Forse il titolo non è adeguato. Con il primo Ong Bak e con The Protector(Warrior King) questo Ong Bak 2 ha poco e niente in comune. Diverso il tono, diversa l’epoca. Ma... finalmente un grande film di arti marziali, più vicino a Bang Rajan e alla Regina Shuryothai che alle storie d’azione contemporanee di Tony Jaa. L’ho trovato filmato con grande visionarietà e, malgrado la storia sia un canovaccio(con un sorpresa finale che lascia aperta la possibilità di un seguito) una grande capacità di cogliere la magia dell’Indocina. Quasi salgariano nel suo mix di personaggi, folclore, armi e caratterizzazioni. Jaa è sempre un grande. Tecnico, spettacolare, riesce a stupire senza usare “i fili” e questo, di fronte a una cinematografia marziale honkonghese che ormai ripete se stessa,è già un pregio. In effetti il concetto stesso di cinema marziale nel mondo thai è nuovo e, per i miei gusti, più genuino. Sotto un profilo puramente marziale oltre alle sequenze di Krabong e Muay Boran se non addirittura di Bando di Burma(o Thiang)ci sono vere chicche nella sezione dedicata all’apprendimento del guerriero. A parte la sequenza degli elefanti che, sotto il profilo cinematografico, è la più emozionante, il combattimento con le spade è puro stile Katori Shinto(ninjitsu giapponese, lo si nota dai colpi con il palmo della mano sull’impugnatura della katana prima dello scontro che sono tipici della scuola giapponese), poi il duello “cinese” che mescola stile Hung gar, al potente Nan Chuan e anche allo stile del Serpente. Poi è una girandola di calci, gomitate, ginocchiate volanti, lotta, insomma tutto il repertorio delle arti marziali classiche siamesi. Ma è la cura, la fotografia che aggiungono fascino a un film epico, quasi privo del tipico umorismo thai. E poi le caratterizzazioni dei pirati sono così salgariane che, inserite in un contesto in cui il povero Salgari neanche lo conoscono, per noi italici lettori d’avventure risultano commoventi. Forse, standosene nel suo studio a Verona, Emilio aveva davvero avuto una visione....