È uscito nel corso del 2004 per la casa editrice Aliberti di Reggio Emilia, curato dal giornalista veronese esperto di letteratura popolare Claudio Gallo, I ladri di cadaveri.

Il libro scritto da Jarro, pseudonimo di Giulio Piccini noto giornalista, gastronomo e romanziere vissuto in Toscana nella seconda metà dell’800, nel 1883 e ambientato nella Firenze degli anni ‘30 del XIX secolo, segna la comparsa del genere poliziesco nel vasto e acculturato panorama della letteratura italiana.

L’opera, che affina gli elementi del feuilleton ottocentesco ponendo le basi per il giallo italiano contemporaneo, inizia con una descrizione dell’Osteria del Frate, un posto situato in mezzo a terreni incolti in una zona appartata e solitaria della periferia di Firenze, poco fuori Porta della Croce.

Qui bazzicano precettati e sospetti, un’accozzaglia di gente rozza, audace e manesca.

Un luogo ideale per mettere a segno rapine e delitti.

Proprio nella taverna si scatena di notte una furibonda rissa con conseguente accoltellamento e, verso l’alba, viene addirittura ritrovato davanti a quel postribolo un calesse con il cadavere di un uomo decapitato alla guida.

Poche ore dopo una donna spaventata e in stato confusionale si presenta al Commissariato di Valfonda.

Sotto il braccio la poveretta tiene un altro macabro reperto: una mano di donna.

E prima ancora che la Polizia possa mettersi in moto una testa mozzata viene rinvenuta in un’altra zona della città e nella Torre degli Amieri viene ritrovata un’orrenda pozza di sangue che preannuncia altre terribili morti.

Poco alla volta si diffonde la notizia che un terribile assassino si aggira per i sobborghi della città.

Un uomo che si diverte a disseminare Firenze con i pezzi disarticolati delle sue vittime.

Chiamato a svolgere le indagini è Domenico Arganti, detto Lucertolo, commissario di Santa Maria Novella, animato da una foga inestinguibile e da una smania frenetica.

Nato quattro anni prima di Sherlock Holmes, come l’illustre collega utilizza, nell’analizzare indizi e scene del crimine, il metodo deduttivo, è abile nei travestimenti e si serve del popolo basso per cercare informazioni.

La sua bravura nell’interpretazione delle prove e la formulazione di ipotesi sovente esatte portano poi ad una naturale antipatia nei suoi confronti.

Nonostante tutto però la capacità di sporcarsi le mani, di mischiarsi con la gente del popolo e l’amore per la famiglia lo rendono un personaggio non del tutto odioso agli occhi dei lettori.

Il libro, scritto in un italiano semplice con l’uso di alcuni termini toscani ottocenteschi, è ambientato nella Firenze dei reietti, dei conciatori, dei locandieri.

Le vicende torbide, la morbosità di alcuni personaggi, l’ambientazione notturna, le segrete e i messaggi clandestini rimandano ad alcuni aspetti di capolavori della letteratura gotica.

Jarro nonostante molto probabilmente conoscesse Poe, inventore dei capisaldi della letteratura poliziesca moderna, ha studiato verbali ed atti processuali fiorentini al fine di dare connotati credibili a indagini e inchieste, fulcro delle vicende.

Nonostante manchi la leggerezza di certi episodi, anche i più raccapriccianti, del romanzo d’appendice, questo libro non è una lettura impegnativa.

Da segnalare infine l’introduzione critica di Luca Crovi e la postfazione di Claudio Gallo che danno al lettore indicazioni precise sul periodo storico in cui è ambientato il romanzo e alcune informazioni biografiche sull’autore.

Lettura obbligatoria per gli amanti del giallo, quest’opera è anche consigliata a chi cerca una abile ricostruzione di un delitto in un’ambientazione non consueta come quella di Firenze nel 1836.