le banlieues erano precipitate nel caos: devastazione di negozi e centri commerciali, automobili date alle fi amme. Per puro miracolo non c’erano stati altri morti.

Parigi, venerdì 8 luglio, ore 11.00

La riunione aveva luogo nel l’ufficio di François Crozet, segretario generale dell’Eliseo. Erano presenti Philippe Garland, consigliere del presidente per la sicurezza nazionale e Rodolphe de Beaumont, responsabile della DCRI, la Direction Centrale du Renseignement Intérieur: il servizio preposto alla sicurezza interna. Il quarto partecipante era il colonnello Anne Dumont, capo della Direction du Renseignement della DGSE, la Direction Générale de la Sécurité Extérieure: lo spionaggio francese, detto anche comunemente « la Piscine ». Il colonnello Dumont rappresentava il suo capo, il generale Emile Rauche, assente per ragioni di salute.

Conosceva bene Garland e Crozet, meno Beaumont. Crozet era prestante, elegante e disinvolto. Da lui emanava la sicurezza di chi è uscito primo nella sua promozione all’ENA, la prestigiosa scuola che forma i dirigenti dell’amministrazione francese e si muoveva come se il palazzo dell’Eliseo fosse stato costruito al solo fi ne di fornire un palcoscenico adeguato alla sua persona. Fra lui e Anne Dumont pesava l’episodio di una notte in un albergo, durante una visita di Stato in Uzbekistan: erano finiti nello stesso letto dopo un viaggio sfi ancante e un’interminabile cena ufficiale passata a evitare l’abominevole cibo locale. Per lei era un ricordo da dimenticare e da mettere sul conto dell’eccesso di adrenalina. Crozet aveva evidentemente un’opinione diversa e riteneva di avere, con quella notte sublime, preso defi nitivamente possesso della bella spia. L’unica cosa che lo tratteneva dall’essere più insistente erano le attenzioni che anche il presidente le rivolgeva, peraltro senza successo.