L’editore Meridiano Zero cambia corso editoriale e introduce nelle sue pubblicazioni una nuova e coinvolgente grafica, ma soprattutto introduce e ripropone nel mercato editoriale titoli forti e significativi, riprendendo le sue pubblicazioni da un “numero uno” sconvolgente: La fabbrica delle vespe di Iain Banks e da un seguito di altrettanto spessore, Il viaggio immobile di Jean Vautrin.

La fabbrica delle vespe

Meridiano Zero riscopre il romanzo culto di Iain Banks, capostipite di un’intera generazione di libri che hanno fatto dell’esplorazione degli abissi umani una cifra stilistica, del perturbante un imperativo poetico e dello scandaglio tra le limacciose acque dell’inconscio un’estetica. Molti scrittori hanno seguito le orme di Banks, ma in pochi sono riusciti a eguagliarne la potenza sotterranea e subliminale. Uscito nel 1984, il primo romanzo di Banks fece scalpore nel Regno Unito, suscitando scandalo e polemiche fino a scatenare una vera sollevazione di stampo puritano. I detrattori in realtà non si accorsero che in qualche modo parlava delle loro paure. Ben prima dell’effimera ondata pulp degli anni Novanta, Banks aveva messo in scena una memorabile creatura letteraria a metà strada tra orrore e ingenua meraviglia: Frank Cauldhame. La fabbrica delle vespe non è solo un’indagine sui rapporti tra adolescenza, inquietudine, isolamento e società, ma anche una fiaba oscura. Banks rimesta nel calderone degli archetipi. E Frank, infatti, altro non è che un archetipo: il peggiore che si possa evocare...

Cosa succede quando non si ha un’identità – domanda che emerge da ogni pagina e che viene fatta esplodere dall’annichilente finale –, quando non si entra a far parte delle rassicuranti condizioni del contratto sociale?

Frank Culdhame, il diciassettenne protagonista della Fabbrica delle vespe, è uno dei personaggi più bizzarri e, di primo acchito, cattivi della letteratura contemporanea. Frank odia: il padre, ex hippy con manie da scienziato pazzo; la madre, che lo ha abbandonato subito dopo averlo messo al mondo; tutte le donne, quasi tutti gli uomini e la maggior parte degli animali; per non parlare del mare, che considera un invasore del suo folle regno. Frank ha un amato fratello, Eric, piromane appena fuggito dal manicomio. E ha un unico amico, Jamie il nano, con cui trascorre le notti al pub, ubriacandosi.

I suoi contatti con il resto dell’umanità sono praticamente inesistenti. Frank non piace a nessuno e nessuno piace a lui. Cresciuto al di fuori delle regole della società, sull’isolotto scozzese sul quale vive da recluso – una sorta d’isola de Il signore delle mosche intima e individuale –, conduce una vita scandita da complessi rituali plasmati sulla base di una personalissima religione primitiva fatta di simboli e feticci. Frank non ha regole e quindi s’inventa un codice tutto suo, alla ricerca di quei segnali e di quei limiti di cui ogni uomo sembra aver bisogno. La sua perfida intelligenza e la mancanza di relazioni e leggi lo portano a uccidere a sangue freddo bambini innocenti, come il fratellino Paul e i due cugini Blyth ed Esmeralda, oltre a una serie infinita di animali e insetti. C’è un segreto, però, un terribile segreto che lo riguarda e che, inaspettatamente svelato nelle ultime pagine, gli permetterà di vedere chiaro nella sua esistenza.

Iain Banks è nato nel 1945 e vive in Scozia. Ha frequentato la facoltà di Letteratura inglese della Stirling University, dove si è laureato nel 1975. Alla fine degli anni Settanta comincia a viaggiare per l’Europa in autostop. È clamorosamente salito alla ribalta letteraria con la pubblicazione di questo romanzo, nel 1984. Altri titoli di grande successo sono Complicità (Longanesi) e Canto di pietra (Tea), oltre al visionario Corpo a corpo (Guanda). Banks ha inoltre al suo attivo, sotto il nome di Iain M. Banks, una vasta produzione di romanzi fantascientifici, tradotti e pubblicati da Nord e Fanucci e molto noti anche in Italia.

Dalla stampa:

“Uno dei migliori 100 romanzi del secolo.”  The Independent

“Brillante… irresistibile… avvincente.” The New York Times

“Una potente immaginazione è arrivata sulla scena.” Mail on Sunday

“La fabbrica delle vespe è un’opera prima non soltanto di grandi promesse, ma anche di grande realizzazione e conquista. Un capolavoro.” Punch

“Spazzatura!” The Times

“Una storia di eccezionale crudeltà, macabra e bizzarra. Non la si può abbandonare.” Financial Times

“Un equivalente letterario del più disgustoso genere di delinquenza giovanile.” Times Literary Supplement

“Leggetelo, se ne avete il coraggio.” Daily Express

Il viaggio immobile

Il libro con cui il grande scrittore e sceneggiatore francese vinse per la prima volta il premio Goncourt viene finalmente tratto dall’oblio da Meridiano Zero, che lo riporta sugli scaffali in tutto il suo debordante cinismo.

Pubblicato in Francia nel 1985 con il titolo Baby Boom, questo gioiello della narrativa contemporanea è approdato in Italia per la prima volta nel 1994. La sua irreperibilità nelle librerie e nelle biblioteche nostrane ha reso indispensabile la sua ripubblicazione. Tredici racconti sul filo del rasoio che hanno come protagonisti personaggi sradicati, grotteschi o ai margini dell’amore, in bilico tra follia e ragione. Questi magnifici miserabili costituiscono il centro narrativo di Vautrin: sia che si tratti del marito che, scientemente, entra nella nevrosi della moglie sterile e accetta di diventare padre di una bambola, sia che si tratti di una donna ormai vecchia che rivendica ancora il piacere sessuale o del bambino superdotato che lo rivendica già, sia infine che si tratti dell’amante appassionato che ammazza la sua compagna per poterla fotografare morta. Tutti questi personaggi sono terribili, spesso comici e sempre tragici. Tutti sono al limite delle loro possibilità, sul bordo del precipizio. Vautrin è dolorosamente affascinato dalle persone in arrivo da o in cammino verso l’inferno, colte nel momento più vicino all’esplosione, in cui tutto vacilla, tutto è possibile.

Lo sguardo umano e complice di Vautrin si sofferma su tutti quelli che bivaccano ai margini dell’amore, alla feroce ricerca della felicità. Forse il vero scopo di questi personaggi non è tanto trovare la felicità, quanto semplicemente cercarla.

Jean Vautrin, pseudonimo di Jean Herman, è nato a Pagny-sur-Moselle nel 1933. Dopo aver studiato Lettere a Auxerre e aver vinto il concorso all’IDHEC, ha conosciuto Roberto Rossellini mentre era lettore di letteratura francese all’Università di Bombay. È divenuto il suo aiuto regista della serie di documentari L’India vista da Rossellini, prodotti dalla RAI nel 1959. Tornato in Francia, ha realizzato diversi lungometraggi. A partire dagli anni Settanta si è dedicato alla narrativa assumendo lo pseudonimo con il quale ha firmato numerosi romanzi e raccolte di racconti. Con Tinte forti (Feltrinelli) ha ottenuto un grande successo di critica e di pubblico. Si è aggiudicato molti premi, tra cui il premio Goncourt, nel 1985, proprio con questa raccolta e nel 1989 con Un gran passo verso il buon Dio (Frasinelli).

Dalla stampa:

“Jean Vautrin ci fa precipitare in un mondo da incubo. Con tredici racconti al vetriolo cadiamo al centro di un universo folle, dove si dibatte la più bella collezione di poveracci, sradicati e nevrotici che si possa immaginare.” Le Figaro 

“Una raccolta di racconti del miglior Vautrin… Arte pura.” Critiques Libres

“Leggere Vautrin significa impregnarsi di una lingua, una lingua aspra, che percuote, originale, che deriva chiaramente dalla sua lunga esperienza come sceneggiatore. Assieme a un immenso potenziale letterario. Il testo oscilla sempre tra brutalità e poesia. In breve, una lingua che serve perfettamente gli obiettivi distruttivi e libertari del romanzo.” Blogdepeupl 

“Ritornano i personaggi di Vautrin e, questa volta, tentano l’impresa più difficile: raggiungere la vetta della felicità.” Histoires Ma zarine

“In un’atmosfera di tranquilla apocalisse, in cui niente crolla e niente si distrugge, dove non esistono asteoridi assassini né alieni dagli occhi peduncolati, resta solo il cuore degli esseri umani imbrattati d’egoismo, di errori e di stupidità, i falsi simulacri delle emozioni sparsi ovunque. Ma restano anche dei raggi di sole, come il ragazzino di undici anni malato d’influenza e d’amore che attende “l’acqua calda”: un racconto che profuma di baguette calde appena sfornate, che ha gli stessi colori delle magliette dei giocatori sulle figurine Panini ed emana il profumo di vaniglia della ragazze nell’ora di ricrazione...” Mes Terres Saintes