Benvenuta, Simonetta. Tu vivi e scrivi a Napoli, proprio vicino al Golfo, con Capri di fronte e il Vesuvio alla tua sinistra. Ci spieghi lo shining topografico coniugato all’horror?

Innanzitutto grazie a te, Marilù, per la splendida ospitalità. Napoli ha senza dubbio un certo riverbero misterioso: da un lato la solarità del golfo e dei suoi colori, dall’altra il Vesuvio, il Grande Gigante Dormiente, che incombe silenzioso e terrificante. E poi ci sono le tante storie di fantasmi che  ancora oggi vivono soprattutto nella parte antica. Non a caso Napoli è la città con la più alta concentrazione di presenze soprannaturali al mondo. Un gustoso assaggio l’abbiamo dato nell’antologia “Questi fantasmi” per la Boopen Led: 17 storie di fantasmi napoletani realmente esistenti, meglio di una guida turistica.

Hai dichiarato: «...scrivo horror per dimostrare che anche le donne lo sanno fare.» Pensi che per una donna sia più difficile pubblicare?

Oggi non credo che in Italia il problema sia più tanto pubblicare quanto come pubblicare. Che resti un certo scetticismo quando si sente parlare di horror è fuori dubbio. Che non si abbia voglia di investire per creare un personaggio alternativo all’icona Dario Argento mi pare ovvio. La grossa editoria fa la parte del dormiente, come il Vesuvio, e preferisce i gialli e i noir. Ma l’horror ha invece una ricca fetta di pubblico, checché si creda, perché tratta paure irrazionali e fantasiose, ben più innocue di quelle storie di ordinaria follia tipiche dei thriller di certo, e purtroppo, più vicine alla realtà. L’omicidio efferato, quello sì che suscita orrore eppure il giornale che lo descrive nei dettagli o il libro che ne narra si vendono a palate. E poi mi vengono a dire che un fantasma li spaventa. Ma per favore…

Ci dai una definizione di horror?

Bella domanda. In generale lo definirei proprio Letteratura di Paura.

Del resto non rimangono molti vocaboli a disposizione: brivido se lo contendono il giallo e il thriller, nero è ormai appannaggio del genere noir… Manco più un colore ci è rimasto. Ma la Paura, quella non ce la toglie nessuno. È anche vero che l’horror ha varie sfaccettature, fondamentalmente diviso tra splatter, genere molto sanguinario basato su scene cruente, e non-splatter, che gioca più sulle atmosfere terrificanti e su una trama efficace che riesca a tenere il lettore inchiodato alle pagine. Ecco il mio horror è questo qui. Non basta il sangue a creare la suspense, ci vuole una buona idea ben scritta.

É da poco uscito “Vampiri – Da Dracula a Twilight”, edito da Gremese. Perché l’hai definito un non-saggio? 

Perché non ha la pretesa di insegnare niente a nessuno, soltanto di riportare un po’ di giustizia nel mondo di queste creature del brivido soggette a un mutamento modaiolo che negli anni le ha trasformate in personaggi alla Moccia, come le ha simpaticamente definite Paolo De Crescenzo, direttore della Gargoyle Books. Posso arrivare a comprendere una certa metamorfosi intesa come parziale presa di coscienza del personaggio ma non concordo sulla sua totale degenerazione. Il mio vampiro ideale è un predatore spietato, letale, anaffettivo. Non si tratta di cattiveria ma di sano istinto animalesco di sopravvivenza, il che lo rende perfino giustificabile, proprio come nel caso di un gatto randagio che mangia un uccellino. Umanizzarlo significa spogliarlo della sua essenza, snaturarlo, ucciderlo. Un po’ come ficcare una tigre in gabbia.

Su che tipo di documentazione poggia quest’opera? 

Una sorta di ricerca a tutto tondo, dalla letteratura al cinema e alla televisione, alla moda, alla cucina, musica, fumetti, videogames e giochi di ruolo, allo scopo di tracciare la piramide evolutiva del vampiro: dal deforme Nosferatu al succitato coscienzioso Edward Cullen della saga di Twilight. Senza ovviamente tralasciarne l’universo in senso stretto come le tipologie vampiriche, le dentature (perché ce ne sono diverse), come si genera, quali sono i poteri e come si uccide un vampiro. E infine il vampiro nel folklore mondiale. Il tutto condito da curiosità. Il libro inoltre vanta una veste grafica davvero accattivante: bellissime pagine antichizzate, illustrazioni e disegni che ne ritraggono alcuni dei più sinistri. E di questo vorrei ringraziare i miei figli, Fabrizio e Adriano Flocco, che sono gli autori rispettivamente dei disegni “vampirici” e del graphic design, e Flavio Tringale per i ritratti di alcune delle icone vampiriche cinematografiche. Non c’è tutto ma di tutto, direi. Proprio per i vampirofili di ogni età.

Ma tu ci credi ai vampiri? 

Diciamo che tendo a non escludere nessuna possibilità. Laddove non c’è una testimonianza diretta bisogna affidarsi al proprio istinto e alla fantasia.

Finora non ne ho mai incontrati ma negli Stati Uniti esiste la American Vampire League, un’associazione di vampiri moderni che sta lavorando per  l’integrazione dei vampiri in società: a tal scopo vogliono portare al Congresso la loro carta dei diritti alfine di garantire una pacifica convivenza con gli umani. Hanno un sito internet e un gruppo su Facebook. Tutto documentato. E questo è solo un assaggio delle tante curiosità che il mio libro contiene.

Se ne incontrassi uno, cosa gli chiederesti? (a parte di non morderti!) 

Ti dirò che l’idea di essere vampirizzata non mi dispiacerebbe. Perché detesto l’idea di dover morire. Non mi spaventa il trapasso in sé quanto l’idea di sparire da questo mondo, lasciare i miei affetti, le mie cose. Se potessi scegliere, vorrei ritornare come fantasma. Essere vampirizzata, invece, comporterebbe vivere in eterno, provare il brivido del volo, della caccia, della potenza. Disporre in pieno dei propri istinti. Vincere la Morte: confesso che qualcosa di tutto questo solletica quel mio io oscuro che se ne sta rintanato nel profondo. Ma comunque non ora. Adesso ho ancora troppe cose da fare qui, nel mondo dei vivi!

Hai ottenuto numerosi riconoscimenti (Premio Lovecraft XI ed., Premio Storie di Donne X ed.). Sapresti dare un consiglio a un aspirante intenzionato a partecipare a un concorso letterario? 

E un settimo posto al premio Scerbanenco dell’anno scorso per il mio romanzo “Dove il silenzio muore” (CentoAutori); una quasi-cinquina di cui vado comunque orgogliosa. Di concorsi ce ne sono a centinaia e possono trasformarsi in inutili macchine mangiasoldi.

Meglio selezionarne pochi ma buoni, inutile collezionare partecipazioni e/o vittorie che ai fini di una pubblicazione non valgono nulla. Il Lovecraft, per esempio, mi ha dato una grossa credibilità e visibilità che mi ha lanciata nel mondo dell’horror a pieno titolo.

Se dovessi definire la tua scrittura in cinque parole, quali sceglieresti? 

Coinvolgente. Ironica. Ritmata. Strangolante. PAUROSA.

Progetti? 

Eh, anche questa è una bella domanda. Avverto molto la penalizzazione di non avere un editore fisso a cui poter trasmettere le mie idee e metterle in campo in maniera efficace. Io scrivo molto e scrivo per tanti. È chiaro che tenderei a concentrare il mio lavoro su un progetto che comporti  la certezza della pubblicazione. Scrivere senza meta è dura e non molto gratificante, devo dire, e chi scrive sa bene quanto lavoro c’è che dietro un romanzo, non è come scrivere un racconto. E mi dissocio da quelli che dicono di scrivere a prescindere: in tutta onestà il mio lavoro cerca il suo plauso, altrimenti che senso avrebbe. Comunque, tra un racconto e l’altro a cui non rinuncio perché mi piace la scrittura concisa, compressa, sto scrivendo il sequel del mio romanzo “Dove il silenzio muore”: se vedrà mai la luce lo sapremo solo a cose finite.

Adesso qualche domanda personale. Cos’è la scrittura per te? Completa la frase: Scrivere è come...

… vivere. Ci tengo troppo per staccare la spina; del mio pc, in questo caso.

Un libro che ti ha spaventata

Più che altro direi che ci sono libri che hanno saputo tenere ben tese le mie corde emozionali. Per citarne alcuni: Cujo, Cose Preziose, La lunga marcia, Stand by me, Shining, Misery, il Miglio Verde, Frankenstein, Dracula di Bram Stoker, molti dei racconti di Poe e Lovecraft.

Essendo una lettrice bulimica, se sono in sintonia col genere, allora riesco quasi sempre a trovare qualcosa di buono in un libro. Non mi piace smontarlo, analizzarlo, soppesarlo; preferisco valutarne le sfumature, gustarne le suggestioni.

Un film che ti ha spaventata

L’esorcista. Correva l’anno 1974, io avevo 12 anni e non potevo vederlo perché era vietato ai minori di 14. Ma il cinema sotto scuola aveva esposto alcune fotografie nelle bacheche esterne: sono rimasta terrorizzata per anni. E confesso che tutt’oggi anche il solo incrociare per caso, per un solo istante, il viso demoniaco di Regan mi provoca incubi per giorni, anche da sveglia. La versione integrale uscita nel 2000 non l’ho ancora vista. Ho comprato il dvd, però.

Una situazione in cui hai avuto paura

Nella casa che nel mio romanzo “Dove il silenzio muore” chiamo La Silenziosa. Una sera ero sola e andò via la luce. Dopo un’oretta circa che mi ero attrezzata con candele, pc portatile per fortuna carico e un bel giochino passatempo, ho sentito all’improvviso delle inquietanti presenze e l’impulso irrefrenabile di fuggire. E l’ho fatto. Non mi ritengo una sensitiva ma mi fido molto delle mie percezioni. E non amo il buio: mi fa pensare alla fine di tutto, alla morte. il massimo del tollerabile è la penombra, infatti dormo con un po’ di tapparella aperta e con la luce della sveglia. Le tenebre cancellano colori e certezze, e rivelano ciò che la luce nasconde: lo dico anche sul mio sito.

Tre libri che hanno contribuito ai tuoi gusti di lettore

Più che di libri parlerei di autori, visto che da ogni libro io ho cercato di attingere quel qualcosa che ha contribuito a formare la mia scrittura. Edgar Alla Poe e il suo modo geniale di porre in crisi la nostra razionalità con situazioni talmente verosimili da indurci a credere che possano essere reali.  Stephen King, my Master, e il suo horror quotidiano, così vicino alle nostre paure, e la sua capacità di spaventare anche senza necessariamente ricorrere a creature soprannaturali.

Agatha Christie e la sua capacità di caratterizzare i personaggi, creare intrecci complessi e stupire sempre il lettore.

Ci saluti con una citazione da un tuo libro?

“Non vivo più nell’angoscia del Purgatorio, mi sono rassegnato a un’esistenza da medio peccatore e morirò contento di esserlo stato. Male che vada finirò all’Inferno e so che lì sarò in ottima compagnia.” È tratta dal racconto “Una foglia, un sasso, un fiore giallo” pubblicato dalla CentoAutori nella collana Leggere Veloce in volume con il più famoso “Quel giorno sul Vesuvio” vincitore del premio Lovecraft. Rispecchia molto il mio modo di vedere la vita, la morte, la fede. Non credo in una serie in imposizioni dettate da uomini mortali come me, né nelle loro illuminazioni divine. Perciò vado per la mia strada cercando di fare del mio meglio come individuo. Sono in pace con la mia coscienza. E poi dubito che a una come me che ha la fissa per i teschi e ci gode a spaventare la gente narrando di fantasmi, demoni e oltretomba aprirebbero mai i cancelli del Paradiso!

Battute a parte, permettimi ancora di ringraziare te, Marilù, e tutti i lettori di quest’intervista che avranno avuto la curiosità, e il buon cuore, di arrivare fino alla fine. La visibilità per noi scrittori non è mai abbastanza, e ogni lettore conquistato è un motivo in più per inchiodarsi di nuovo dietro al computer, a soffrire di sciatica, culo piatto, emicrania, cervicale, diminuzione di decimi e aumento di diottrie, a spremere cervello e creatività. Perché loro sono il motore di tutto questo e quando ti leggono, allora vuol dire che ne è valsa la pena.

www.simonettasantamaria.net