Se devo scriver una recensione per la rubrica Giallo Comico è bene che mi chiarisca preliminarmente le idee su cosa si intenda per “giallo comico” al fine di capire se il libro che ho letto rientri o meno in questa categoria.

Se per giallo comico si intende un libro giallo che fa sghignazzare dall’inizio alla fine mi sa che romanzi del genere ne esistano ben pochi. Far fare al lettore un mezzo sbuffo divertito, che in letteratura equivale a una grassa risata cinematografica o televisiva, è un’operazione oltremodo difficile che può essere ottenuta in maniera continuativa solo nello spazio breve del racconto. Nel romanzo, per forza di cose, lo sbuffo divertito può fare capolino una volta ogni tanto e la comicità pura non può che diluirsi in ironia.

È indubbio che di gialli che vengono narrati in maniera ironica ce ne siano parecchi. Il problema, a questo punto, è capire quando il tono ironico si condensa abbastanza da poter definire “comico” il libro. Nella presentazione di Giallo Comico i curatori prendono una posizione abbastanza allargata ed elastica sulla questione ricomprendendo nell’ambito della rubrica l’ “umorismo nero, comico sgangherato, satira politica e di costume, ironia elegante e grottesco. In salsa delittuosa, s'intende...”

Inquadrato sulla base di queste coordinate, La giostra dei criceti di Antonio Manzini è certamente un “giallo comico”, anche perché il piano di alcuni settori deviati della pubblica amministrazione per risolvere il problema del deficit dell’Inps eliminando fisicamente i pensionati è senza dubbio grottesco. Nel romanzo sono presenti diverse scene comiche che però, come in tutti i buoni libri, si vanno ad alternare a momenti intensi che muovono l’animo del lettore, sia che si tratti di illustrare sentimenti, sia che si tratti di analizzare cosa spinga le persone ad agire in questa società che pare aver perso ogni capacità di valutare le cose da punti di vista diversi da quello materiale ed economico. Non mancano poi le scene d’azione e, talvolta, lo splatter.

Il libro, in sostanza, ha sullo sfondo un problema importante, che viene spesso rimosso, ovvero la rottura del patto di solidarietà generazionale che si è verificato in Italia.

Il problema, che è stato amplificato e fatto esplodere dalla progressiva diminuzione di risorse disponibili nel nostro Paese, è rappresentato dal fatto che molti giovani o, ormai, anche uomini fatti sui quaranta/cinquant’anni, rimproverano alle generazioni precedenti di aver vissuto, come sistema, in maniera superiore alle proprie possibilità scaricando sulle generazioni successive l’onere di dover saldare il conto, rappresentato dal deficit statale.

Ma il deficit pubblico in senso stretto, volendo, potrebbe anche essere considerato la risultante di comportamenti sventati da valutarsi, per certi versi, con simpatia, come in fondo risulta umanamente comprensibile la cicala che si è goduta la vita. Intollerabile, invece, per le generazioni più giovani, è che a esse sia stato appioppato il debito, anche futuro, del nostro sistema previdenziale. Le baby pensioni, l’uso improprio fatto dei contributi ricevuti dall’Inps, le false pensioni di invalidità, le pensioni il cui importo è del tutto sproporzionato ai contributi versati sono vissute come un vero e proprio furto da chi si affaccia ora al mondo del lavoro o da chi, di media età, deve, in varia misura, finanziare questa situazione.

Ovvero, costoro spesso pensano che magari è accettabile pagare i buchi per gli sciali passati della cicala ma è intollerabile che la cicala continui a farsi la bella vita a spese mie, sino alla morte sua e di chi usufruirà della reversibilità della sua pensione.

Questo, naturalmente è un pensiero di parte, che emerge spesso malgrado sia evidente che definire bella vita quella che si fa con certe pensioni sia del tutto improprio.

Il rancore nei confronti delle generazioni precedenti è poi ravvivato dalla scarsa o nulla propensione degli appartenenti alla classe dirigente che ora sono sessantenni o di età anche ben superiore a lasciare ai più giovani le posizioni di potere o dirigenziali. Il Paese, forse anche grazie ai progressi della medicina, appare quindi governato da anziani che più che immaginare l’avvenire comune pensano a come mantenere le proprie posizioni e i diritti ormai acquisiti.

L’Italia risulta quindi un paese diviso in tre tronconi: diretto da vecchi che tendono a evitare cambiamenti, con una generazione di mezzo frustrata che, come Carlo d’Inghilterra, si trova ad essere esclusa dal potere e sa che arriverà a raggiungerlo solo quando sarà ormai anch’essa anziana e priva di ogni entusiasmo e con i giovani, intendendosi per essi anche i trentenni, che sanno che troveranno per loro solo terra bruciata, lacrime, sangue e debiti da pagare.

In un mondo così privo del senso di comunità, ognuno cerca di fare il proprio interesse calpestando senza troppi rimorsi il prossimo. È così che si muovono i personaggi di Manzini. Tutti in attesa o in cerca della svolta, ovvero dell’evento che cambierà la loro vita.

Riguardo al conflitto generazionale l’autore non prende una posizione precisa. Le anziane pensionate vengono rappresentate in un modo per niente simpatico, tutte prevaricatrici e concentrate egocentricamente su se stesse. La condanna del piano di sterminio deciso dalle alte sfere non è esplicita ma è connessa all’assurdità intrinseca della cosa. I giovani, d’altro canto, non appaiono affatto migliori degli anziani. Si potrebbe ben dire che il libro ha spesso momenti comici e ironici ma il quadro che presenta non è per niente divertente.

Dal punto di vista della trama, l’eccesso delle combinazioni e coincidenze che portano a far confluire le vicende dei vari personaggi appare un peccato veniale in questo genere di narrazione. Meno perdonabile risulta la violazione da parte di Manzini di una regola non scritta che gli appassionati del giallo si aspetterebbero di veder rispettata. Ma non è il caso di parlarne qui in dettaglio, per non togliere interesse alla lettura di questo comico e tragico libro.

Nel complesso, arrivando all’unica distinzione che, in fondo, occorra fare in ambito letterario, La Giostra dei criceti può essere tranquillamente inserito tra i romanzi che vale la pena di leggere.

Antonio Manzini La giostra dei criceti Einaudi Stile Libero Noir 2007