Segretissimo è stata, e lo è ancora, una collana forgiata dai suoi protagonisti. Credo che il modo migliore per ripercorrerne la storia sia quello di rievocare la saga di alcuni di loro. Ho scelto i miei preferiti. Nick Carter, Sam Durrell, Phil Sherman e, ovviamente, Malko Linge.

Nick Carter, N3 Sterminio per gli intimi, è forse il perso­naggio che maggiormente presenta legami con la tradizio­ne narrativa d’intrattenimento dei tempi passati. Il suo nome cominciò a circolare negli Stati Uniti nel 1884 (tre anni prima della nascita di Sherlock Holmes), sulle pagine dei cosiddetti dime novel, i “romanzetti da un soldo” che circolavano nelle città della costa orientale americana, fino ad allora dedicati a personaggi del West quali Buffalo Bill e Billy the Kid, rivisti in chiave romantica e irrealistica.

Ni­cholas Carter, indaffarato scrittore a tempo pieno di New York, ebbe più di un'intuizione fortunata. Prima di tutto decise di creare un eroe con il suo stesso nome, ma "raccon­tandone le avventure in terza persona, un espediente nar­rativo curioso, soprattutto per l'epoca. E poi il tono e l'am­bientazione delle vicende tracciavano una linea netta con la tradizione dei dime novel. Il mito della frontiera comin­ciava a mostrare la corda, la realtà del West contraddiceva palesemente la visione romantica dei pistoleri. Si stava av­vicinando la fine del secolo e la tecnologia e le comunica­zioni, pur con qualche difficoltà, avevano conquistato le sterminate praterie, diffondendo anche nelle città dell'Est la realtà violenta e assai poco romantica di quelle zone sel­vagge, che ancora non erano stati, ma venivano definiti territori. Geronimo, l'ultimo indiano ribelle, si sarebbe ar­reso nel giro di un anno ponendo fine alla "conquista" del West che entrava in una fase nuova, più urbana della sua epopea. Quando Nick Carter cominciò a vivere le sue av­venture, la stampa dell'Est riecheggiava ancora degli echi della violenta faida di potere di Tombstone, nella contea di Cochise, nel territorio dell'Arizona. Gli Earp, uomini di legge sospettati di ricavare illeciti profitti da prostituzione e gioco d'azzardo, si erano scontrati con il clan della fami­glia Clanton-McLaury, i Cowboy, la prima forma di malavi­ta organizzata degli Stati Uniti.

La resa dei conti era avve­nuta per le vie di una cittadina mineraria in rapida espan­sione, un centro urbano con case in muratura, uffici, quar­tieri etnici e del vizio. I tempi erano cambiati e anche gli eroi dovevano adattarsi. Le avventure di Nick Carter, poli­ziotto di città impegnato contro malviventi e organizzazio­ni che dominavano nell'ombra interi quartieri, ebbero un successo tale da cancellare per sempre le ingenue imprese dei cavalieri delle praterie. Il personaggio riscosse una for­tuna così duratura ed eclatante da convincere Engel Sten­ton, editor e agente letterario d'assalto degli anni Sessanta, a rispolverarlo adattandolo al nuovo filone della spy-story.

Il nuovo Nick Carter, ufficialmente nipote del suo antesi­gnano del West, fu portato sulle pagine di una cinquantina di romanzi da un pool di autori coordinati da Stenton, ma che continuarono a firmarsi con il nome del protagonista. Uomo di punta della superagenzia AXE, un organismo deci­samente più dinamico ed efficiente della CIA, considerata per tradizione narrativa solo un organismo di bizantina burocrazia, il nuovo Nick Carter è un superuomo nel senso più classico del termine. Allenato in tutte le micidiali tecni­che di lotta giapponese, pratica gli sport più pericolosi con una disinvoltura da campione, e si muove con dimesti­chezza e violenza in ogni ambiente. Come il "vecchio" Car­ter trasferì le sue avventure dalle praterie alla città, il "nuo­vo" Nick viene spedito in ogni angolo del mondo alla ricer­ca di esotiche emozioni da offrire al lettore, assieme a una sana dose di sesso e violenza. Suoi compagni inseparabili una serie di ferri del mestiere, irrinunciabili per un agente segreto che si rispetti. La Luger, affettuosamente chiamata Wilhelmina, evoca una teutonica efficienza, coadiuvata dal micidiale stiletto Hugo e da Pierre, una... pallina piena di gas venefico che il nostro porta disinvoltamente negli slip, pronto a servirsene quanto a liberarsene durante gli incon­tri intimi con le bellezze di turno. E queste sono davvero affascinanti e numerose, come dimostra anche il romanzo Nick Carter: Trenta denari per Judas (The Judas Spy), un'avventura esotica sullo sfondo di un’In­donesia quasi salgariana, tra pirati, ex nazisti e bellissime fanciulle, disponibili, pericolose e dotate di un coraggio sen­za pari, immaginate per stuzzicare il lettore, ma in nessun caso semplici bambole da intrattenimento, come molti de­trattori hanno voluto far credere. Questa avventura, come i migliori romanzi della serie (che tra gli altri riconoscimen­ti ha meritato anche una menzione nella Who Done !t, a Guide to Detective; Mystery and Suspense Fiction di Ordean A. Hagen, una vera bibbia del genere), preferisce lasciare la Guerra fredda sullo sfondo, dando spazio all'azione, al doppio gioco, all'intrigo più classico. Forse Nick Carter può sembrare oggi un personaggio sin troppo semplice, ma il suo autore costruisce una vicenda complessa nella quale si permette anche di citare Lord Jim di Conrad in una maniera più che casuale. Senza un attimo di sosta Nick lotta contro uno dei suoi nemici giurati, Judas, ex cri­minale nazista sfigurato, arche tipo dell'arcinemico che ogni eroe seriale incontra prima o poi nel corso della sua carriera. E, in questa lotta, Nick è solo quanto il suo avver­sario, due dinosauri che si affrontano scordandosi di ogni ideologia e persino della realtà del loro tempo, in una giun­gla che è davvero l'ultima frontiera.

Allo stesso modo è un eroe solitario della tradizione più classica Sam Durell,  del quale una   delle sue mi­gliori avventure è senza dubbio Sam Durell e la regina delle amazzoni (As­signement Amazon Queen). Uscito dalla penna di Edward S. Aarons, che fu tra le altre cose anche un ottimo giallista, Sam Durell, il Caimano, è uno dei personaggi più riusciti dell'intera collana e quello cui chi scrive è rimasto più affe­zionato e con il quale, come autore a mia volta, sento di avere maggiori debiti d'ispirazione.

Sam Durell lavora, come Nick Carter, per una branca della CIA, la Sezione K agli ordini del generale Dickinson McFee, ha una fidanzata che ama ma che non sposerà mai, è un uomo moderno, pronto a servirsi di ogni ritrova­to tecnologico, eppure sogna la giovinezza vissuta libero tra le paludi della Louisiana, a bordo del vecchio battello del nonno cajun. Vive le sue avventure con un misto di cinismo e romantica malinconia, lasciandosi coinvolgere emotivamente in ogni missione, spesso costretto a con­frontarsi con segreti che emergono dal passato. In­somma, prima di un agente segreto, Sam Durell è un uomo vero, tormentato da dubbi e umanissime indecisioni, so­prattutto quando entrano in gioco la sua famiglia e le don­ne.

Lo schema stesso delle sue avventure è un classico del­l'avventura: un gruppo di duri che si odiano per qualche ragione sepolta nel passato, costretti a collaborare in un ambiente ostile sino allo showdown finale. La scrittura è veloce, ma in qualche modo più curata di quanto non av­venga nelle avventure di Nick Carter, persino nella struttu­ra che proietta il lettore al centro dell'azione per fargli sco­prire attraverso una serie di flashback i retroscena della vi­cenda, e ha un sapore cinematografico piacevolmente ine­dito per l'epoca. Anche in questo caso le motivazioni politiche sfumano, sostituite da temi classici: la ricerca di un riscatto personale, la caccia al tesoro, la fuga da un am­biente ostile assieme a compagni inaffidabili e fanciulle tutt'altro che indifese. E Sam Durell, il Caimano, si ritrova a combattere con le spalle al muro, costretto ad affidarsi, più che alle armi, all'istinto di conservazione e alla sua umanità.

Dei tanti eroi della spy-story americana, Phil Sherman di Don Smith è quello che più si distacca e al tempo stesso aderisce maggiormente al modello james­bondistico. Autore di ventun missioni, più un pugno di ro­manzi senza protagonista fisso, Don Smith è forse tra i più interessanti, anche se a torto mi sconosciuti, scrittori della spy-story di quegli anni. La serie a lui dedicata raccoglie tutti gli elementi del filone e traccia un ritratto del suo protagonista nel momento del suo massimo splen­dore narrativo. Phil Sherman non è un agente professio­nista, ma un semplice... americano a Parigi, un uomo sui quarant'anni, di piacevole aspetto, gusti raffinati, amante della bella vita, degli sport, del tavolo da gioco quanto del­le belle donne. Vi ricorda qualcuno? Vedendo come ce lo presenta il suo autore, ai tavoli da gioco o sulle piste da sci, viene istintivo immaginarselo con il viso strafottente e cru­dele di Sean Connery ai tempi d'oro dell'agente 007. Sher­man, ufficialmente, vende macchine per ufficio, ma nel suo studio di Parigi ci va pochissimo e, se non fosse per l'effi­ciente signorina Chambon (una sorta di Moneypenny fran­cese), i suoi affari andrebbero a rotoli. E come potrebbe essere altrimenti se con periodica inevitabilità viene reclu­tato da qualche agenzia americana per infiltrarsi in bande di spacciatori di denaro falso, di contrabbandieri di droga o armi, rischiando la vita ai quattro angoli del mondo per la soddisfazione di conquistare la "pupa" di turno e assicurare criminali alla giustizia? È, anche in questo caso, un serial che propone un'avventura di stampo classico, quasi un noir dove il pro­tagonista è costretto suo malgrado a recitare la parte del­l'eroe, schiacciato tra organizzazioni che, da entrambi i la­ti della barricata, si servono dell'individuo, pronti a sacrifi­carlo quando esaurisce il suo compito.

Il paragone con l'e­roe di Fleming si rafforza nella struttura della vicenda, nel tratteggio dei personaggi femminili e, soprattutto, nei rap­porti tra l'eroe e i suoi antagonisti. Per esempio in Missione 10 Sherman e Schlegel, un ex ss, criminale e sadico, interagiscono in un crescendo di tensione che li porta da un'apparente cordialità a un confronto aperto e senza esclusione di colpi. L'insegui­mento sulla neve (come il duello nell'arena nel romanzo di Nick Carter e la descrizione del viaggio sul Rio delle Amaz­zoni in quello di Aarons) è un "pezzo" di narrativa d'azione degno dei classici del genere, un brano di puro intratteni­mento, emozionante oggi come quando fu pubblicato per la prima volta. Una dimostrazione che la figura dell'eroe, pirata, pistolero o persino spia, è ancora in grado di rega­lare momenti di impagabile divertimento a dispetto del trascorrere degli anni e dei cambiamenti delle mode.

C'è una domanda ricorrente che le donne pongono a Sua Altezza Serenissima, il Principe Malko Linge, nelle situazioni più dispera­te. “Chi sei veramente?” Sembrano incredule, queste valchirie del terrorismo internazionale, dotate ugualmente per la guerra e per il sesso.

Non riescono a conciliare l'aspetto affascinante di Malko, i suoi modi galanti un po' démodé, l'eleganza e l'aplomb tutto mitteleu­ropeo con la sua professionalità di capo missione della CIA e la de­terminazione con cui porta a termine i suoi incarichi. Quello che più le sconcerta è l'ostinazione, rara in un mondo di mercenari, a rimanere sul campo anche quando tutto sembra perduto. Proba­bilmente un tipo così se lo aspettano vanesio e pusillanime. Lui, l'agente nero della CIA, mercenario di lusso ed erede di una tradi­zione militare blasonata medita un poco la risposta, accendendo i suoi incredibili occhi d'oro di sfumature verdastre, inquietanti. Poi dichiara: “Sono un samurai”. È una risposta sibillina ma efficace, evoca subito l'idea di un uomo troppo disincantato per nutrire ideali se non il rispetto del­l'impegno preso, da adempiere sino alle estreme conseguenze. Ha sempre saputo parlare alle donne, Malko Linge, beato lui... Que­sta risposta comunque sembra averla rubata di bocca a un altro bel tenebroso dell'immaginario poliziesco francese, Alain Delon, an­che lui idolo di migliaia di cuori femminili. In effetti la calma ostentata da Malko in certe situazioni apparentemente senza via d'Uscita ricorda l'atteggiamento cinico di Frank Costello Faccia d'Angelo (che in originale s'intitolava. appunto Le Samourai) protagonista di un piccolo gioiello noir firmato dal regista Jean Pierre Melville negli anni Sessanta. In effetti Malko Linge si dimostra, oggi più che mai, discendente diretto erto degli eroi del grande nero francese dei quali ha ereditato lo spirito romantico, un poco triste ma profondamente virile, contraddistinto la stagione migliore.

È forse per questo che oggi, quando il genere spy-story messo in crisi dal superamento storico della Guerra Fredda le avventure di SAS godono di un rinnovato successo. Venuta meno la divisione Est/Ovest, lo spionaggio torna a essere un filone prevalentemente legato al nero.

Le atmosfere patinate alla James Bond ci appaiono datate non meno delle crisi psicologiche degli Smiley, ormai ridotti al ruolo di addestratori senza più un vero nemico da combattere. De Villiers dipinge sempre quadri estremamente precisi di una realtà che ci appare familiare, lugubre proprio per la sua  autenticità. La violenza, il gioco dei continui tradimenti e anche il sesso spinto delle avventure di SAS non sono mai gratuiti.

Sono  funzionali alla psicologia del personaggio che, oggi più che mai, esce dalle pagine di De Villiers come un uomo profondamente solo, stanco di combattere ma indomabile anche di fronte agli insuccessi.

Vi siete mai soffermati a contare le sconfitte, le occasioni in cui fallisce la sua missione salvando a mala pena la pelle?

Se ci fate caso le missioni vittoriose sono sempre alternate a clamorose debàcle dove il destino o la forza maggiore gioca un  ultimo, imprevedibile tiro, bruciando Malko sul filo di lana. Anche i successi lasciano sempre “quel sapore di cenere” che SAS si è ormai abituato a sentire in bocca.

Malko Linge è un eroe nero perché, a dispetto degli sprazzi dolce vita che il destino gli concede, sa di combattere per una causa persa. Il mondo sarà sempre minacciato da terroristi e gli amori saranno sempre effimere parentesi destinate a consumarsi in riti di sesso dove il sentimento è escluso.

Eppure lui, la spia dagli occhi d'oro, continua, missione dopo missione, a giocare alla roulette russa per un compenso che non gli consentirà mai di terminare i lavori della magione avita. In realtà il sogno di potersi ritirare nel suo castello per godersi la vecchiaia con l'infedelissima Alexandra (unica donna amata e per questo sempre sfuggente) non sono che pretesti. Il suo karma è quello di continuare a battersi sino all'inevitabile pallottola che lo raggiungerà magari in un vicolo putrido di Istanbul, lontano da tutti e sconfessato dai suoi stessi mandanti. Il fascino di SAS sta molto più in questa sua lucida accettazione del destino che nei ve­stiti di alpaca e nell'avvenenza fisica che, dopo tante battaglie, ha lasciato il posto a una maturità dolente, gravata da troppi ricordi  spiacevoli.