È l’estate del 1899, e l’Italia è più unita sulle mappe che nel cuore dei suoi abitanti. Il giovane vicebrigadiere Ghibaudo viene trasferito nell’entroterra sardo con un gruppo di carabinieri provenienti da tutto il Regno per fondare un avamposto nella lotta al brigantaggio. Il mondo che lo attende è profondamente diverso dalla Torino in cui è cresciuto: i crimini sono tanti, ma poche le denunce, a dimostrazione che lì i torti vengono raddrizzati non dalla legge ma dai coltelli. È dunque una sorpresa quando la popolana Lianora si rivolge ai carabinieri per un caso di furto. Nelle stalle della donna, però, il vicebrigadiere scopre qualcosa che cambia totalmente il volto dell’indagine: il cadavere di un collega dell’Arma. I sospetti ricadono su Anania, bracciante di Lianora, ma alcuni indizi spingono Ghibaudo a sospettare che la verità sia più complicata – e scura – di così. E mentre il carabiniere cerca di fare i conti con i sentimenti inconfessabili che si accorge di provare, un assassino prende di mira i poeti al volo, rimatori di strada che girano di paese in paese denunciando i torti subiti dalla loro gente.

Esce nella collana Giallo Mondadori da libreria un giallo storico intenso e freschissimo, nonostante il clima torbido della Sardegna di fine ottocento che si respira con grande intensità, ben ricostruito dall'autrice, la romana di nascita ma trentina d'adozione Sara Vallefuoco, non solo per quanto riguarda i luoghi e gli avvenimenti dell'epoca, ma soprattutto per il clima di sospetto, di intransigenza, di cocciuta determinazione con cui il protagonista del libro, il vicebrigadiere Gribaudo, si trova a dover fare i conti. 

Nei gialli storici sono due gli ingredienti che contano (anzi, tre, ma il terzo, ovvero la profondità dei protagonisti e dei personaggi di contorno, dovrebbe essere dato per scontato, se non altro quando un libro viene pubblicato in una collana di prestigio come il Giallo Mondadori): un buon meccanismo d'indagine, che ci lasci con il fiato sospeso fino alla fine seppur producendo un buon numero di ipotesi su chi possa essere l'assassino (tutte più o meno ricostruibili nella mente del lettore, senza che una sia prevalente sulle altre), e una coesa, coerente e plausibile ricostruzione del periodo storico, delle ambientazioni e della struttura sociale in cui la vicenda si svolge.

Da questo punto di vista Sara Vallefuoco non sbaglia un colpo, e una volta immersi nel romanzo non si può fare a meno di muoversi con disinvoltura, avendo la netta sensazione che tutto ciò di cui ci parla sia sensato, corretto e coerente con le dinamiche sociali e ambientali della Sardegna di fine ottocento, un mondo così lontano da quello in cui viviamo oggi da sembrare quasi un ambito fantastico, uno di questi posti ammantati di atmosfere gotiche che vanno tanto di moda tra gli appassionati di dark fantasy.

Ma tra le rocce dei monti della Sardegna e del carattere dei suoi abitanti, a muoversi è un imberbe vicebrigadiere che come noi ha ancora tutto da imparare da un mondo pieno di insidie e difficile da trattare, e questo condisce con sale e pepe una trama solida e ben congegnata, che tiene incollato il lettore fino alla fine, quando dopo il sussulto della rivelazione subentra la nostalgia per i posti, per la gente, per quel solido rumore di tempi antichi che si era ricostruito con così tanta verosimiglianza davanti ai nostri occhi, tanto da chiederci: ci sarà un altro romanzo con il torinese Ghibaudo fra le asperità del paesaggio sardo e la ruvida mentalità dei suoi abitanti, vero?

Noi lo attendiamo con trepidazione.

Il racconto di Neroinchiostro da parte di Sara Vallefuoco

"Neroinchiostro è una storia di confini. Cos’altro è uno scritto se non un confine tra l’immaginazione e il mondo? Tra un’idea e la sua attuazione? Tra una minaccia e un crimine?

Sarà per questo che alla stazione dei carabinieri di Serra le lettere anonime si custodiscono con cura in una scatola più pesante di un capretto. Lo sa bene il vicebrigadiere Ghibaudo, che vorrebbe tirare una riga netta tra la legge del Regno e quella dei briganti: una bella linea d’inchiostro nero chiamata giustizia.

E magari, già che c’è, con lo stesso inchiostro disegnarsi sul cuore una mappa del desiderio, dell’amore perfino. Salvo scoprirsi incartografabile, come dice lui, che è ancora molto giovane e affetto da romanticismo.

Il suo collega, il brigadiere Moretti, un bel confine l’ha trovato: si chiama scienza forense. Di notte legge Galton, Lombroso e Conan Doyle, sogna schedari di impronte, foto segnaletiche, misure antropometriche, Roma e la sua Lauretta. Di giorno si aggrappa a polverine e lenti di ingrandimento, convinto che il crimine d’ora in poi dovrà combattersi così.

Del resto siamo nel 1899, ai confini di un nuovo secolo. È lecito credere nel progresso, nel futuro radioso del Regno d’Italia, nei proclami della stampa, nella pubblicità, nell’illuminazione elettrica, nelle donne medico, perfino nella poesia. Quella estemporanea, al volo, declamata in piazza, per gareggiare con altri poeti e denunciare le storture del mondo.

Pittanu e i suoi rivali improvvisano poesie da sempre. Alcuni di loro fanno anche altro però, e forse per questo cominciano a morire.

I delitti aumentano. Le indagini si ingarbugliano e a un certo punto si ritorcono addirittura contro chi indaga. E nel frattempo? L’infermiera Amelia, il ragazzo dei fanali, Lianora, perfino il maresciallo Audisio e l’appuntato Sgrelli con le guance da bambino: tutti si ostinano a spostare i propri confini, togliendo il sonno a Ghibaudo.

Il guaio con i confini è sempre lo stesso, tendono a sbiadire a contatto con i desideri, come l’inchiostro con le lacrime. E i desideri – di Ghibaudo, degli altri – non sono innocui, né innocenti. Quasi mai."