Marco D'Amore aveva già messo alla prova ed evidenziato le sue doti di regista in un episodio di Gomorra, dopo che Ciro Di Marzio non c'era più. Adesso lo fa con Ciro di Marzio che c'è ancora.

Ciro Di Marzio, l'immortale.

La storia.

ll corpo di Ciro sta affondando nelle acque scure del Golfo di Napoli. E mentre sprofonda sempre più, affiorano i ricordi. I suoni attutiti dall'acqua si confondono con le urla della gente in fuga. È il 1980, la terra trema, il palazzo crolla, ma sotto le macerie si sente il pianto di un neonato ancora vivo. Dieci anni più tardi, ritroviamo quel neonato ormai cresciuto, mentre sopravvive come può alle strade di Napoli, figlio di nessuno. Ricordi vividi di un'educazione criminale che l'hanno reso ciò che è: Ciro Di Marzio, l'Immortale.

L'immortale.

Una stigmate che lo segna già dalla più tenera età e che lo fa crescere con la morte di fianco, compagna, padrona silente del destino di un uomo e anche di chi gli vive attorno.

Il film è a misura d'uomo e il passo è la metrica temporale che ne esalta le immagini, le inquadrature, i colori grigi e tenui, le attese prima delle tempeste.

E quando la macchina da presa accelera, il pensiero dell'uomo continua con il suo passo.

Lento, come la sorte che non si può nè cancellare, nè modificare.

Ciro Di Marzio continua a essere personaggio tragico, ed è la sua forza. Pervaso da demoni che hanno demolito ogni barriera, ogni baluardo di paura lasciando un campo di battaglia devastato, senza alcuna possibilità di un rifugio e di soccorso.

Ciro di Marzio è anima morta che cammina tra i morti, futuri e passati. È un Dante eretico all'Inferno, con il suo Virgilio in una città senza sole e quasi senza notte, in una condanna perenne immersa in uno slang dell'est da tycoon dai guadagni "sporchi". Non c'è il sole di Napoli, non c'è astro che possa lenire il tormento anche per un solo istante, non c'è un solo sorriso per avere coscienza di essere ancora tra chi può provare emozioni.

L'emozione è bandita o è vissuta e incarcerata nel silenzio e il ricordo sovviene dai piccoli dettagli come una luce in esaurimento che traballa tra le ombre.

Il passato è Cirù bambino, il passato è una sopravvivenza continua e accettata nella sofferenza e nelle perdita di persone amate.

Poi l'amore fugge, subentra il rischio, una vita ai margini, ma con i piedi che insistono nel voler entrare dentro a quella vita, che insistono di poter camminare sotto i riflettori del benessere.

Illusione e dolore, brevi attimi di serenità, coltivano e allevano l'animo di Cirù e lo crescono fino ad essere Ciro Di Marzio. Ma il destino non ha ancora chiuso la mano con lui. Il destino vuole ancora che il suo tormento non abbia requie. Per questo è l'immortale. Per poter soffrire ancora, per potersi tormentare, per capire che pentirsi non serve a niente. Perché ci sono delitti per cui pentirsi non basta. Occorre vivere all'Inferno il più possibile, fino al punto in cui il buio è invaso da così tanta luce infetta da essere rimpianto, anelato, conquistato di nuovo nel sangue, nel perdono, nei ricordi.

Ciro Di Marzio è solo, anche con se stesso. Ha smesso di frugarsi dentro, poiché ormai è una dimora spoglia fatta soltanto di muri scrostrati, vissuti, conosciuti, ripudiati e abbandonati.

Ha solo un fratello lontano, un fratello dentro il sole di Napoli, un fratello per il quale lui ha voluto morire "Perché lui aveva qualcosa di buono per cui vivere".

Lui, sì. Ciro, no. Ha perso anche l'ultimo ricordo, una Stella in rosso, sangue dentro una canzone.

Ci sarebbe stata poi Debora.

Anche lei, è un ricordo. Il più traumatico, quello che lascia le mani sporche di vergogna, di rimorso e sangue più di qualunque esecuzione.

L'immortale è una costola di Gomorra, ma non solo. È un pezzo di cuore di Gomorra, un frammento pulsante e rovinato che combatte per la propria oscurità in un paese lontano dove la luce è soltanto un fattore atmosferico e naturale.

Nel film ci sono le sonorità e le voci di Gomorra. In sottofondo, un fil rouge continuo anche se Marco D'Amore si costruisce e realizza il suo film con sensibilità tutta sua, sentimenti filtrati attraverso una leggerezza tragica, ossimoro che non stona, che colpisce, stordisce, attrae.

La regia sa cogliere i particolari, facendoli protagonisti della storia. Sa dosare senza mai caricare, vivendo questo scorcio di vita di Ciro di Marzio con la riservatezza misurata di un aedo moderno.

L'Immortale è davvero immortale, perché è un uomo che continua a camminare sopra le sue rovine, continuando a rialzarsi. Ma non è coraggio, bensì perché ha già perso tutto.