In questi anni, compresi fra il 1900 e il 1940, escono gli autori e le opere più conosciute: Owen Wister con The Virginian: A Horseman of the Plains (1902); Zane Grey con Riders of the Purple Sage (1912); Max Brand, uno degli autori più prolifici dell’epoca, creatore del cow-boy Destry che (come il suo personaggio più famoso, non western però, il Dottor Kildare) ebbe gli onori anche di numerose trasposizioni cinematografiche; Ernst Haycox la cui storia Stage to Lordsburg (1937) - un vero e proprio plagio di Boule de Suif di Maupassant - servì da base per il celeberrimo film Ombre Rosse (Stagecoach) di John Ford (1939). E proprio la fortuna cinematografica del genere, da Tom Mix in poi, fece da cassa di risonanza per le opere narrative spingendo scrittori pulp già noti in altri settori della letteratura a cimentarsi anche col western: Robert W. Chambers (noto soprattutto per le sue storie horror e romantiche); L. Ron Hubbard (noto soprattutto per le sue storie di fantascienza e per essere stato il creatore di Scientology); Leigh Brackett (più nota per le sue storie di fantascienza e fantasy); e ovviamente Robert E. Howard.

Negli anni seguenti il genere continuò a interessare sia sulla pagina che sugli schermi cinematografici e, dagli anni Sessanta, anche televisivi: autori come Walter van Tilburg Clark, Luke Short, Ray Hogan, e soprattutto Louis L’Amour, imperversarono e serie TV come “Rawhide” e “Bonanza” portarono al successo futuri divi come Clint Eastwood. Anche i fumetti contribuirono all’espansione del fenomeno western: tutte le principali case editrici specialistiche, DC Comics, Marvel Comics, Fawcett Comics, ecc. ebbero il loro cow-boy di scorta e personaggi come Red Ryder o Lone Ranger raggiunsero fama internazionale (portando da noi a geniali imitazioni come Tex Willer, Kinowa, Capitan Miki, Zagor, ecc. ecc.). In questo periodo anche l’Italia può vantare una certa produzione libraria, grazie a Mino Milani che nell’intero decennio dedicherà ben sette romanzi al suo personaggio Tommy River (un ottavo volume uscirà nel 1976), e a Mariangela Cerrino che sotto lo pseudonimo di May I. Cherry scrive una nutrita serie di western - ben 17 - dal 1966 al 1973 (e che allo stesso modo degli autori americani citati passerà poi alla fantascienza, al fantasy e al romanzo storico, pur dando alle stampe altri western ancora negli anni Ottanta).

Oggi il genere western sembra meno sulla breccia di un tempo sia al cinema che sulla pagina scritta, ma l’immaginario western è ormai parte indelebile delle nostre fantasie avventurose. La qualità letteraria delle opere contemporanee inoltre (purtroppo raramente tradotte nella nostra lingua) non ha ormai più niente da invidiare ai romanzi mainstream; ricorderemo, fra tutte, quelle di due grandi autori recentemente scomparsi: Elmore Leonard, che ha basato quasi tutta la sua carriera giovanile sul western passando in anni più maturi al noir, e Richard Matheson, che ha fatto il percorso contrario, iniziando con noir, horror e fantascienza, e scrivendo in età ormai avanzata romanzi western altamente sofisticati e significativi , come Journal of the Gun Years o The Memoirs of Wild Bill Hickok.

Si è già detto che gli anni più fecondi per il western sono stati i primi quaranta del secolo scorso, ma l’apice fu raggiunto nei Trenta: sono gli anni della Grande Depressione, del Proibizionismo e dei gangster; anni in cui le riviste (e anche il cinematografo) costavano pochissimo e permettevano dunque un’evasione dalla dura realtà, un sogno a occhi aperti economicamente possibile anche per le fasce più misere della popolazione, soprattutto quelle della provincia americana. Ma il western (così come la fantascienza, che in un Paese privo di Storia rappresentava l’estensione del sogno americano e del mito della frontiera verso lo spazio) ha anche un’altra funzione: quella di cementare l’unità del popolo nei confronti di un nemico - i Pellerossa - in realtà poco pericoloso, di esaltare lo spirito nazionale verso nuovi traguardi con la corsa verso l’Ovest, di esorcizzare il periodo di recessione economica mostrando cosa gli Americani erano riusciti a fare e come sarebbero riusciti a riprendersi.

E’ in questi anni che opera Robert Howard.