Tutti in vacanza, vabbè, però tocca pure continuare a girare le sale per scovare le bufale in agguato, scongiurare i pericoli, separare il grano dal loglio….

Per quanto il viaggio intergalattico alla ricerca di nuovi mondi da popolare causa sovraffollamento della Terra, non sia una novità, Pandorum – L’universo parallelo di Christian Alvart, presenta un livello di novità di tutto rispetto riguardo ad alcuni “cliché ” della scie-fi, il che ne fa una bella sorpresa (per la storia: “pandorum”, se non ci è sfuggito qualcosa si riferisce ad una sorta di stato psicotico dovuto alla deprivazione sensoriale indotta dal lungo viaggio).

Uno dei clichè mandato bellamente all’aria è quello del risveglio dall’ipersonno. Niente di lindo e pinto, tendente al piacevole, come siamo abituati a vedere, piuttosto il contrario: panico, disorientamento, l’aria che manca, il viscidume delle membrane che hanno avvolto il viaggiatore durante il lungo sonno, tutte esperienze che sembrano attagliarsi alla perfezione ad un attore come Ben Foster, forse mai così bravo quando si tratta di dar corpo a stati d’animo di questo tipo.

l film si sviluppa in modo perfettamente coerente alle premesse con una raffica di immagini che disorientano lo spettatore alle prese con un’astronave mastodontica all’esterno e quanto mai angusta e claustrofobia all’interno (potenza del cinema e del montaggio…). A complicare il tutto la coabitazione forzata di due specie: umana l’una, mostruosa l’altra, in fondo alla piramide alimentare la prima, al vertice della stessa la seconda, ex umani divenuti mostri gli uni, superstiti di svariati equipaggi che via via si sono risvegliati nel corso del lungo viaggio, gli altri.

Quando la lotta si farà dura non è detto che i duri inizino a giocare, e anche questo rende Pandorum – L’universo parallelo diverso dalla media, un ottimo esempio di fantascienza rivisitata un po’ come Pitch Black (ricordate i tre sopravvissuti? Un galeotto, un ulema, una ragazzina con le mestruazioni in corso…) ma siccome l’agiografia non è il nostro mestiere, aggiungiamo che il finale poteva essere migliore perché così com’è fa molto Blade Runner prima versione (prima del Director’s cut, insomma…).

Chi ha due ore tutte per sé, non se lo perda.