Breve racconto-anteprima di “Mondo9” (Delos - Odissea Fantascienza): il volume che raccoglie la saga completa del ciclo fantascientifico di Dario Tonani

Garrasco si scostò di lato per non avere in faccia il disco ovale del sole e si passò un fazzoletto sulla fronte. Dopo una giornata senza l’ombra di una nuvola, i ponti dell’Afritania erano piastre di metallo rovente.

Issati a bordo da una gru, i cadaveri erano stati lasciati per ventiquattr’ore a penzolare a testa in giù. Due sagome gigantesche, un uomo e una donna, probabilmente madre e figlio. Cinquecento chili di carne esplosa, che le catene riuscivano a stento a sorreggere, in attesa che i loro corpi si svuotassero fino all’ultimo granello.

Bombe umane...

...al tramonto.

Garrasco era stato assegnato allo svuotamento delle grosse tinozze che avevano il compito di raccogliere tutto ciò che quei poveri corpi contenevano: sabbia e ancora sabbia. Soltanto sabbia.

Trascinò a due mani una tinozza piena da sotto il corpo del ragazzino e la rimpiazzò con una vuota. Poi fece lo stesso con quella della donna, maledicendone il peso. La puzza no, non gli dava fastidio, non più: dalla notte prima si era diffusa per tutta la nave e ormai l’equipaggio ci aveva fatto il callo. Gettò un’occhiata al contenuto delle due tinozze: la sabbia raccolta non era poi tanto diversa da quella del deserto che stavano attraversando, appena più rossiccia e più umida, come se gli organi interni dei due cadaveri, polverizzandosi, avessero voluto lasciare un’esile traccia della loro identità originaria. Garrasco issò a braccia la prima, l’appoggiò al corrimano arrugginito e la rovesciò fuoribordo. Sapeva che quanto aveva per le mani era ormai diventato materiale inerte, non più in grado d’insinuarsi in un corpo umano da ogni orifizio e farlo deflagrare dall’interno, spappolando muscoli, ossa, tendini. Tutto.

I cadaveri erano martoriati dalle ferite - veri e propri fori nella pelle - dai quali continuavano a fuoriuscire rivoli di sabbia rossastra: la stessa “sabbia pirica” che chissà quante volte l’Afritania aveva calpestato con le sue ruote. Garrasco vuotò anche la seconda tinozza e, avambracci sul corrimano, si fermò a riprendere fiato e a contemplare il deserto. In quasi nove anni a bordo ricordava di avere messo i piedi a terra solo una dozzina di volte, e tre appena nella sabbia. Anche se c’erano nomadi che, a dispetto dei pericoli, vivevano là fuori, e dalle dune contraevano ogni sorta d’infezione. La “sabbia pirica”, però, era un altro paio di maniche, una brutta gatta: non ti lasciava scampo. Madre e figlio dovevano essere morti così, avventurandosi incautamente in un banco infetto senza neppure accorgersene.

Ora la carne che restava sarebbe diventata cibo per l’Afritania; anche se a dire il vero, due magri bocconi di pelle rinsecchita, capelli arruffati dall’esplosione e poco, pochissimo altro.

Quante tinozze aveva vuotato? Sei dalla donna e almeno quattro dal ragazzo. Garrasco si staccò dal corrimano e tornò a fissare controluce le ombre dei cadaveri penzolanti. Le catene cigolavano indolenti al moto della nave, il flusso di sabbia ridotto a pochi rivoli di clessidra. I sacchi che erano stati i corpi di madre e figlio si erano svuotati quasi del tutto, pronti per essere dati in pasto all’Afritania, senza correre il rischio che la sabbia - anche pochi granelli - potesse incepparne i delicati meccanismi...