Benvenuto Massimo. Partiamo dal tuo blog, Letteratitudine, sorto nel 2006. Letteratitudine è un open-blog, un luogo d’incontro virtuale aperto a chi lavora nel settore ma anche a chi ha la passione, l’attitudine per la letteratura. Con discussioni che raggiungono i due, tremila post, Letteratitudine è uno spazio importante per parlare di letteratura. Cosa rispondi a coloro che sostengono che gli scrittori non devono parlare di letteratura, ma devono limitarsi a farla?

Credo che ognuno abbia il diritto di pensarla a modo proprio. Personalmente ritengo del tutto legittimo che gli scrittori parlino di letteratura… per il semplice fatto (peraltro) che – in quanto scrittori – sono, o dovrebbero essere, anche lettori. E ritengo giusto che parlino anche delle loro opere. Alcuni miei amici letterati non sono d’accordo. Mi è capitato, soprattutto in passato, di assistere a presentazioni in cui il relatore avvertiva che l’autore (presente al tavolo della conferenza) non avrebbe parlato della propria opera, giacché tutto quello che aveva da dire è già contenuto nell’opera medesima. Rispetto tale punto di vista, ma mi domando: a cosa serve, in un caso del genere, la presenza dell’autore?

La critica, un tempo ad esclusivo appannaggio di ristretti settori, è oggi aperta – a livelli più o meno professionali – anche a nuove categorie. Questo fenomeno può spaventare?

Be’, spaventare mi sembra un termine eccessivo. Forse può infastidire alcuni dei critici “di vecchio stampo”, perché magari si sentono esautorati di un ruolo che in passato aveva più peso. Molti, però, si sono adeguati ai tempi e considerano positivamente il fatto che si discuta di letteratura anche a livello più “basso” e “trasversale”. In tal senso, lo si è detto più volte, Internet ha giocato un ruolo fondamentale. Con pro e contro, come avviene per ogni “fenomeno umano”.

Riprendendo una discussione proposta da te, ti chiedo: cosa è e cosa non è letteratura?

Ti riferisci a una delle prime discussioni proposte su Letteratitudine (datata novembre 2006). Il dibattito nasceva da una provocazione lanciata da Giulio Mozzi su una sua rubrica che scriveva per Stilos, dove sosteneva che “non si può pretendere di decidere che cosa è e che cosa non è letteratura sulla base di criteri qualitativi”.

In linea di massima sono d’accordo. Ma è anche vero che, se non si può pretendere di decidere che cosa è e che cosa non è letteratura sulla base di criteri qualitativi, può avere senso distinguere tra buona e cattiva letteratura. E qui, ovviamente, subentra il gusto personale, che – in quanto tale – è sempre opinabile.

E come definiresti il lessema “scrittore”? Scrittore è colui che...

… offre parole per imbastire argini contro la fine.

In un’altra intervista avevo risposto: “Lo scrittore è una persona che ha ricevuto in dono una malattia. La sua malattia si chiama “parola”, che è – al tempo stesso – causa e rimedio della malattia medesima. Si tratta, dunque, di un male salvifico, se elaborato in maniera giusta”.

Tra le varie citazioni mi piace molto quella del Premio Nobel francese François Mauriac (che può sembrare paradossale): “Lo scrittore è essenzialmente un uomo che non si rassegna alla solitudine”.

Esistono argomenti tabù nella discussione letteraria? Ed argomenti pluritrattati ma sempre attuali?

Non credo esistano argomenti tabù, in letteratura. Per quanto riguarda gli “argomenti pluritrattati” ritengo che - alla fine - l’uomo racconti sempre se stesso girando intorno ai quattro pilastri fondamentali della sua essenza: la vita, la morte, l’amore, l’odio.

La tua attività di scrittore. Ti sei occupato di racconti e romanzi, hai curato antologie. Il tuo ultimo progetto letterario è il racconto lungo “La coda di pesce che inseguiva l’amore” (Sampognaro & Pupi), scritto con Simona Lo Iacono. Della scrittura a più mani hai parlato anche nel tuo blog, cui rimando per eventuali approfondimenti. Ti chiedo invece, nello specifico, qual è la conditio perché si proponga una scrittura multipla.

Ovviamente posso parlare facendo riferimento alla mia esperienza personale. Credo che alla base siano necessari i seguenti presupposti fondamentali: stima reciproca, fiducia, affinità, umiltà.

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Come avete proceduto metodologicamente?

Abbiamo deciso di attuare una metodologia che per noi è stata rivoluzionaria. Abbiamo lavorato prevalentemente tramite posta elettronica (anche perché Simona e io viviamo in città diverse). Alla base della nostra “scrittura condivisa” (ci piace chiamarla così) c’era un patto. Ognuno di noi poteva intervenire nella scrittura dell’altro/a (aggiungendo o sottraendo parole e frasi) senza che ci fosse bisogno di chiedere il permesso. Abbiamo proceduto in questo modo. Uno scriveva un brano e lo inviava tramite mail all’altra… la quale aveva la possibilità di modificare autonomamente il brano ricevuto per poi aggiungere una propria parte. Dopodichè rimandava il tutto via mail. Chi riceveva il nuovo testo poteva apportare ulteriori modifiche e continuare la storia. E così via.

Ne è venuto fuori un impasto narrativo che – nei fatti – è una scrittura “terza” rispetto a quella mia e di Simona. Un intreccio di frasi e parole (ma anche di idee e suggestioni) talmente fitto che oggi non siamo più in grado di dire chi abbia scritto cosa. È facile comprendere che, per realizzare questo progetto, è stato necessario “dotarsi” di molta umiltà e apertura verso l’altro.

Il romanzo “Identità distorte” (Prova d’autore, 2005) ha segnato il tuo esordio letterario. L’opera ha ricevuto numerosi riconoscimenti e ottime critiche (per le recensioni rimandiamo a questo link http://utenti.multimania.it/massimomaugeri/studies.html) pur non essendo stato inquadrato in un genere preciso. E qui passiamo alla domanda sul genere. Se dovessi inserire un brano di “Identità distorte” in un’antologia per ragazzi che richiede necessariamente una cornice, in che sezione lo inseriresti?

Bella domanda! In effetti avrei qualche difficoltà a rispondere (per il fatto, appunto, che il libro è difficilmente inquadrabile in un genere specifico). Se fosse possibile lo inserirei in una cornice dedicata alle opere di narrativa che si occupano di crisi di identità.

Cosa ne pensi in merito alla guerra ai generi (è morto questo genere, è malato quest’altro, etc...) e alla guerra tra i generi (genere Pinco è più nobile di genere Pallino...)?

Se devo essere sincero la guerra ai generi e tra i generi non mi interessa granché. Ho avuto modo di discuterne anche in altre occasioni… per giungere alla seguente conclusione. Le differenze di genere esistono nella misura in cui si sente l’esigenza di assemblare, incasellare, i libri per tipologie (e risponde alla più generale esigenza umana di “dare ordine alle cose”).

Le diversità ci sono e possono essere riscontrate, certo; come è ovvio, però, tutto è relativo. Faccio un esempio classico. Se si pensa alla letteratura cosiddetta “gialla”, si pensa normalmente a un genere facile, leggero, aperto a tutti. Anche se libri come “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda o “Nel nome della Rosa” di Eco sono tutt’altro che facili e leggeri.

Ciò premesso… Calvino, Proust e Sciascia (giusto per fare un altro esempio) hanno scritto libri diversi e – credo – non facilmente assimilabili: ma i libri che hanno scritto sono sopravvissuti alla scomparsa dei loro autori. Ecco. Forse la grande vera differenza - e l’esito della “vera guerra” - la sancisce il tempo (il principale avversario dello scrittore; giudice severo, ma - molto spesso - giusto): ed è quella tra i libri che rimangono (e che sopravvivono ai loro autori) e quelli che si sfaldano durante il ciclo breve ed effimero di una stagione.

Progetti?

Tanti. Ne accenno alcuni. È in uscita (tra gennaio e febbraio) “Letteratitudine, il libro – vol. II – 2008/2010” per i tipi di Azimut. Sto rivedendo una raccolta di racconti e lavorando a un nuovo romanzo. Ci sono nuove idee per quanto riguarda le discussioni su Letteratitudine e mi piacerebbe continuare a portare avanti la scrittura a quattro mani con Simona Lo Iacono (cosa che, in verità, stiamo già facendo).

Ci saluti con una citazione da un tuo scritto?

Mi sembra giusto lasciare una citazione estrapolata dal nuovo nato: “La coda di pesce che inseguiva l’amore”, scritto con Simona Lo Iacono (e ti ringrazio per l’opportunità). Ed è la seguente (con la speranza di ritrovare il sogno)…

Perché, signore e signori, quella che chiamiamo vita, questo è. Questo siamo: un procedere senza pace e senza viaggio, per un sogno che si è perso.