Amburgo, 24 dicembre 2012,

metà pomeriggio

Un vento gelido si incunea fra le bancarelle di Natale in Mönckebergstraße. Cammino a passo spedito immerso fra gli addobbi e le luminarie, fino all’incrocio con Kreuslerstraße. La figura imponente della chiesa di San Pietro si staglia sulla mia destra, circondata da piccole luci rosse che la rendono ancora più tetra nella luce cupa del tramonto. Il cielo su Amburgo è cupo e livido e non posso fare a meno di considerarlo un presagio, in qualche modo. Supero un cantiere tenendomi a ridosso degli alberi. Le strade sono affollate di passanti e le auto scorrono ordinate. È la vigilia di Natale. Non che me ne sia importato mai molto... Per un istante mi si para davanti agli occhi l’immagine di mio nonno, sorridente eppure già divorato dalla malattia, che mi tende un piccolo pacchetto rosso con un fiocco dorato. Istintivamente sfioro con le dita la tasca con apertura a strappo all’altezza del cuore: il piccolo pugnale a serramanico è al suo posto. La mia prima lama. Non serve più a nulla quel pezzo di acciaio sbrecciato e quasi senza filo, ma lo porto sempre con me. Scaccio l’immagine dalla mente, sollevo il bavero e mi fermo di fronte al civico 10 di Rathausstraße. Bistro Italiano. Respiro a fondo, l’aria gelida sembra penetrarmi fino al cervello e poi giù fino al cuore. Mani in tasca, stringo le due Beretta 92 e attraverso la strada. Spingo con la spalla la porta del ristorante. Prima che si richiuda estraggo, punto e faccio fuoco. Buon Natale, stronzi.

Il primo a cadere è il proprietario del ristorante, Cosimo Saetta. Due colpi fra il cuore e la spalla gli aprono uno squarcio orrendo. Crolla sull’espositore del pesce inondandolo di liquido scuro. Ghiaccio e sangue grondano, ed è un insulto alle orate. I due energumeni seduti ad un tavolo sulla destra dovrebbero sorvegliare l’ingresso, ma uno dei due è di spalle e in più si stanno ingozzando. Non durano molto di più: cinque colpi tutti a bersaglio e i due dementi crollano con la faccia nella pizza senza nemmeno accorgersene. Cazzo, ma dove li addestrano questi imbecilli? Dal corridoio che porta agli uffici vedo sbucare un ragazzo alto e magro. Riconosco il volto patibolare di Mimmo Saetta, il primogenito di Cosimo. Ventidue anni ed è già un figlio di puttana di prima categoria. Impugna un cannone cromato e fa fuoco senza esitazioni, ma sono in movimento e mi lancio sotto al tavolo dietro ai cadaveri dei due bestioni. Da terra miro alle rotule e lo falcio: faccio fuoco a due mani e si ritrova mezzo metro più basso di quando si è svegliato stamattina. Oggi sono stato generoso, ho regalato all’Inferno quattro bastardi in più. Ma dov’è il mio bersaglio?

C’è qualcosa di sbagliato. L’obiettivo primario, il boss Calogero Sacro, non c’è. Anche l’eliminazione dei Saetta era inclusa nel contratto, ma Sacro era il primo della lista. Qualcosa è andato storto. Oppure... Accovacciato fra i tavoli, raggiungo velocemente la saletta privata sul fondo. La porta è aperta. Entro cauto, copro a sinistra e poi sulla destra: nessuno. Sei sedie sono addossate contro il muro. Un albero di Natale rosso occupa l’angolo opposto. Sul tavolo c’è un grosso contenitore scuro al quale è stato applicato un timer rudimentale. Sedici secondi. Merda.

Reagisco come un elastico. Scatto fuori dalla porta evitando gli arti spappolati di Mimmo Saetta e per poco non scivolo su una pozza di sangue e frammenti ossei. Pochi metri mi separano dall’uscita. Salto una sedia ribaltata e poi il tempo sembra accelerare all’improvviso. Oltre la vetrata di sinistra scorgo un SUV nero fermo di traverso e due colossi dalla pelle olivastra che imbracciano delle mitragliette Ingram. Sulla soglia è comparsa una ragazza. Sta per entrare, la porta è già aperta. Le pianto gli occhi negli occhi e si blocca di colpo, l’espressione terrorizzata. Decido in un istante: sollevo le braccia in diagonale e faccio fuoco attraverso la vetrata. Il più vicino dei due cade centrato al volto e si affloscia a terra, i tratti indistinguibili macellati dal mio piombo. Il secondo fa fuoco con un istante di ritardo. Una scarica si perde alla mia sinistra tracciando una linea scomposta sulla parete in fondo. Sento un bruciore alla spalla ma devo ignorarlo. Allungo la falcata e salto oltre la porta. Il sicario sopravvissuto sale a bordo del SUV che parte prima che si sia chiusa la portiera. La ragazza è immobile, inchiodata dal terrore. La trascino a terra con me fra due auto, poi è l’inferno.