Nel romanzo “Io sono la prova” (Flaccovio, 2007), colpisce il fatto che si giochi volutamente coi meccanismi del giallo: pur mantenendo la struttura classica, il romanzo è concentrato sulle conseguenze del delitto e non sul mistero da risolvere. Come mai questa scelta?

Bellissima domanda, la risposta è complessa: in realtà io, anche nei lavori televisivi, tranne alcune eccezioni, non ho mai privilegiato la “macchina del giallo”, il “chi è l’assassino?” per intenderci, ma ho sempre puntato sui grandi vantaggi che offre la struttura del giallo per scrivere sceneggiati - e adesso romanzi - nei quali il vero interesse è altro. Altro significa rapporti fra personaggi, il poter affrontare temi che sono tratti dalla vita, sviluppare la psicologia delle creature che si muovono come fossero reali. Non sempre ci sono riuscito ma adesso con questo romanzo credo di sì e sono contento che alcuni critici abbiano colto il segno, scrivendo che non è un giallo ma un romanzo sulla vita e sul dolore di vivere. Io amo il genere giallo, ci vivo da oltre 50 anni con questa passione professionale, da molti di più come lettore, ma non sopporto che in Italia si crei un ghetto nel quale sono confinati i libri di genere. Credo di conoscere bene le regole, però mi è sempre piaciuto non rispettarle: la struttura è un mezzo per arrivare a quello che vuoi realizzare, con questo libro intendevo entrare nel marasma della realtà e cogliere i lati oscuri della vita. Sono sempre i lati oscuri quelli che m’interesano, anche se un filo di speranza in fondo c’è sempre. A volte, molto in fondo.

Già in “Una vita sprecata” (Flaccovio, 2005) veniva indagato Marco Dori, professore della scuola che la vittima frequentava, (e che tre anni prima era stato coinvolto nel delitto di un’altra ragazza), successivamente, in “Io sono la prova”, l’apparenza e le circostanze di nuovo puntano il dito contro di lui. É facile lasciarsi travolgere dai pregiudizi?

In questo momento la cronaca nera impazza e i delitti sono sbattuti in prima pagina sia nei telegiornali sia sulla stampa, con la creazione di partiti pro o contro, con un fanatismo quasi surreale, da stadio megagalattico.  I pregiudizi sono al centro della nostra vita, da quelli razziali a quelli moralistici, condizionano la vita individuale e quella collettiva. Il punto di partenza di “Una vita sprecata” è stato proprio questo: cosa succede se un uomo, che è stato coinvolto in un fatto di cronaca e, per rifarsi una vita, si è allontanato da tutto nascondendosi in provincia, finisce di nuovo nel clamore della cronaca? Come viene sconvolta la sua vita?

Come può continuare a vivere uno considerato da tutti da un assassino non solo per i sospetti attuali ma per la storia vissuta in passato e mai definita? Perché tutti sono pronti a considerarlo colpevole, senza lasciargli il vantaggio del dubbio? Temi che mi hanno talmente affascinato da continuare la storia di Marco Dori anche dopo il finale del primo romanzo per vedere come può proseguire la sua vita sprecata, nel tentativo disperato di dare un significato al suo passaggio su questo pianeta. Non posso dire altro per non togliere al lettore il piacere della scoperta, è vero che non sono un rispettoso e pedante seguace delle regole ma il mistero è sempre il mistero, non si può raccontare tutto.

 

“Io sono la prova” è anche un romanzo in cui l’amore, i sentimenti, le dinamiche interrelazionali vengono trattate con delicatezza e con la dovuta complessità: non solo evoluzioni/involuzioni e sparizioni di storie d’amore ma anche rapporti familiari imprevedibili, teneri e a volte sfuggenti, con tutte le contraddizioni e le affettività che comportano (mi riferisco, ad esempio, al professor Dori e al suo piccolo Roberto, oppure al commissario Daniela Brondi e a suo padre). Ha attinto da esperienze personali, ha inventato, ha osservato il mondo o tutte queste opzioni assieme?

Quando si scrive si attinge a tutto: quello che hai vissuto, quello che la tua fantasia ti spinge a creare, quello che speri di ricevere in futuro da coloro che ti sono vicini o che un giorno conoscerai. Io sono un uomo curioso, attento a tutto quello che mi vive intorno e cerco sempre di afferrare non i lati evidenti, visibili dei fatti ma anche i lati sotterranei e quindi oscuri. In realtà quello che conta è il punto di vista che si sceglie di avere: nella mia vita reale e in quella artistica non assumo mai le vesti di chi giudica, provo a non avere mai posizioni preconcette, cerco di dare le sfumature che a volte sono più importanti della stessa sostanza. Niente è veramente nero, niente è del tutto bianco.

Guardo le mie creature con molto amore anche quelle che sono cattive o che sembrano tali. E come sempre capita tutto può essere bianco e nero insieme, restituire questo mix, questa confusione è ciò che m’interessa. Tento di farlo sempre con la tenerezza e con la dolcezza con le quali si  dovrebbe cercare di vivere i rapporti sentimentali a qualunque livello. Se mi stai dicendo che ci sono riuscito, mi rendi felice. Io amo il jazz, il blues, è su questi toni malinconici e sfumati che cerco di costruire gli amori, gli odi, la vita. Naturalmente questo significa affrontare rapporti complessi come quelli padre figlio o uomo-donna. Si riesce a definirli ed a farli rivivere se si usano toni delicati, dolenti, leggeri come la carezza di un bambino.

 

Nel passaggio da “Una vita sprecata” a “Io sono la prova” c’è anche lo spostamento d’azione da Mantova a Roma. Sapendo che lei è romano non le chiedo come mai abbia scelto la sua città. Perché Mantova, invece?

L’antefatto tragico, il  delitto di una ragazza che è alla base di “Una vita sprecata”, avviene a Roma, città dalla quale Marco Dori è costretto a fuggire per cercare di rifugio in una città di provincia dove poter ricominciare da capo. La scelta di Mantova è stata determinata dal mio pensare per immagini e Mantova visivamente è una città piena d’ombre e di luci, è un misto d’antico e di moderno. Inoltre, dato che spero di portare i miei due romanzi in televisione, Mantova non è stata sfruttata molto come set cinematografico ed ha invece un fascino architettonico ed il clima giusto per fare da cornice ad una storia di mistero. Una cosa che mi piace dire di me è che sono un viaggiatore, amo girare per l’Italia e per il mondo, sempre con la solita mia curiosità di vedere tutto, senza perdere nulla. Per fortuna dormo poco e al mattino mi piace girare per le strade ancora deserte, con il sapore strano che ogni città ha al risveglio. Prima scattavo fotografie, adesso non più, perché sono dotato di una notevole memoria visiva e conservo dentro di me tutte le immagini che m’interessano. Un gioco che amo fare è dire ci sono stato ogni volta che qualcuno fa il nome di un posto. Purtroppo l’unico rimpianto è che al cento per cento ormai non posso arrivarci più.

Si è occupato sia di grande e piccolo schermo, sia di letteratura e teatro. Qual è il grande shining dello schermo e quale quello della letteratura?

Domanda che fa tremare i polsi ma provo a rispondere.

Con sincerità posso dire che ogni mezzo ha il suo shining specifico, ma in realtà ogni mezzo espressivo trova la sua forza in quello che l’autore ha voglia di dire. Importante è capire che ogni mezzo è diverso, lo so che sembra una banalità ma spesso in realtà questo non succede, qualcuno scrive un film come se fosse un libro o viceversa. Interessante è capire le diversità oltre il fascino d’ogni mezzo ed esprimersi in base alle specifiche potenzialità. Divertente a volte è mischiare le carte: io ammetto che soprattutto ho una capacità visiva ( grande o piccola lo lascio decidere ai critici e agli spettatori o lettori) quindi penso per immagini, ma non è assolutamente detto che questo sia un difetto se ti esprimi attraverso la pagina scritta. Molte persone mi hanno detto che, leggendo i miei libri, si sono sentiti trasportare nei posti che descrivevo, si sono sentiti coinvolti nelle emozioni che provavo a trasmettere. Lo stesso mi è successo quando facevo cinema o televisione: lo shining sta nel rapporto che crei con chi ti guarda o ti legge. Ho girato un film per la Tv “STORIA SENZA PAROLE “, che vinse il premio nel 1980 come miglior filmTv e che ha fatto il giro del mondo nei vari festival di cinema, dove non c’era una parola, tutto veniva espresso dalle immagini, dalla musica, dai suoni della realtà, cioè i rumori.
Ed era un piacere, quando l’ho seguito nel mondo, accorgermi che quasi tutti gli spettatori si rendevano conto solo alla metà del film che non c’erano dialoghi e che la cosa, non solo non creava difficoltà, ma dava fascino, avvinceva, come si dice a Roma acchiappava.  Spero di aver risposto ma vorrei dire che questi sono problemi tecnici: lo shining del cinema della televisione della letteratura del teatro è un tale mistero che proprio per questo ho cercato di esprimermi in ogni campo. Ci sono riuscito? Anche questo è un mistero, come temo sia anche riuscire a rispondere alla domanda. Ieri sera “L’ULTIMO INCUBO DI EDGAR ALLAN POE” lo spettacolo teatrale che ho scritto e diretto ha chiuso le repliche davanti ad un pubblico di giovani entusiasti e partecipi. Il teatro è il mio nuovo giocattolo: questo forse è il vero segreto, dopo quasi 50 anni d’attività, continuare a divertirmi come se fosse la prima volta. Ad un giornalista, tanti anni fa, ho risposto che mi stupivo sempre che mi pagassero, anche bene allora, per giocare. Se lo fai per gioco e non per lavoro - anche se la professionalità è un elemento determinante, spesso trascurato - al pubblico arrivi sempre. Questo è lo shining vero di tutto lo spettacolo, letteratura compresa. Colpire al cuore del pubblico.

Quali sono i suoi maestri della pellicola e della pagina scritta?

Due scrittori ho sempre amato e continuo ad amare in modo viscerale: Raymond Chandler e Dashiell Hammett. Da piccolo li ho scoperti, quando la critica accademica e ufficiale italiana li considerava minori perché scrittori di genere e, come sappiamo tutti, la letteratura di mistero, il giallo, era considerata di serie B.

Fra i ricordi felici della mia vita professionale è di aver portato in radio nel lontano 1968, come sceneggiatore e regista, il romanzo di Chandler “Il lungo addio” con uno splendido Arnoldo Foà nelle vesti di Marlowe e il suo racconto più bello “Aspetterò”. Mi è capitato di risentirli e sono stato molto contento di me stesso, anche di queste soddisfazioni si vive, no? Per Hammett due anni fa sono riuscito a scrivere una piece teatrale HAMMETT n. 3241, che riguardava un momento particolare della sua vita: il giorno che è uscito da prigione, dopo aver scontato sei mesi per colpa del maccartismo, della caccia alle streghe. In tempi di Obama, vale la pena ricordare anche quegli anni bui del sogno americano, quando per non aver voluto fare la spia potevi finire in prigione e non aveva nessuna importanza che tu fossi il più grande scrittore americano. In Italia, per quanto riguarda il genere mistero, la scelta è facile: Giorgio Scerbanenco, anche perché dal suo ultimo romanzo “I milanesi ammazzano il sabato” ho tratto la sceneggiatura del film “La morte risale a ieri sera”. Scerbanenco mi piace per la durezza e l’essenzialità del suo linguaggio – evidente anche nei racconti – e per la capacità di leggere o meglio di anticipare la realtà. Ha saputo descrivere Milano non com’era ma come stava per diventare.
La sua Milano è nello stesso tempo quella del boom – la Milano da bere- ma anche quella che l’operazione Mani Pulite ha rivelato. Nei suoi romanzi si coglie la trasformazione da città grande ad una metropoli dove sia il bene che il male prendono colori diversi. Milano sta diventando Milano calibro 9.

Raitrade, in collaborazione con Fabbri Editori, ripropone nella collana “Sceneggiati Rai Giallo & Mistero” un ciclo di Dvd che è una raccolta di produzioni televisive. Tra le firme, anche il suo nome compare con ben sei suoi sceneggiati, tra cui il famosissimo Coralba. Perché i gialli degli anni ‘70 sono ancora attuali?

La collana sta avendo un tale successo che dai 20 grandi sceneggiati previsti si è passati a 22 ed io sono passato da 6 a 7, essendo stato aggiunto RACCONTI FANTASTICI che D’Anza ed io scrivemmo, ispirandoci molto liberamente al grande Edgar Allan Poe, e con attori eccezionali come Philippe Leroy, Gastone Moschin, Vittorio Mezzogiorno. Sto scrivendo sulla collana un articolo per la rivista della SIAE VIVAVERDI e l’ho intitolato QUANDO IL BRIVIDO ERA IN BIANCO E NERO ma l’attualità di questi sceneggiati, sia i miei sia gli altri, è determinata da vari fattori: per primo, erano scritti da sceneggiatori che sapevano fare con amore un lavoro che non era solo mestiere. Sto parlando di Lucio Mandarà, scomparso proprio in questi giorni e che saluto con l’affetto e il rispetto che ho avuto sempre per lui, Gianfranco Calligarich, Flavio Nicolini, Fabio Pittorru e Massimo Felisatti, Diana Crispo, mia complice in molti lavori. La qualità di questi script è soprattutto nel ritmo interno al testo: mi spiego, allora si realizzavano questi lavori prevalentemente in studio, con pochi esterni e con una tecnica televisiva che imponeva un linguaggio quasi teatrale. Non solo non c’erano i famigerati effetti speciali d’oggi, ma produttivamente noi scrittori eravamo obbligati a scrivere scene lunghe, da realizzare in studio, rispondendo all’esigenza produttiva di portare a casa tot minuti al giorno e spesso tot stava per tanti. L’unico modo per scandire il ritmo era darlo alle storie, far succedere qualcosa ogni pochi minuti, creare una tensione narrativa all’interno della trama, scolpire personaggi che facilmente agganciavano il pubblico.

Adesso tutti montano anche i filmini di casa con il computer, allora si usava il nastro magnetico da due pollici e s’incollava con lo skotch, dopo averlo tagliato con una lametta. Quindi di attacchi di montaggio se ne dovevano fare pochi. Guardando i titoli, si nota che la collana offre un panorama molto vasto, con titoli diversi l’uno dall’altro per qualità ma anche per genere, dal giallo all’inglese al giallo collegato profondamente alla realtà italiana. Tenete presente che allora la RAI chiedevano di ambientare i gialli all’estero, poi alcuni di noi autori, forti dei successi ottenuti, riuscirono ad imporre storie italiane come RITRATTO DI DONNA VELATA, scritto da Calligarich e Paolo Levi, diretto da Flaminia Bollini, e il cult DOV’E’ ANNA?, scritto da me e da Diana Crispo per la regia di Piero Schivazappa. Non ho il minimo pudore a dire che proprio il successo di DOV’E’ ANNA? ha creato una svolta, non solo nella storia del giallo televisivo, ma anche di quello letterario. Ricordiamo, anche a coloro che hanno memoria corta, che allora gli editori non volevano puntare sul giallo italiano e pubblicavano pochissimi romanzi. Io sono convinto, e non credo che sia solo personale vanità, che il successo del giallo televisivo ambientato in Italia abbia dato una spinta al successivo boom editoriale. Da allora nessuno fece più ostacolo al fatto che attraverso i gialli italiani si raccontasse la nostra realtà, con tutti i problemi e i drammi che la nostra società si porta dietro. E forse se li porterà per sempre. Se uno analizza DOV’E’ ANNA?  
ci si accorge che, al di là del mistero di ritrovare la donna scomparsa e di capirne le ragioni, si affrontano temi scabrosi per l’epoca, la malattia mentale, il mercato dei bambini da adottare, la prostituzione, allora trattati in programmi giornalistici di seconda serata, invece qui portati in prima serata in uno sceneggiato che ha avuto una media di 15 -16 milioni ed un picco di 28 milioni per l’ultima puntata. Tanto da meritarsi un titolone in prima pagina, a titoli cubitali, di un giornale della sera di Milano –La notte -  che adesso non c’è più ma che allora era importante. Cose d’altri tempi, ma forse è giusto rivedere. Vorrei citare gli altri titoli miei nella collana: i tre, UN CERTO HARRY BRENT – COME UN URAGANO- LUNGO IL FIUME E SULL’ACQUA che ho sceneggiato da soggetti di Francis Durbridge, uno scrittore inglese, ottimo inventore di macchine gialle che andava, però arricchito da un lavoro, che non si limitasse ad aumentare le durate di 30 minuti a puntata fino a 60’, ma portasse avanti la creazione di personaggi umani più complessi e affascinanti. Con questo lavoro, riuscimmo a convincere un divo di allora e grande attore come ALBERTO LUPO ad accettare di fare Harry Brent e subito dopo COME UN URAGANO.  programmi che facevano record di ascolti e ottenevano anche buone critiche di stampa. Ultimo da citare HO INCONTRATO UN’OMBRA e lo faccio volentieri su Thrillermagazine perché su questo sito un paio d’anni fa pubblicammo la sceneggiatura. Adesso per gli appassionati del giallo è possibile fare un confronto fra il testo e il programma, acquistabile in dvd in edicola. Ovviamente il mio consiglio molto interessato è di comprare, comprare, comprare …

 

“Coralba” (1970) scritto da lei, diretto da Daniele D'Anza, vanta nomi eccellenti: Rossano Brazzi, Mita Medici e Glauco Mauri e, nella sigla, addirittura Frank Sinatra. Ci racconta un aneddoto in merito a questo film?

Nel 1967 aveva avuto molto successo uno sceneggiato che Daniele D’anza aveva diretto dopo averlo adattato da un copione di Durbridge e il protagonista era Rossano Brazzi. IL titolo era MELISSA. La RAI era pronta a fare il bis, Rossano era mio amico – allora lui era un divo internazionale, io ero un giovane che aveva cominciato da poco, ma aveva scritto un film per lui, nel senso che Rossano lo aveva anche diretto con uno pseudonimo americano – e mi chiese una storia, io la scrissi in modo molto ampio al punto che la RAI comprò i diritti come un romanzo inedito e non come un soggetto.

E per ricordare Melissa decidemmo di dare un nome di donna, CORALBA solo che non si riferiva ad una donna ma un medicinale, per il quale un amico chimico scrisse anche la formula. Di CORALBA avrò per sempre un ricordo bellissimo perché mi ha fatto incontrare Daniele D’anza che, come potete vedere, è il dominatore di questa collana, perchè ha fatto la regia di quasi tutti. Con Daniele nacque un ottimo rapporto professionale, io lo consideravo un fratello maggiore, anche perché lui era un ottimo sceneggiatore oltre che regista. Insieme abbiamo dato vita anche ad altre opere: HO INCONTRATO UN’OMBRA, RACCONTI FANTASTICI, tratti dal mondo di Edgar Allan Poe, L’ULTIMO AEREO PER VENEZIA e MADAME BOVARY, anch’esso acquistabile in dvd nella colla GRANDI SCENEGGIATI RAI. Scrivemmo anche un film che non riuscimmo a realizzare ma che forse un giorno …come vedete, sono un ottimista. Come curiosità posso raccontare che il mio romanzo inedito, che un giorno forse pubblicherò, era ambientato in Italia ma allora i dirigenti non volevano gialli con poliziotti italiani e tutto fu spostato in Germania, con il risultato che il grande attore Glauco Mauri finì con il fare un poliziotto tedesco. Altra curiosità: CORALBA fu girato a colori e così fu trasmesso in Francia, in Germania e in Svezia ( con enorme successo) mentre da noi a gennaio del 1970 andò in onda in bianco e nero. Quando la nostra tv divenne a colori, ebbe l’onore di andare in onda anche se era una replica, in prima serata e di domenica. Ovviamente parlo delle domeniche di allora, quando c’era il massimo ascolto.

Come sono cambiati gli effetti speciali, dagli anni ‘70 in avanti?

In televisione allora non c’erano, quasi tutte le opere di questa collana sono state registrate con il sistema videomagnetico ed allora non esistevano le centraline di montaggio, ricordo ancora con i brividi, quando erano grandi pesanti e poco maneggevoli le telecamere. Adesso dal punto di vista tecnico ci sono stati progressi notevoli, si può veramente fare tutto, ma non mi pare che i risultati siano diventati più soddisfacenti.

I nostri effetti speciali erano la forza dei testi, spesso superiori a quelli d’oggi, e la grande qualità della recitazione: gli attori coinvolti nei gialli di questa collana sono nomi che dicono qualcosa anche ai giovani, perché ci sono mostri sacri come Lupo, Pagliai, Brazzi, Mauri, Carraio, Santuccio ed è un vero piacere vederli e sentirli. Qualcuno può farmi i nomi dei divi di oggi ? io non ho citato il mattatore Gassman che in televisione segnò una epoca con IL MATTATORE diretto da Daniele D’anza. Una domanda: quando qualcuno si deciderà a dedicare un premio a questo maestro della regia televisiva? Ed una breve curiosità: quando era scomparso Gassman negli anni 80 si parlava di nuova televisione ed io proposi ad un attore molto famoso di rifare il mattatore perché lui era l’unico. Ma questi non ebbe coraggio e disse che lui alla televisione non credeva. Indovinato chi era? Credo di no, Carmelo Bene.

Come è cambiato il filone del cinema giallo?

Se parli del cinema italiano, forse un filone non c’è mai stato o è stato piuttosto sporadico. Con il successo di Dario Argento si dette vita a un filoncino di gialli che però finivano con lo sfociare nel genere horror. Io ne ho fatto uno, THE BLACK CAT di Lucio Fulci e sono contento perchè nel mondo è considerato un cult e basta cliccare su internet per vedere pagine e pagine di roba. Adesso non se ne fanno proprio e secondo me il migliore film resta IL MALEDETTO IMBROGLIO che Pietro Germi trasse dal romanzo di Gadda. Ma buoni sono anche i film che all’origine hanno romanzi di scerbanenco e quello di tessari scritto da me è uno dei migliori.

Qual è il suo prossimo progetto?

Di progetti ne ho tanti, perché io non mi fermo mai, sono sempre pieno d’idee e di voglia di lavorare, anche perché sono in grado di scegliere quello che voglio fare e quindi mi diverto, è uno dei pochi vantaggi che l’età ti concede. Per la televisione, con i due produttori della FEELMAX, Massimiliano La Pegna e Pietro Lama, stiamo lavorando sul progetto di fare il remake di Dov’è Anna? convinti come siamo che si deve tornare al grande sceneggiato giallo o mistery in tante puntate. Sempre che ci sia l’aggancio giusto, quasi un tormentone, per costringere il pubblico all’appuntamento successivo. Il pubblico è cambiato, ma credo che nonostante tutto, se la storia avesse i requisiti giusti, tutti sarebbero pronti a farsi acchiappare. Il mistero e il fascino di questo nostro lavoro è capire quali sono i requisiti giusti e a volte non si riesce.

Spero di riuscire a trasportare i miei due romanzi UNA VITA SPRECATA E IO SONO LA PROVA in televisione, perché credo che le storie di Marco Dori e Daniela Brondi possano incantare il pubblico. Sempre con la mia eroina Daniela Brondi ho pronto il terzo romanzo, il DRAGO E LA ROSA che la vede agire nella mia città Roma ormai diventata sua e muoversi nei meandri vischiosi e pericolosi della jet society di questa città fra intrighi della politica, fra sesso e denaro. Il romanzo è pronto e sto occupandomi della sua uscita. Intanto per non stare fermo sto scrivendo  il quarto romanzo con la Brondi IO CHE HO VISTO I DELFINI ROSA dove a lei si contrapporrà un personaggio che mi piace molto, un barbone senza passato ma misterioso e affascinate come il suo nome Socrate. Per ora non dico altro, ma mi piace citare anche la mia attività come presidente degli autori televisivi nell’ambito della SIAE e nel mondo dello spettacolo per tutelare il diritto d’autore. Dico sempre che questa attività serve a giustificare gli anni spesi per prendermi la laurea in giurisprudenza e anche quelli passati a fare politica da giovane. I vecchi amori non si dimenticano mai.  Speriamo che loro si ricordino di noi. Altrimenti, che tristezza!