Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente

“Dottore, che domande mi fa? Sto in galera no? Mi ci ha messo lei, non ricorda? Che minchia mi chiede dove sto fisicamente se lo sa benissimo? Vuole celiare? Con la mente sto fuori, è chiaro. Tutti noi, qui dentro vorremmo essere fuori. In un altro mondo, si capisce. Vede dottore, a me piace la letteratura, i buoni libri. E i buoni libri ti prendono per mano e ti fanno viaggiare in un altrove. E’ questo il bello. Quando scrivo, così per diletto e per passare il tempo, mi muovo libero in una dimensione che è tutta mia e di cui sono l’artefice. Come dicono quelli bravi, i dottori come lei, sono il demiurgo della storia”.

Come scegli le tue vittime e i tuoi assassini?

Questa domanda, dottore, me l’ha già rivolta tante volte… Ricorda? Ma visto che ormai mi ha conferito il grado di collaboratore di giustizia, (a proposito, lo sconto di pena me lo dà, vero?) posso parlare senza reticenze. Le mie vittime? Be’ sono quelli che intralciano i miei affari. Anche in questo caso, cosa me lo chiede a fare? Il mio casellario giudiziale parla, basta leggere. Il fatto è che ne vorrei uccidere ancora tanti tra quelli che mi stanno sul… ha capito no? E allora quei nomi li metto alle vittime che non ho potuto uccidere con la pistola. Li uccido sulla carta. C’è meno soddisfazione, ma cosa vuole… mi accontento. Gli assassini sono le figure più affascinanti. Non perché il male è affascinante, che banalità! Ma perché sono persone che uccidono con il distacco che avrebbe un elettrauto nel maneggiare una batteria. Oppure, all’opposto, con la ferocia di sposare appieno la crudeltà con tutte le vene del collo e della fronte gonfie. Gli estremi mi attraggono”.

Qual è il tuo modus operandi?

Prima di commettere un delitto faccio pedinamenti di settimane. Voglio sapere tutto delle mie vittime: personalità, abitudini, carattere, frequentazioni, preferenze sessuali… Sono o non sono un buon sicario? Me li figuro e me li racconto”

Chi sono i tuoi complici?

I miei complici sono insospettabili. Sì, lo so, vuole ricostruire ‘la rete’, tutti uguali voi magistrati. Posso dire che siete di una noia mortale? Complici delle mie storie criminali sono le situazioni in cui mi trovo, i discorsi che sento al bar, i tipi che mi colpiscono per la faccia che hanno o per come si comportano. Tutti questi fanno al caso mio. Ma il complice più importante non lo prenderete mai: è l’osservazione della realtà. No, non mi prenda per pazzo! Io sono un ladro oltre che uno che commette delitti. Rubo a ciò che vedo, a quel che mi struscia accanto. Non lo fanno anche gli scrittori quando prendono spunto dai crimini?”

Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!

Se qualcuno leggerà le mie opere, si accorgerà che io sono un uomo solo. Mi consenta di usare una definizione un po’ equivoca, ma scrivere e fare il killer è, per così dire, un vizio solitario. Si è soli sempre. E dentro questa cella vivo la stessa condizione dello scrittore nella sua stanza. Ogni tanto arrivano echi di lettori, qualche volta qualcuno si appalesa come quelli che vengono al parlatoio. In rarissimi casi si va in televisione, ma solo i raccomandati. I giornali parlano, certo, ma ormai chi li legge? Insomma, uno non sa mai come la prendono là fuori. Sì, è vero, ricevo molte lettere di ammirazione malgrado tutto, ma anche tanto biasimo. Per gli scrittori credo che sia la stessa cosa. Glielo dirò appena pubblicherò il libro che sto scrivendo”.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere?

E quale messaggio dottore? Continuiamo con ‘ste domande oziose? Voglio accontentarla per rafforzare nel giudice di sorveglianza l’idea della buona condotta: un messaggio morale. Sì, alla fine è quello. Non moralista eh! Morale, nel senso della filosofia morale. Ho letto in un libro della biblioteca del carcere che esiste la filosofia morale. Ah, ecco! Vede? Lei mi conferma. Voglio far capire alla gente perbene che il male ce l’hanno dentro anche loro. Che è vero che esistono i delinquenti e c’hanno l’istinto del delinquente, ma c’è anche un mondo attorno che è delinquente lui pure. Questo voglio spiegare, per far capire che se esistono tanti poveracci e pochi ricchi da far schifo, la delinquenza se ne gioverà. Io vorrei scrivere in ‘sto romanzo, che non so se finirò, che il mondo così com’è è una schifezza e aiuta noi delinquenti a essere delinquenti. Se la ricorda quella canzone di De André? Diceva di quelli come noi che ‘se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo’. E’ d’accordo?”

(La foto che ritrae Valerio Varesi è di Mario Carlini)

www.valeriovaresi.net