Non è mai facile proporre soggetti nuovi e originali in questa era di proliferazione di serie TV.

A quanto pare con Killing Eve, serie televisiva della BBC, basata sulle novelle Villanelle di Luke Jennings, pare ci siano proprio riusciti.

Una caccia all'uomo. In questo caso, una caccia alla donna.

Una spietata killer al soldo di una fantomatica organizzazione chiamata I Dodici.

Un'integerrima e un po' strampalata funzionaria dell'MI-5 che ha il compito e il dovere di catturarla per il bene della stabilità politica europea.

Fin qui, sembra tutto rientrare in una normale spy story.

Invece, Killing Eve è una tra le migliori serie degli ultimi anni.

Perché quella caccia, diventa una caccia e un inseguimento d'amore pervasi da humor nero e tragedia.

Le due protagoniste trasformano un gioco pericoloso di spionaggio e delitti in un tortuoso sentiero di possesso, infatuazione, interscambio. Una briosa finzione di specchi che parte da una superficie all'apparenza consolidata, ma che col passare delle puntate si rivela soltanto una delle tante sfacettature di un cristallo friabile, fatto di equilibri e dinamiche sul filo del rasoio.

Un qualcosa non semplice da realizzare in una serie, che solitamente vive di schemi piuttosto ben delineati.

Invece, nel caso di Killing Eve, l'impalpabile diventa materiale, attraverso le azioni delle protagoniste e grazie alla magistrale sceneggiatura di Phoebe Waller-Bridge (che ha lavorato nella seconda stagione di Broadchurch ,autrice e attrice di Fleabag) che ha saputo tratteggiare ogni dettaglio di una relazione a distanza inusuale (tranne un vis a vis nella prima stagione e qualcosa di più nella seconda) e carnale comunque al medesimo tempo.

Ma la riuscita della serie si deve anche alla bravura delle attrici.

Una misurata, quanto oscura e frustrata Sandra Oh (l’attrice canadese, divenuta famosa interpretando Cristina Yang in Grey’s Anatomy), opposta alla straripante energia quasi fanciullesca della britannica Jodie Comer che di tanto in tanto sfocia in una apatia quasi catatonica.

Due protagoniste così diverse tra loro. Ma gli opposti si attraggono, non è così?

Eve Polastri. Professionale, reclusa nella sua stessa vita e in un matrimonio piatto.

Oxana Vorontsova aka Villanelle aka “una, nessuna, centomila”. Libertà folle.

Due facce di una medaglia tarocca. E non in senso negativo.

Perché non ci sono due volti, ma mille espressioni fatte di dettagli differenti in un unico ritratto in continua, progressiva mutazione.

Il personaggio di Villanelle deborda le immagini. Un fiume in piena di letale psicopatia e sociopatia. Una Baby Jane giovane cool e alla moda. Una bambina capricciosa in un corpo di donna e in una mente di assassina.

La sceneggiatrice le cuce addosso la parte comedy della serie, ma senza negarle falciate di drammaticità che il volto espressivo della Comer riesce immediatamente a tradurre in maniera superlativa.

Villanelle è espressionismo puro, un insieme di colori sotto una tela nera che si palesa nella freddezza delle esecuzioni, sempre diverse, come dettate dalla volontà di una bambina di cambiare gioco spinta da una noia crescente.

Villanelle è un Peter Pan al femminile dell'omicidio. L'isola che non c'è sono le commissioni affidatele da un efficace quanto quasi paterno Konstantin, al secolo Kim Bodnia (il Martin Rohde di The Bridge). Un personaggio femminile che con tutte le differenze del caso, si può affiancare alla stupenda Vanessa Ives di Eva Green di Penny Dreadful. Due interpretazioni completamente agli antipodi, ma difficili da dimenticare.

Villanelle trasuda glacialità e arcobaleni al contempo, simulacri di sensazioni che si annullano in una smorfia o in un bisogno incomprensibile di una carezza o di una coccola. Ma anche una spietata assassina riconosce le frequenze e disorientamenti dell'amore. Anche senza sentimenti, l'amore diventa sentimento vivo, necessario.

Così Villanelle inizia una partita a scacchi fatta di finezze e assassinii, di mosse inaspettate, entrando sempre di più nella vita grigia e nella mente nera di Eve con il proprio carisma e follia.

Sono fatte l'una per l'altra, finché morte non le separi. Magari spezzando un tacito giuramento con la lama di un coltello. Un atto violento, più efficace di un bacio, alla pari di un amplesso.

L'abbandono della Waller-Bridge al termine della prima stagione, aveva fatto temere per un abbassamento del livello della serie, ma la nuova showrunner Emerald Fennell, ha fatto intendere fin dal primo episodio, che il testimone è passato in mani altrettanto buone.

Tutto confermato con il finale della seconda stagione. Ora si attende con impazienza l'inizio della terza.

Villanelle, in rosso, come la scritta di un rossetto su un gioco di ombre e luce sopra una specchio che scava fino ad abbrancare l'anima.

È così amabile la morte?