Da più di due anni chi segue questa rubrica sente parlare di pseudobiblia, cioè di libri che non esistono. Come è noto questo è un neologismo, un termine inesistente inventato dallo scrittore L. Sprague de Camp nel 1947: come regalo di fine anno per i lettori di ThrillerMagazine, ecco di seguito la traduzione del testo con cui de Camp dava vita ad un intero universo di giochi letterari.

Il saggio The Unwritten Classics apparve sul n. 13 (vol. 30) della rivista newyorkese “The Saturday Review of Literature” il 29 marzo 1947, e precisamente alle pagine 7-8, 25-26. Malgrado questo testo sia più volte citato da molti autori italiani, non risulta essere mai giunto per intero nella nostra lingua: al massimo Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco l’hanno rielaborato all’interno del saggio “I libri che non esistono”, pubblicato in appendice a I libri maledetti di Jacques Bergier (Mediterranee 1972 - L’Età dell’Aquario 2008).

Anche il testo in lingua originale non è di facilissima reperibilità: un misterioso cacciatore di libri ce ne ha procurato una copia preziosa, contenuta all’interno di un vero tesoro inestimabile di bibliofilia: Biblioteche immaginarie e roghi di libri (Palladino Editore, Campobasso 2007) a cura di Giuseppe Fumagalli e Leo S. Olschki (prefazione di Paolo Aldani).

La traduzione che segue non è né professionale né autorevole: è solo un modo per dare un’idea ai nostri lettori del contenuto del saggio, in attesa che professionisti più qualificati abbiano mandato da una qualche casa editrice di riprodurre il testo nella nostra lingua. (Eventualità davvero molto lontana).

Non resta che augurare buona lettura.

             

THE UNWRITTEN CLASSICS

               

Fra il libri decisamente veri e quelli completamente falsi esiste una zona d’ombra di libri che sono e allo stesso tempo non sono: libri non portati a termine, libri andati persi, apocrifi e pseudepigrapha (falsamente attribuiti). I più misteriosi di tutti sono quei libri che non sono mai stati scritti e che esistono solamente come titolo, con magari degli estratti, in opere letterarie o pseudo-saggi. Alcuni di questi hanno conosciuto una ricca carriera letteraria malgrado il fatto di non essere mai esistiti. Sono i classici mai scritti: chiamiamo questi non-libri pseudobiblia. Il più antico esempio conosciuto è il Libro di Thoth, che si pensa abbia un potere occulto. Fece la sua apparizione in un racconto egiziano, “La storia di Setnau Khaemuast”, giunto a noi come papiro d’epoca tolemaica ma probabilmente di datazione più antica.

Thoth
Thoth
Stando al racconto, il Libro di Thoth fu scritto da Tehuti (in greco, Thoth), il dio dalla testa d’ibis, scriba divino nonché mago. In esso ci sono due parti. Recitare la prima fa sì che si dischiudano il paradiso e la terra, il mare ed il cielo, le montagne ed i fiumi, per capire il volo degli uccelli e lo strisciare dei rettili, per richiamare i pesci sulla superficie delle acque. La seconda permette ad un uomo morto nella tomba di tornare in vita e vedere il sole, la luna e tutti gli dèi. Tehuti ha racchiuso il libro in una scatola d’oro, e quella in una d’argento, e quella in una d’avorio ed ebano, e poi in una di legno, e una di bronzo e una di ferro. Ha legato quest’ultima con catene di ferro e seppellita nel Nilo, circondandola di serpenti e scorpioni.

Lì è rimasta finché il mago Neferkaptah non ne venne a conoscenza. Neferkaptah (o Ptahneferka) andò sul luogo e separò le acque del Nilo con la magia – questa è forse l’origine della storia di Mosè e del Mar Rosso. Si liberò dei rettili messi a guardia, aprì le varie scatole e ne estrasse il libro. Per aiutarsi a memorizzare il testo contenuto, ne scrisse una copia: lavò l’inchiostro dal papiro con la birra e la bevve.

Tehuti era di solito un dio amichevole, ma come ogni vero bibliofilo mal digerì il furto di quella rara prima edizione. Persuase Ra a far annegare la moglie e il figlio di Neferkaptah, e questi si annegò a sua volta per il dolore. Il libro fu sepolto insieme a Neferkaptah a Memfi.

Successivamente un altro mago, Setnau Khaemuast, uno dei figli di Ramses II, seppe del libro. Grazie alla magia penetrò nella tomba di Neferkaptah e qui incontrò tre fantasmi: Neferkaptah stesso, la moglie ed il figlio, che vivevano al caldo in una stanza illuminata dal bagliore del libro. Setnau volle il volume ma il fantasma di Neferkaptah rifiutò di cederlo, avvertendo il mago delle spiacevoli conseguenze del furto, finché alle fine non affidò la decisione ad una partita a dama. Setnau vinse e se ne andò con il libro. Ma il fantasma di Neferkaptah non era ancora battuto. Fece in modo che Setnau si innamorasse della malvagia Tabubu, che lo spinse ad uccidere i propri figli (o forse sognò di ucciderli, a seconda delle traduzioni). Alla fine Setnau fu felice di riportare il libro a Neferkaptah, che commentò: «Cosa ti avevo detto?»

Come la maggior parte della letteratura egiziana, la Storia di Setnau scomparve dalla circolazione. Ricomparve con la scoperta di un papiro alcuni decenni or sono. Gli scrittori occidentali del fantastico hanno utilizzato il Libro di Thoth come un ingrediente dei loro racconti. Lovecraft lo ha menzionato (Through the Gates of the Silver Key [per le specifiche di questo racconto si veda più avanti]) per essere citato all’interno di uno dei suoi maggiori contributi agli pseudobiblia: l’abominevole Necronomicon.

Il Libro di Thoth è uno degli elementi fondamentali della trama di uno dei primi racconti del brivido di Sax Rohmer, Brood of the Witch Queen [1918, inedito in Italia]. È una storia dell’orrore piena di pipistrelli, scorpioni ed esseri soprannaturali che ruotano intorno alla Piramide di Giza. Il cattivo usa il Libro di Thoth per inviare gli elementi del fuoco a bruciare i buoni. In seguito, scampato il pericolo, questi distruggono il libro. La volta dopo il cattivo invoca degli elementi del fuoco che non è in grado di controllare e finisce bruciato da loro.

                       

Numero di Weird Tales del 1924 con il racconto citato di Lovecraft
Numero di Weird Tales del 1924 con il racconto citato di Lovecraft
La Valle delle Piramidi è un luogo perfetto per storie del sovrannaturale. Se anche solo una decima parte di ciò che è raccontato nelle storie dell’orrore fosse successo qui, nessun turista si aggirerebbe più in quei paraggi. Anche Houdini, malgrado la sua crociata anti-paranormale, non poté nulla quando Lovecraft scrisse una storia per lui, Imprisoned with the Pharahos [1924, in Italia Prigioniero dei Faraoni (trad. Roberta Rambelli, Sfida dall’infinito, Fanucci 1976) o Sotto le piramidi (trad. Giuseppe Lippi, Tutti i racconti, Mondadori 1990)]. Questa racconta, nel caratteristico stile lovecraftiano, di Houdini che una notte viene sopraffatto da una gang di arabi nei pressi della Sfinge, e calato con una fune all’interno di una profonda caverna sotto un obelisco. Sul fondo scopre un’orda di indescrivibili mostruosità intente ad oscenità inenarrabili. La storia è presentata come se fossero delle memorie di Houdini stesso, un tipo di truffa deplorevole quanto comune, considerato poi che molti lettori impiegano del tempo a distinguere il vero dalla finzione.

Fu senza dubbio un libro molto simile al Libro di Thoth quello che Merlino eloquentemente descrisse nel Merlino e Vivien [da Idilli del re, 1885] di [Alfred] Tennyson. «... è di appena venti pagine, / ogni pagina ha un ampio margine / ed ogni margine al suo centro racchiude / un quadrato di testo che assomiglia ad una macchia. / Il testo non è più largo delle membra d’una pulce / ed ogni quadrato di testo ha un terribile aspetto, / scritto in un linguaggio ormai perduto. / Ed ogni margine è scarabocchiato, e riempito / di commenti condensati di difficile / interpretazione; ma le lunghe notti insonni / della mia lunga vita me l’hanno resa facile...»

Il venerabile Ambrose Silvester Merlin è stato uno dei personaggi più presenti nella fantasia degli scrittori sin dai tempi di Goffredo di Monmouth [XII secolo], eppure il suo meraviglioso piccolo grimorio non è stato ancora studiato.

Benché la grande opera di Tehuti sia stata dimenticata per due millenni, il dio si ritrovò ben presto accreditato in così tanti libri da ritenersi soddisfatto. La letteratura sacerdotale egizia (inclusa quella liturgica, medica ed astrologica) gli fu attribuita per convenzione. I movimenti religiosi successivi si conclusero in una fusione degli dèi egizi Tehuti ed Anpu (Anubis) con il dio greco Ermete. L’epiteto onorifico di Tehuti era “tre volte grande”, ed il dio fuso venne conosciuto dagli scrittori greco-romani come Ermete Trismegisto. Clemente d’Alessandria parlò di preti che portavano quarantadue Libri di Thoth in una processione. A questo Thoth-Ermete furono attribuite raccolte di eterogenei scritti alessandrini, alcuni dei quali sono sopravvissuti: nebulose speculazioni mistiche che possono interessare solo i professionisti dell’occulto. Gli scrittori cristiani e musulmani trasformarono Ermete in un re mortale dell’Egitto che regnò ai tempi del Diluvio e che scrisse migliaia di libri sulla magia e sull’alchimia. Tutti gli scritti alchemici divennero meglio noti come “ermetici” [hermetics], e così questo aggettivo entrò nel linguaggio comune con il significato di ermetico [air-tight].

Nella sua giovinezza la civiltà occidentale ha prodotto una moltitudine di pseudoepigrapha, così come la letteratura medievale sembra basarsi per lo più su scritti di pseudo-Aristotele, pseudo-Aquinate e vari altri “pseudo”. Scritti magici e occulti vennero attribuiti ad Enoch, Salomone, Toz Graecus (un altro nome del nostro amico Tehuti) e a Ruggero Bacone (che invece scrisse di suo pugno The Nullity of Magic [opera di controversa paternità]). Un altro testo mai scritto fu I Tre Impostori. Si supponeva fosse un terribile testo blasfemo ed ateo ed i tre impostori erano Mosè, Gesù e Maometto. Venne attribuito a vari liberi pensatori, incluso Spinoza e l’Imperatore Federico II.

                      

Madame Blavatsky
Madame Blavatsky
Forse il classico mai scritto più influente dei tempi moderni è Le stanze di Dzyan di Madame Blavatsky.

Ci viene detto che “dzyan” (pronunciato “John”) significa “auto-mutamento tramite meditazione e conoscenza”. Il libro viene spacciato per testo antico di saggezza occulta, apparentemente tibetana, che alcuni Mahatma in trance mostrarono a Madame Blavatsky. Lei ce lo descrive così: «Un’arcaica raccolta di foglie di palma manoscritte rese impermeabili all’acqua e al fuoco tramite un processo specifico e sconosciuto - è davanti agli occhi di chi scrive».

Il suo principale monumento letterario, La dottrina segreta (1888) consiste principalmente di estratti dal Libro di Dzyan inframmezzati con suoi commenti e polemiche anti-scientifiche. Il Libro di Dzyan comincia con:

   1. La Genitrice Eterna, avvolta nella sua Toga Invisibile, ha dormito per Sette Eternità.

   2. Non è tempo per giacere addormentati nell’Infinito Seno...

La prima stanza, comprendente sette śloka [versi indiani] similari, ha delle sospette corrispondenze con l’inizio della “Canzone della Creazione” dal Ṛgveda [raccolta di inni religiosi del II millennio a.C.] - il che comunque non va a suo svantaggio.

Il Libro di Dzyan è stato preso sul serio da molti dei seguaci di Madame Blavatsky. Augustus Le Plongeon lo cita come autorità nel campo del Sanscrito. Le Plongeon era un dottore francese con gli occhi tristi e con tanto di barba fino all’ombelico, che sul finire del diciannovesimo secolo scavò fra le rovine dei Maya. A causa di una erronea “traduzione” dei geroglifici Maya e alla consequenziale interpretazione simbolica-occultista delle loro sculture, l’uomo seppe tirar fuori una storia incredibile sull’affondamento di Atlantide, o Mu, e la nascita delle civiltà egiziane e maya per mano dei sopravvissuti.

Le teorie di La Plongeon furono ereditate ed ampliate da Paul Schliemann, il nipote del celebre archeologo Heinrich. Nel 1912 questi, stanco di essere un piccolo uomo con un grande nome, annunciò alcune scoperte sensazionali che riguardavano Atlantide. Una di queste fu un manoscritto caldeo da Lhasa, in Tibet, il quale merita una menzione, se non proprio l’inserimento in primo grado fra i non-libri. Nessuna delle “prove” di Schliemann si materializzò mai.

Dopo Schliemann, la storia fu ulteriormente ampliata da James Churchward. Questi, un piccolo inglese settantenne, si faceva chiamare Colonnello ed affermava di essere stato in India, Tibet e America centrale, dove fu attaccato da un serpente volante. Ci sono ragionevoli motivi per dubitare di queste storie.

In Mu: il continente perduto (1926) e nel seguente Mu, Churchward raccontò di come in India e/o in Tibet (non è ben chiaro) egli vide delle tavolette d’argilla scritte con un antico linguaggio che solo pochi illuminati come lui potevano leggere. Queste tavolette di Naacal fecero di Mu e di Atlantide due luoghi separati, anche se sempre nel Pacifico. Le tavolette sono, ovviamente, pseudobiblia. I lavori di Churchward sono sciocchezze di prima categoria, basate su false testimonianze, false citazioni, prove inesistenti, interpretazioni simboliche ed altre assurdità.

                   

Nicolas Notovitch
Nicolas Notovitch
Churchward non solo citò il Manoscritto di Lhasa di Schliemann ma omaggiò il Libro di Dzyan. Se però da un lato lo considerò genuina letteratura sanscrita, dall’altro lo definì “insensato” e «gli scritti di una mente disturbata». Forse era geloso.

Il Tibet, così inaccessibile, è stato per decenni il luogo preferito per tante storie di fantasia. Lì nel 1887 il giornalista russo Nicholas Notovitch trovò l’apocrifo Vita sconosciuta di Gesù Cristo. Egli raccontò che mentre era in convalescenza per una gamba rotta al monastero di Himis, il Lama capo gli lesse questo libro. Delle ricerche appurarono che il Lama capo di Himis non ha mai sentito parlare di Notovitch, e che la storia della gamba rotta in realtà mascherava un ricovero in un ospedale nelle vicinanze di Leh per un ascesso ad un dente. Queste scoperte non impedirono alla Vita sconosciuta di venire ristampata nel 1926 come grande scoperta.

Recentemente un entusiasta Baker Street Irregular [fan di Sherlock Holmes], alle dipendenze dello Scribner’s Bookstore di New York, ha annunciato una rarità facente parte di una collezione holmesiana: «Sherlock Holmes, An inquiry into the Nature of the Ashes of Various Tobaccos, Tibet: edizione privata, 1893, 100 dollari». Dalle ultime informazioni pare abbia ricevuto otto richieste di acquisto.

Il più recente e fertile creatore di pseudobiblia è Howard Phillips Lovecraft, il recluso di Providence, contributore prolifico di Weird Tales, ed ora icona di un piccolo ma ardente culto. Lovecraft fu un uomo dalle molte fisime, sia a livello personale che letterario, e la sua scrittura è argomento di considerevoli diatribe. Gli ammiratori sono soddisfatti che egli dia loro il frisson, il brivido che è indispensabile per una buona storia dell’orrore. I detrattori criticano quei suoi aspetti che imitano gli ovvi trucchetti di Poe, Machen e Dunsany, la sua riproposizione dello stesso soggetto ed il continuo utilizzo di parole come “brivido” [weird], “orribile” [horrible] e “blasfemo” [blasphemous].

Il tema favorito da Lovecraft e dai suoi lettori è il libro maledetto Necronomicon. Questo è l’unico pseudo-libro dal quale egli tragga considerevoli citazioni, come questa:

                      

Copertina di Weird tales contenente il racconto citato
Copertina di Weird tales contenente il racconto citato
«E coloro che passeranno non torneranno più, poiché nelle Vastità che trascendono il mondo vi sono Entità del­le tenebre che afferrano e legano a sé. La Cosa che zoppicava nel buio, il Male che sfidò l’Antico Segno, l’Orda che sta a guardia della porta segreta di ogni tomba, nutrendosi di ciò che fuoriesce dai suoi inquilini: tutti questi abominii sono inferiori rispetto a COLUI che guarda la Soglia, ed EGLI guiderà l'incauto al di là dei mondi, nel­l’Abisso dei nefasti Divoratori. Poiché EGLI è ’UMR AT-TAWIL, il Più Antico, che lo scriba battezzò L’INSAZIABILE DELLA VITA.»

[da Attraverso le porte della chiave d’argento (Through the Gates of the Silver Key, 1932-33), traduzione di Giuseppe Lippi, tratto da Tutti i racconti 1931-1936, Mondadori 1992.]

                     

Lovecraft scrisse una Storia e cronologia del Necronomicon, raccolta nell’antologia dedicata all’autore Beyond the Walls of Sleep [Oltre il muro del sonno]. Questo gioco letterario racconta come il libro fu scritto (con il titolo “Al Azif”) dall’arabo pazzo Abdul Alhazred intorno al 730. Fu tradotto in greco da Teodoro Fileta, in latino da Olaus e in inglese da John Dee. Ora il testo arabo è scomparso, del greco si sa solo per sentito dire mentre due o tre copie latine sono date per esistenti. Abdul, davvero a proposito, fa una brutta fine, divorato in pieno giorno da un’entità invisibile.

Lovecraft riscosse talmente successo nell’evocare questi fantasmi di libri che biblioteche e librerie vennero subissate di richieste. La gente cominciò a cercare notizie anche della “Miskatonic University” ad “Arkham, Mass.”, la quale si suppone possegga un Necronomicon.

Dalla morte dello scrittore nel 1937 alcuni dei suoi amici e colleghi scrittori pulp, fra cui August Derleth e Clark Ashton Smith, hanno portato avanti i miti di Cthulhu e la sua pseudobibliografia su Weird Tales. Quindi questo corpus di pseudobiblia sembra destinato ad una lunga ed attiva vita.

Una volta il Necronomicon si è quasi materializzato. Qualche anno fa un celebre autore di storie dell’orrore, Manly Wade Wellman, entrò in una piccola libreria di New York, dove i volumi erano malamente impilati sugli scaffali e la polvere ricopriva copiosa tutto quanto. La proprietaria, una donna anziana che poteva da un minuto all’altro tirar fuori una scopa, gli chiese cosa cercasse.

Quasi per scherzo, Wellman rispose: «Ci sono speranze che abbiate una copia del Necronomicon

«Be’, certo, eh eh», sghignazzò la vecchia, «è proprio... qui!»

Il Necronomicon in un disegno di Simon Schmidt (2007)
Il Necronomicon in un disegno di Simon Schmidt (2007)
Fu un falso allarme, ma l’accaduto ispirò Wellman: da scrittore intraprendente usò la storia in un racconto, The Letters of Cold Fire (Weird Tales, maggio 1944 [purtroppo inedito in Italia]). Nel racconto, il libro è veramente sullo scaffale.

                         

Se qualcuno un giorno riuscirà a tirar fuori una copia tangibile del Necronomicon, farà davvero un sacco di soldi.

Per i bibliofili che non si possono permettere gli incunaboli, io consiglio una raccolta di pseudobiblia: nessun’altra forma di collezione letteraria è così a buon mercato.

Ma quello che voglio veramente sapere è: come può uno “non scrivere” dei “classici mai scritti” che creino tanto clamore quanto quelli descritti qui? E non avendoli scritti, come si possono incassare i diritti delle copie “non vendute”?