Titolo originale: Upset Boulevard

Dal romanzo “Dove metti i piedi!” (Don’t Step on My Floor), di Henry G. Collins & Kevin Hochs, traduzione italiana [?] di Matteo Colapietra, Corciulo Editore, Roccagliata, 2012.

Io sono sempre grande. È il cinema che è diventato piccolo.

Norma Desmond (Gloria Swanson)

in Viale del tramonto,

regia di Billy Wilder (1950),

sceneggiatura di Charles Brackett, Billy Wilder

e D. M. Marshman jr.

Salute e saluciccia puntùta!

Ma tu che l’ha’ avuta, come t’è parùta?

Formula beneaugurale di saluto

a San Severo (Foggia)

Le scacazzate di rondini sulla targa di marmo erano ricordi di una trascorsa primavera, nonché di una nettezza urbana da denuncia per assenteismo. Quasi cancellavano la scritta che indicava lo stradone: Corso Regina Margherita. Tanto, nessuno lo chiamava così. Per una disposizione particolare dell’abitato, ci soffiava sempre una corrente tremenda. Perciò l’avevano soprannominato il viale della tramontana.

Tutti evitavano di passare sia in un senso che nell’altro. Camminare controvento risultava troppo faticoso, e se soffiava da dietro si veniva spinti con eccessiva prescia. In macchina era anche peggio, perché l’aerodinamica faceva sballare i consumi di benzina e uno ci rimetteva pure i soldi. Così lo stradone restava sempre deserto.

Il viale aveva assunto un aspetto di abbandono e la fama di portare sfiga. Non a caso, uno degli ultimi pezzi dei Beatles prima di sciogliersi si chiamava The Long and Winding Road, cioè la lunga strada ventosa, che somiglia parecchio a viale della tramontana.

Di conseguenza, anche se non era zona vincolata dal piano regolatore, le antiche costruzioni restavano al loro posto, anziché far posto a condomini di cartapesta in stile bunker costieri albanesi e case popolari di creta. Lungo il viale della tramontana si allineavano grigie e imponenti dimore appartenute ai casati della cittadina, latifondisti che trattavano i braccianti come i negri delle piantagioni. A fare giustizia ora provvedevano cani e gatti, che scaricavano bisognini, anzi bisognoni e bisognacci, sotto i portoni, al riparo dal vento che spirava senza posa.

Fu dinanzi al numero 10090 che si arrestò un’auto, tra lo stridere di freni bisognosi da un bel po’ di pasticche nuove. Infatti i due uomini che ne discesero erano diretti al numero 10086, e dovettero tornare indietro a piedi.

- Quando cazzo ti decidi a portare dal meccanico quel rancascione, Ventrella? - chiese il più alto.

- Ho preso male la frenata, commissa’ - si scusò l’altro. - Non ho calcolato che tenevamo il vento di spalle. Che poi come li hanno fatti i numeri? In manco trecento metri superano il 10000?

- Ai maggiorenti che ci abitavano non piacevano le cifre basse.

Previdentemente, indossavano impermeabili dai baveri alzati e cappelli flosci. Perché, se nel resto della cittadina era luglio, con una temperatura media di 43 gradi, sul viale della tramontana si rischiava la bronchite.

I due formavano proprio una bella coppia, eppure non sembravano sposati. Uno era alto e allampanato, che, lo dice la parola stessa, significa allampanato. L’altro era basso e tarchiato, che anche come aggettivo è più corto.

Il portone era socchiuso e loro entrarono in un cortile interno dal pavimento di pietra. Più in là si estendeva un vero e proprio giardino, con aiuole, siepi e due palme che spuntavano al di sopra dei tetti come peli da un naso. La vegetazione era lussureggiante, ben protetta tra quelle spesse pareti dai rigori del vento che spazzava il viale della tramontana. In un angolo era parcheggiata un’auto d’epoca.

- Quella sì che è un rancascione! - osservò Ventrella. - Non se la piglia manco lo sfasciacarrozze.

Il commissario lo guardò di traverso, con tanta furia da rischiare di restare strabico in permanenza: - Per tua norma e regola, è un gioiello da collezionisti. Si chiama Isotta Fraschini.

- Ha preso il nome da una zoccola bolognese?

Reprimendo una voglia da gravidanza di prenderlo a calci in culo, il commissario entrò con il suo sottoposto nell’ampio salone al pianterreno, da dove una scalinata portava al piano superiore. Accanto alla porta d’ingresso c’era una fila di pattine di tutte le taglie, dai neonati ai dinosauri.