Quando mi fu chiesto di creare una nuova serie con un protagonista fisso da affiancare al fortunatissimo SAS Malko Linge per la collana Segretissimo, avevo già pubblicato diversi romanzi di spionaggio. Uno di essi, Pista cieca, avrebbe avuto poi un seguito, L’ombra del corvo, e in futuro i suoi protagonisti sarebbero poi tornati in azione in Ora Zero e Sole di fuoco creando un universo che, alla fine, si è collegato a quello del Professionista. Non si trattava comunque di prodotti seriali, quanto di avventure di ampio respiro, capitoli di una saga slegati tra loro. Con Il Professionista, invece, mi si presentava l’occasione di realizzare un vecchio sogno, raccontare una serie di avventure con lo stesso protagonista: un agente segreto che si muoveva in un “suo” mondo che, popolato di comprimari e avversari ricorrenti, assomigliava al nostro ma poteva diventare, avventura dopo avventura, un universo tutto particolare.

Scrivere un serial, per un narratore d’intrattenimento, è un’occasione eccezionale. Il personaggio può crescere nel corso degli episodi, la sua vita può seguire una continuity scandita da fatti, incontri, personaggi secondari. Si stabiliscono i canoni di ciò che è coerente con quel mondo e ciò che non lo è. Be’, sì, diciamolo sinceramente, l’autore si sente un po’ il “creatore” di quel mondo che lo accompagna per anni, se la serie incontra i gusti del pubblico. E, fortunatamente, nel caso del Professionista, ciò è avvenuto.

Questa nuova edizione mi permette non solo di ripresentare i romanzi in una veste spesso totalmente differente, ma anche di parlare un po’ della genesi del personaggio e dei meccanismi con cui vengono costruite le sue avventure. Il progetto è ambizioso: un regalo per voi lettori e, ammettiamolo, anche per l’autore. Insieme agli episodi usciti per Segretissimo ci saranno romanzi brevi, racconti più o meno lunghi che riempiono quei vuoti nella biografia del Professionista sino a oggi rimasti avvolti nel mistero. Questa raccolta si apre con un “romanzo a racconti” inedito e originale. Lo sapevate che il bis-nonno del Professionista era italiano e, agli inizi del ’900, fuggì in Francia e si arruolò nelle famose Brigate del Tigre vivendo avventure di spionaggio e azione prima della Grande guerra degne per ritmo e intensità di quelle di Chance? Forse il Professionista non ne era al corrente neppure lui ma, per una delle pericolose combinazioni della sua esistenza, sarà informato di tali vicissitudini. E come lui, spero che anche voi possiate gradirle. Ma non finisce qui, sono previsti episodi più o meno lunghi che “saldano” le prime avventure nella loro versione rivista e aggiornata, creando un continuum che spero risponderà a molte domande che spesso i lettori mi pongono. Una su tutte. Cosa è successo negli anni della Legione? Un periodo di tempo piuttosto lungo di cui sappiamo poco ma che, sicuramente, ha forgiato Chance Renard nell’uomo che conoscete oggi.

    

Veniamo però a Raid a Kourou che costituisce la prima vera “ristampa” delle avventure del Professionista come sono state proposte su Segretissimo. Questo romanzo - come chi l’ha letto nel 1995 potrà facilmente constatare - si presenta con notevoli differenze sostanziali e formali rispetto alla sua prima edizione. E, precisiamolo, anche rispetto a quella pubblicata in libreria una decina di anni orsono. Non è una storia diversa, piuttosto un director’s cut che alcune restrizioni della collana originale e, perché no?, anche la mia relativa inesperienza dell’epoca mi impedirono di realizzare compiutamente. Di fatto lo spunto dei guerriglieri voodoo - che nella prima versione rimanevano piuttosto indistinti - è stato rafforzato fornendo così un nemico e qualche motivazione in più a Chance nel corso della missione. Sono stati poi apportati alcuni doverosi ragguagli linguistici e una più rigorosa ricerca sulle armi e sui particolari tecnici del raid all’interno della base di Ariane.

Raid - la prima avventura del Professionista
Raid - la prima avventura del Professionista
Per la verità, quando cominciai a concepire questo romanzo, avevo già scritto decine di spy-story con un protagonista fisso. Lo avevo fatto sin da ragazzo e, sinceramente, non ricordo, dopo i dodici anni, un periodo in cui non ho scritto un romanzo di spionaggio. Tutto questo materiale me lo porto nella memoria e nel cuore. Erano storie prima scritte a mano, poi con la prima macchina per scrivere; una scuola impagabile per chi, come me, voleva trasformare un sogno in un lavoro. Ecco, da questo punto di vista io e Chance ci assomigliamo. Due ragazzi che volevano realizzare il loro sogno (io di diventare scrittore, lui avventuriero) e, alla fine, si sono accorti che, una volta riusciti nel loro intento, non sapevano fare altro. Destino. Meglio il mio del suo, tra parentesi, visto che non sono costretto a rischiare la pelle o ad ammazzare qualcuno tutti i santi giorni... Anche se mi è sempre piaciuto credere che viaggiare da solo in posti lontani, frequentare certi localacci di città all’altro capo del mondo, praticare sport da combattimento, mi abbia aiutato in qualche modo a rendere più credibili le avventure di Chance.

I miei primi tentativi di spy-story, comunque, erano più slanci d’entusiasmo che opere complete. Possedevano, tuttavia, alcune caratteristiche che sono rimaste nella serie del Professionista. Fondamentalmente si trattava di cucinare numerosi elementi che mi avevano affascinato rileggendoli alla mia maniera. E le fonti erano tantissime, non solo romanzi, ma anche film e fumetti. La serie che scrissi da adolescente (credo più di una trentina di episodi) aveva per protagonista un agente segreto che, all’epoca, era la perfetta fusione dei due eroi che più vividamente animavano la mia fantasia.

Erano gli anni ’70 e Fang Sing Ling rubò il nome al protagonista di un discreto film d’avventura (Il drago di Hong Kong, con Jimmy Wang Yu), ma di fatto era una fusione tra Bruce Lee e James Bond. Di questo serial mi tolsi la soddisfazione di pubblicare molti anni dopo il primo titolo, La tigre nel mirino, uscito nella collana Top Secret della Garden, firmato con lo pseudonimo Frederick Kaman. (E qui dovremmo iniziare il discorso sugli pseudonimi che, tuttavia, affronteremo forse in un’altra occasione). Fang Sing Ling, agente cinese di Hong Kong al servizio del SIS, visse una gloriosa epopea che divenne la mia “palestra” di scrittore. In omaggio a quegli anni (indimenticabili e contraddistinti dal semplice entusiasmo di scrivere senza preoccupazioni riguardo alla pubblicazione) ho riportato Fang, più vecchio e vissuto, nella saga del Professionista facendolo apparire periodicamente nella serie dall’episodio intitolato Morire a Kowloon che celebrava il ritorno della colonia inglese alla Madrepatria.

  

Chance Renard, però, nasceva molti anni dopo, in un’epoca in cui la mia creatività si era arricchita di nuovi stimoli letterari e cinematografici. Scrivere una spy-story seriale non può prescindere dai modelli già esistenti. Come ho già più volte spiegato durante interventi e corsi di scrittura è sempre “il nano che sale sulle spalle del gigante”. Davanti a me erano schierati non solo gli eroi della mia fanciullezza ma autentici “duri” che avevano dominato il genere dagli anni ’50 e non erano disposti a mollare la presa. Continental Op, James Bond (letterario e cinematografico), Hubert Bonissieur de la Bath OSS117, SAS Malko Linge, Nick Carter, Sam Durell e tantissimi altri erano là a ispirarmi ma anche ad ammonirmi. Il nuovo personaggio doveva contenere un goccia della formula del loro successo ma richiedeva anche una notevole dose di originalità.

Il progetto originale l’avevo studiato un paio d’anni prima per una serie a fumetti che non fu mai realizzata, ma il personaggio era buono. L’idea di questo agente indipendente, un mercenario al servizio di tutti e di nessuno, mi piaceva. Il concetto poi che fosse un ex legionario, uno “scappato di casa” per vivere l’Avventura e che poi scopre di essere un solitario, ricercato dai suoi stessi commilitoni mi affascinava. In questo senso la mia immaginazione era andata a pescare in settori differenti della spy-story classica. Gian Carlo Fusco con Duri a Marsiglia e lo Sconosciuto di Magnus (un’opera a fumetti ma così complessa e sfaccettata da poter essere considerata un romanzo) mi avevano regalato emozioni indelebili. La Legione Straniera, la Corsica, la malavita della Costa Azzurra... e poi c’era questo veterano, straniero in Europa come in Oriente o in Africa, reduce di troppe battaglie e nefandezze per credere ancora in un ideale, eppure costretto a battersi per sopravvivere, con crudeltà a volte. E sicuramente c’era un po’ anche di Ulisse Ursini, il personaggio di Giorgio Scerbanenco, protagonista di Al servizio di chi mi vuole.

L’idea del personaggio nacque da lì: un mercenario. Ma, come lessi in un trattato sui soldati di ventura che riportava interviste a decine di Soldier of Fortune: «Dopo i quarant’anni, quando si diventa vecchi per questo mestiere, molti di essi (i mercenari) sono già morti, la maggior parte non riesce a reinserirsi nella vita normale e nessuno di loro è diventato ricco. Vivono nel ricordo delle avventure rischiose affrontate in luoghi lontani ed esotici, ripensando all’abbraccio di donne mercenarie come loro, dalla pelle scura e lo sguardo selvaggio». Ecco, questa era la figura del mio protagonista, un agente freelance, ma non disposto a vendersi al primo offerente. Un uomo d’onore in qualche modo, un outsider della nostra società, un solitario, a volte autodistruttivo con la sua compulsione al bere, al fumo, alle donne pericolose. Sì, forse anche un romantico.

    

Tom Berenger ne "I mastini della guerra"
Tom Berenger ne "I mastini della guerra"
E il nome? Chance, fortuna, opportunità, ma era anche il nome di Jean-Claude Van Damme in un piccolo ma sottovalutato film, Senza tregua (Hard Target), l’esordio americano di John Woo, un regista che in quegli anni (primi ’90) avevo scoperto e mi aveva suggerito nuove idee e angolazioni nella descrizione delle scene d’azione. Non ho mai negato il legame tra i miei romanzi e il cinema. Scrivere per me è sempre stato un modo per girare il “mio” film, dove sono sceneggiatore, regista, scenografo, direttore delle scene d’azione e, ovviamente, addetto al casting. Ogni avventura di Chance nasce da una serie di immagini dei luoghi e da volti, spesso cinematografici. Agli esordi Chance aveva la faccia di un Tom Berenger ai tempi di Paura su Manhattan (Fear City) di Abel Ferrara e, nel corso degli anni, è invecchiato, si è un po’ appesantito e nelle ultime avventure ha l’aspetto che vediamo in L’ora della violenza (The Substitute) o One Shot One Kill (Sniper). Ultimamente Chance ha assunto caratteristiche differenti nella mia mente. In queste prime avventure ve lo potete immaginare un po’ come Vincet Cassell in Agents Secrets. Ma è anche vero che, negli episodi più recenti tendo a vedere Chance con qualcosa del Punitore, come lo ha scritto Garth Ennis. Da tutto questo, capite quanto sia vasto e in continua evoluzione il mio immaginario di riferimento.

Nel romanzo che leggerete altri personaggi hanno volti noti. Peter Handerhof è il Rutger Hauer di Blade Runner e di The Hitcher e, curiosamente, il Marsigliese ha la faccia di Michel Galabrou, attore francese più conosciuto per le commedie che per i thriller, ma antagonista di Belmondo in Poliziotto o canaglia (Flic ou Voyou) dove si chiamava appunto Auguste Volfoni. E poi ci sono le donne... sensuali, spietate, protagoniste di storie di sesso, un elemento ricorrente, spesso piuttosto forte, legato al cinema hard che in quegli anni aveva raggiunto la sua massima espansione. Anjelica ha il viso e il corpo di Angelica Bella (chissà qual era il vero nome?), diva ungherese dell’hardcore, mentre Sylviette era semplicemente Laura Gemser, Emanuelle nera...

Che cast, vero? E non costava niente... Be’, come diceva Mel Brooks: «è bello essere re». E, davanti al mio computer, ogni volta che scrivo una storia di Chance, io sono il re. Tanto da poter inserire nel cast anche amici e conoscenti. Come Barontini, un comprimario fisso della serie che si chiama veramente così ed è un mio carissimo amico del mondo della Boxe Francese.

         

Renard, oltre a essere un’ovvia allusione alla ‘volpe’, era un’allusione al comandante Denard, il famoso mercenario degli anni ’60. E il padre sciagurato di Chance si chiamava proprio Robert Renard, molto simile al Bob Denard della realtà.

E la serie è nata così, costruendo uno stimolo dopo l’altro, pescando un po’ dappertutto e cucinando ogni elemento in una bouillabaisse nella quale, a volte, diventa impossibile riconoscere gli elementi di partenza, come diceva Roberto Ghiddi commentando la mia sceneggiatura del fumetto cyberpunk Benares inferno. Il Professionista è un serial con le sue regole e i suoi elementi ricorrenti ma è anche un contenitore per sperimentare vari generi d’avventura e mescolarli. Se qualcuno volesse saperne di più, può divertirsi sul blog dedicato al Professionista http://hotmag.me/ilprofessionista/, di sorprese ne troverà più d’una.

Chance Renard, come personaggio letterario, sta per festeggiare diciassette anni di vita e rivederne pubblicate le prime missioni è forse il regalo più bello che poteva aspettarsi per il suo compleanno. O, almeno, il suo autore se lo augura, sperando che voi lettori vi divertiate a scoprirne - o a riscoprirne - le avventure in questa nuova veste.

  

© 2012 Arnoldo Mondadori Editore, S.p.A.