In Generazione Mc Donald’s (ottobre 2008) hai reso il non-luogo del fast food come un microcosmo –in apparenza rassicurante– che racchiude tante mutilazioni: disuguaglianze nella scala sociale, vessazioni, precariato ma anche precarietà delle speranze. Eppure, anche in questa condizione claustrofobica, l’uomo si riscatta attraverso le sue forze e le sue debolezze: amore, anelito alla felicità, tradimento, sconfitta...

Generazione Mc Donald’s è un romanzo che racconta un’esperienza realmente accaduta. Appena mi è stata raccontata ho “sentito” che doveva essere scritta. Di certi luoghi che sono entrati da decenni, così prepotentemente, nel nostro panorama urbano, nelle nostre abitudini, persino nei desideri e negli archetipi, non conosciamo realmente quelle che tu ben  definisci “mutilazioni”. Oppure pensiamo che riguardino gli Stati Uniti in particolare, o altri paesi, non il nostro. Crediamo che  da noi sia diverso, che le vessazioni o la qualità pessima del cibo  ci riguardino meno, che i fast food nostrani abbiano una loro “italianità”.  Se ci fai caso la maggior parte dei materiali che trovi su internet e che denuncia diseguaglianze, irregolarità e danni di queste corporation si riferisce ad America o Inghilterra e lo stesso certi film, peraltro popolari e molto interessanti come Supersize Me, per citarne uno. Se crediamo in una “italianità” del fast food che vince sulla potenza della corporation siamo in errore. Questo elemento è stato il motore che mi ha spinto a scrivere il libro. Ho cercato di rendere la testimonianza documentata e dettagliata che mi è stata raccontata nel modo più efficace attraverso la trasposizione romanzesca.

Ma non volevo che si trasformasse in un proclama contro i fast food. Non mi interessa questo. Io sono un’osservatrice del contemporaneo, delle sue crepe,  dei suoi feticci, delle sue abitudini, delle sue deviazioni e malattie. Desideravo che il libro potesse essere fruito comeuna bella storia dove il McDonald’s si fa scenografia di vicende umanissime, una storia nella quale l’uomo, le sue passioni, le rincorse, la fiducia, l’amore l’amicizia, fossero comunque centrali e fondamentale collante ai temi economici e del lavoro.

Il resto è carne ha il merito di aver sviscerato un argomento-ossessione per i nostri tempi: quello del grasso e del magro, da cui soprattutto le donne sono tormentate. In questo romanzo, un fanciulla prima filiforme si sveglia una mattina completamente obesa, dopo una kafkiana metamorfosi. Vi è una velata critica nei confronti degli stereotipi mediatici?

Senza dubbio.  La voglia di farne una favola, una favola surreale che stravolge il consueto, che permette una deviazione dal reale. Raccontare l’ “incanto obeso”. L’incanto di quello che è normalmente improponibile, da biasimare.

 

Dopo aver  letto  "La sottomissione di Ludovica" sorge spontanea una domanda: ma siamo tutti in qualche modo sottomessi a qualcosa, anche se non ne abbiamo coscienza?

Siamo esseri friabili, bisognosi di sentirci sempre ebbri di qualcosa. Le compulsioni sono molto diffuse. Alcol, droga, ma anche lo shopping, la dipendenza da internet, dalla televisione, da certe abitudini sessuali.  Abbiamo bisogno di proiettarci in qualcosa che allontana dal qui e dall’adesso,  dal presente, dall’unico tempo che abbiamo, e allora un sogno di sottomissione, una sensazione di dipendenza può essere una forma di fuga, simile a quella in altri universi lisergici e psichedelici. Io credo che  la consapevolezza sia la chiave per sfuggire in parte alle compulsioni e godere della vita, del corpo, sapendolo “abitare” comunque e dovunque sia.

Quindi non è necessario essere sottomessi a qualcosa ma molto diffuso.

 

Hai affrontato tematiche scottanti, mi riferisco ad esempio a Hot Line. Storia di un’ossessione, Confessioni di una coppia scambista, Transgender Generation. Come mai la morale comune punta facilmente il dito proprio laddove guarda con più curiosità morbosa?

A volte ripenso a certi temi che ho affrontato nei romanzi che citi e noto come il confine si sposti continuamente. Temi che qualche anno fa apparivano morbosi, scabrosi o persino indecenti, sono diventati comuni, normali, accettati.

Io sono convinta che la letteratura, come diceva Marugerite Duras, debba indagare nelle pieghe dell’illecito.Lo scrittore deve avere coraggio, deve andare a vedere, sperimentare (l’ho fatto anche in un altro romanzo del 2005 che ho piacere di ricordare, L’Anarchiste).

Anche a costo di dolore, di equivoci.  In passato era il corpo lo strumento e il “luogo” per arrivare a quell’illecito che volevo scovare e raccontare

Adesso credo- e su questo ho spostato il mio interesse- che sia per me (solo per me, scrivere è un atto caparbio, solitario, meticoloso, che non ammette generalizzazioni) importante puntare l’obiettivo su altro. Su temi che riguardano l’economia, le grandi élites finanziarie, il lavoro, le corporation. Sempre in contesti romanzeschi dove l’epica umana rimane centrale. Fondamentale.

Hai sperimentato in più di un romanzo la letteratura sposata al web. Un mondo virtuale totalizzante placa lacune esistenziali, colma i vuoti nei rapporti o cos’altro?

Non so. Un mondo virtuale totalizzante placa in maniera illusoria le lacune esistenziali. Sembra. Spesso aggrava stati d’animo dolorosi o depressivi. La rete illude di avvicinare ciò che è lontano ma va usata con grande consapevolezza (vedi, questo termine ritorna sempre)

Cosa ti piace di Internet e cosa ti infastidisce o ti angoscia?  

Mi piace molto la facilità di accesso alle informazioni, la possibilità di approfondimento. E’ indispensabile per molti aspetti del mio lavoro.

Ho passato periodi in cui la rete mi ha entusiasmato , mi ha ipnotizzato, è stata paese dei balocchi, continua sorpresa, luogo di scoperta, di produzione e di fruizione di contenuti (penso a questo web 2.0 cosi carico di immagini, notizie, video, con le persone che possono interagire costantemente). Della rete mi infastidisce, invece, la possibilità che ha di trasformarsi in strumento di calunnia o di lode incondizionata: il modo con cui, in certi blog ad esempio, gli argomenti perdono senso e spessore e nei commenti una discussione si trasforma in  una lotta di partigianerie, di persone che riversano anonimamente, magari, tutta la loro aggressività prendendo ora una posizione, ora un’altra. E’ una delle degenerazioni più sgradevoli, che veicola contenuti storpiati, che spaventa, e impoverisce le cose importanti che sono presenti su internet. Mi angoscia, invece, il non-tempo.

Il modo in cui, ad esempio i social network ultimamente così in voga, rendono il tempo che si trascorre on line un non-tempo dilatato, languido, senza fine, che appare gravido di possibilità, sospeso e ovattato. Io credo che produca una bolla irreale. E’ un tempo annullato solo nella percezione, la percezione diventa svasata, vulnerabile e questo tipo di dilatazione rema contro la realtà e produce distrazione. Essere distratti è imperdonabile, dannosa, eppure inevitabile in un mondo dalle scansioni così accelerate, a volte, e così lente, in altri momenti. Il non- tempo rischia infiltra la mente e produce assuefazione rapida. Questo non mi tiene lontana dai social network.  Sono curiosa, esploro, ma cerco anche di disciplinarmi.

Hai scritto più di quindici romanzi oltre a innumerevoli racconti. Come organizzi la tua vita professionale, secondo una disciplina ferrea o conciliando gli impegni alle energie quotidiane?

E’ dal 1996 che vivo di questo lavoro e, oltre a scrivere romanzi e racconti contenuti in antologie, tengo corsi di scrittura, traduco, collaboro con alcuni magazine. Per i romanzi ci vuole disciplina, tanta.

Inizio con un’idea, attorno alla quale cominciano a ruotare tutto, sono del parere che quando si ha un progetto di romanzo, ogni cosa, ogni informazione, ogni incontro “cospira” per condurre verso. Il progetto pretende una dedizione totale,  succhia energie, travolge gli ostacoli. Nella prima fase leggo, prendo appunti che sono come delle scalette preliminari, destinate a modificarsi, cerco notizie. Poi comincia il lavoro vero e proprio, arriva di suo, scatta un click, allora posso stare alla scrivania anche quindici ore di seguito. Riesco, con molti equilibrismi, a conciliare anche il resto, è necessario. 

Qual è il tuo prossimo progetto?

Non posso dire molto, per scaramanzia. Sono in quella prima fase, eccitante e coinvolgente. Posso solo dire che, proseguendo nella direzione di Generazione McDonald’s, sarà un romanzo incentrato su temi economici.

Vado molto spesso a Zurigo a fare delle ricerche e ho una pila di saggi che sto studiando. Di più non posso dire, ma lascerò che questo lavoro ( che ho in testa dal 2006) prenda tutto il tempo necessario.

 

Sei stata editor, promoter e consulente per Borelli editore, organizzatrice d’eventi per associazioni culturali italiane e francesi, hai coordinato il lancio della collana “Confessioni” di Giraldi editore e hai collabora con alcune case editrici e gruppi di donne per l’organizzazione di reading itineranti e di progetti editoriali relativi alla scrittura femminile. Una scelta coraggiosa in un mondo, quello della scrittura, in cui non solo è difficile esordire, ma lo ancor di più per una donna.

Io sono sempre per valorizzare la scrittura delle donne. Direi per valorizzare le donne in generale.  Non per una imposizione, o per una specie di senso del dovere. Mi interessano i circoli virtuosi. Le donne che danno valore alle altre donne, mettono in circolo elementi positivi: si può chiamare con un termine antico “sorellanza”. O è solo un fatto di riconoscere ciò che unisce con le altre donne, soprattutto se si condividono percorsi creativi. Ho incontrato persone magnifiche  e, proprio a proposito di questo, vorrei segnalarti, in anteprima, l’uscita imminente di un’antologia, della quale ho il privilegio di far parte di  M’ama? Mamme, madri, matrigne oppure no (a cura di Annalisa Bruni, Saveria Chemotti e Antonella Cilento, Il Poligrafo, Padova, 2008, Collana Graphie). Testi, modelli, immagini della scrittura femminile”. Cito le parole dell’Introduzione: “Con parole simili e diverse, di figlie e di madri, le scrittrici di M’ama? provano a raccontare la realtà di questo nostro tempo, la propria immagine del ‘materno’ e, nel contempo, il disorientamento rispetto a conquiste di libertà e di emancipazione che si credevano (o speravano) definitive.

Dunque, venti storie per venti donne che affidano la loro esperienza, le loro emozioni, le loro riflessioni alla pagina: scrittrici di varie generazioni, affermate, esordienti o addirittura inedite si confrontano e dialogano su questo tema strategico”. Sono stata coinvolta in questo bel progetto da alcune donne che, come me, pensano che dall’unione delle idee e dei progetti  femminili possa venire fuori una grandissima forza.

Io penso che il tuo shining –la luccicanza di scrittrice– consista nella tua capacità di dominare flussi potenti di parole. Come in un regno subacqueo i tuoi sudditi –le parole– sono sostanza liquida che si muove per istinto e per passione. Ma tu li governi, incantandoli con le formule magiche della tastiera e imbrogliandoli proprio con le stesse armi  che danno loro vita, l’istinto e la passione, appunto. Sei d’accordo?

Caspita, questa definizione sarebbe piaciuta ad Anais Nin. La sua scrittura è questo, io quando la leggo percepisco sempre questa immersione delle parole, questa liquidità.  E naturalmente mi fa molto piacere che tu la trovi collegabile al mio lavoro,  amo la Nin, è uno dei miei punti di riferimento: non posso dire se sono d’accordo o meno, quello che si scrive prende vita nella fruizione e nell’analisi degli altri.  Grazie.

 

Cosa c’è, nella scrittura, che non si può rendere con le parole?

Nella scrittura c’è la necessità. Ci sono il tempo e il ritmo. C’è una storia ma c’è anche l’assenza di una storia. C’è un demone, un’ossessione dominante( per ciascuno diversa). Questi elementi si fondono e si mixano, e costituiscono una formula alchemica che non può essere“detta”, svelata, o resa ma che va cercata, con pazienza e con metodo, con determinazione e con caparbietà.

E ogni libro è un tassello della ricerca.

 

Bibliografia

La sottomissione di Ludovica, romanzo (Borelli-Pizzo Nero, 1995, 2004).

Hot Line. Storia di un’ossessione, romanzo (Einaudi, 1996).

Villa Baruzziana. Storie di marginalità, racconti (Fernandel, 1997).

Relazioni scandalosamente pure, romanzo (Marsilio Editori, 1998).

Amore a Marsiglia (Marsilio Editori, romanzo 1999).

Il diario di Carmen (Borelli-Pizzo Nero, romanzo 2000).

Il resto è carne (Adnkronos libri, romanzo 2000)

Transgender Generation, romanzo (Borelli-Pizzo Nero, 2001).

Web cam, romanzo (Marsilio Editori, 2002).

Diario di una blogger, romanzo (Marsilio Editori, 2003).

Storie illecite di perdizioni e diseredati, racconti (LietoColle, 2003).

Enigma Veneziano, romanzo (Borelli-Pizzo Nero, 2004).

L’anarchiste, romanzo (Aliberti, 2005).

Confessioni di una coppia scambista, romanzo (Giraldi, 2006)

Train du rêve, romanzo (Giraldi, 2006).

Magnificat Marsigliese, racconti (Creativa, 2007).

Confessioni di un alcolista, romanzo (Giraldi, 2007]).

Via crucis per corpo e anima svestita, racconto (MiniConcepts - ARPANet, 2007).

Kaddish profano per il corpo perduto, romanzo (Azimut, 2008).

Generazione McDonald’s, romanzo (Marlin, 2008).