Ciao Stefano, tu che sei di Milano, che ne pensi di questo, leggi leggi
è una scoperta che ha fatto Ugo Mazzotta sul blog di Lucarelli
e anche tutti voi, leggete, c'è da riflettere
tratto da:
http://www.frontieraimmaginifica.it/scritture/MILANO_E_IL_POLIZIESCO.doc
MILANO E IL POLIZIESCO
Marco Amendolara
1. Vestibolo
Le tre grandi capitali del nord, a metà dell’Ottocento, erano realtà visibili; timide, certamente, rispetto alle potenze europee, ma in espansione. Milano era comunque, ed è ancora oggi, il vero centro internazionale della penisola. Le altre due, Torino – ingombrata dalla corona, dai miti provinciali subalpini, dai ritrovi intellettuali che avevano echi di pochi chilometri di diametro; e infine, dalla presenza asimmetrica e sotterranea della magia – e Genova (più chiusa in sé, nelle sue non facili ambizioni economiche) erano in fondo delle “capitali vicarie”. Così, mentre Roma si perdeva ancora nella fascinosa e angusta spirale della piccola grande città-paese papalina, il centro anche letterario del nostro Ottocento era il capoluogo lombardo. Da quei caratteri compositi, contraddittori e ricchi di futuro, la cultura milanese è giunta ad ospitare il dialetto di Carlo Porta e poi di Delio Tessa; ha dato avvio alla Scapigliatura; ha aperto le porte, con quest’ultima, ai realistici “misteri di Milano” che poi, dopo il verismo e la censura fascista, giungono al genere poliziesco, che qui interessa indagare. Certamente, questo minuscolo quadro frammentario andrebbe ritoccato, menzionando almeno quelle realtà artistico-culturali ottocentesche presenti a Venezia, a Firenze, a Bologna, a Napoli, a Palermo, nonché, naturalmente, a Recanati… e già si uscirebbe dall’oggetto del discorso.
2. Dall’Ottocento al Novecento
Nelle righe precedenti si è cercato di mettere in evidenza alcuni elementi precursori del genere poliziesco ambientato a Milano, limitatamente riguardo al secondo Novecento e a pochissimi autori. Si potrebbe riassumere così, probabilmente, questa piccola genealogia letteraria: a) istanze razionalistiche derivanti dal Settecento; b) tensione civile della letteratura; c) poesia dialettale comprendente argomenti a sfondo sociale; d) narrativa scapigliata e realista, parallela alle prove di Eugène Sue e al ciclo di Phantomas creato ai primi del Novecento da Souvestre e Allain; e) la cronaca quotidiana locale, dal “Corriere della Sera” a “La Notte”.
Non tanto spregiudicatamente, il lettore si troverebbe ad assumere questi cinque precedenti per avvicinare la narrativa poliziesca dalle vicende ambientate a Milano. Si noti che non è casuale il lungo spazio d’anni che intercorre fra il secolo decimonono (che registra pressoché tutti i fenomeni citati) e il tempo degli scrittori che stiamo per incontrare.
Va osservato che la censura fascista inibì la diffusione del genere poliziesco italiano, e questa inibizione sta alla base del duraturo silenzio adesso rilevato. Ci furono sì vari autori di “gialli”, ma spesso furono scrittori di scarsa qualità espressiva e molti di loro non sono meritevoli d’altro che di una veloce apparizione. Tornando al Novecento, qui si tratta di tre narratori, gli ultimi due a cavallo dei secoli XX e XXI: Giorgio Scerbanenco, Renato Olivieri, Andrea G. Pinketts; e di un poeta:
Maurizio Cucchi. Un’ultima precisazione riguarda il riferimento a Sue e a Phantomas: è chiaro che Scerbanenco, Olivieri e Pinketts avrebbero, semmai, tutt’altri modelli narrativi; ma quell’indicazione chiarisce solamente, per le origini del poliziesco italiano, l’esistenza di una precisa atmosfera culturale specifica (perlopiù francese, a metà strada fra suspense e poliziesco) la quale possiede elementi metropolitani e periferici insieme ed è quantomai significativa per gli sviluppi di questa breve indagine.
3. Il Novecento. Giorgio Scerbanenco
Dalle grinfie del fascismo gli autori di romanzi polizieschi si liberarono con diplomazia, ostentando nelle loro opere un’amenità che non aveva ragione d’essere nella realtà. Va ricordata la vicenda anche esistenziale di Augusto De Angelis, notevole nome del genere, ucciso da un repubblichino di Salò. Le opere poliziesche italiane della prima metà del Novecento sono come compresse dall’ideologia di stato (1).
Anche a Milano, ovviamente, sono ambientati questi romanzi; un riferimento su tutti può essere Il segreto della statua di Alessandro Varaldo (2).
Un’altra presenza è quella di Giuseppe Ciabattini, autore di trame riguardanti la metropoli milanese vista con gli occhi degli emarginati: si è già negli anni Cinquanta. Il fenomeno letterario più conosciuto è quello riguardante Giorgio Scerbanenco.
Russo e italiano, Scerbanenco – nome italianizzato, appunto – visse fra 1911 e 1969. La sua formazione intellettuale fu quella tipica degli autodidatti; soltanto nella piena maturità, sul finire degli anni Sessanta, raggiunse fama internazionale per le sue storie poliziesche. Pochi romanzi, in cui è centrale Duca Lamberti, figura tutta particolare di investigatore fuori dell’ordinario. È un medico radiato dall’albo per aver praticato l’eutanasia; “emarginato, frustrato e poco fiducioso negli altri oltre che poco portato ai rapporti umani, questo personaggio è un cinico che ha imparato a proprie spese che non bisogna mai abbassare troppo la guardia e che è sempre meglio essere i primi ad aggredire gli altri” (3). Inoltre, Duca Lamberti ha conosciuto il carcere, proprio a causa di quell’episodio di eutanasia, ed è stata un’esperienza decisiva per la sua indole e per il suo modus vivendi.
Venere privata (4) uscito in prima edizione nel 1966, è il primo dei romanzi in cui compare il detective Duca Lamberti. In questo libro, l’investigatore si rivela notevolissimo psicologo, ma non di un assassino, bensì di un innocente che si sente in colpa. Scerbanenco procede attraverso un italiano diagonale, ricco di anacoluti, sgrammaticature, straordinario approfondimento di antropologie. Il secondo romanzo, Traditori di tutti (1966) è anch’esso colmo di presenze toponomastiche, ma pure di toni polemici: “si dimenticano che una città vicina ai due milioni di abitanti ha un tono internazionale, non locale” (4). Milano per Scerbanenco è deserto disumano, luogo dell’incomprensibile caos, degli affari d’ogni genere, un microcosmo nel quale l’autenticità si maschera sempre, per fare bella figura. Oggi è caratteristica generalizzata, anche in provincia; ma quando scriveva Scerbanenco, il divario fra centro e periferia era ben pronunciato. Luca Doninelli ha scritto che “nel mondo di Scerbanenco non ci sono né polizia né giustizia né ordine costituito. Non ci sono leggi. (…) Non esistono neppure città, paesi, campagne. Non c’è alcuna geografia” (5).
Dunque, la città come centro nullificante di distinzioni.
Sarà davvero il caso dei libri di Scerbanenco?
Ne I milanesi ammazzano al sabato (1969) la ricerca di una ragazza scomparsa avviene in “una sterminata Milano dove ogni giorno qualcuno scompare” (6) quindi un luogo che ha varcato il baratro fra persona e nessuno: senza sicurezza, senza protezione, insomma.
Sono critiche assai dure per chi ama una città dai caratteri storici e civili assai significativi. Forse è a una delle tante Milano che si rivolge lo strale di Scerbanenco. In I ragazzi del massacro la detection si concentra, nientedimeno, che in un’aula di scuola serale. La breve carriera giallistica di Scerbanenco, oltre ai racconti di Milano calibro 9, è pressoché tutta qui, in questi pochi libri di grande spessore. La città per Scerbanenco è metafora del vuoto. Romanticamente, è il protagonista dal nome così improbabile: Duca Lamberti, ad occupare davvero la scena di queste pagine. Le vie di Milano sono soltanto nomi.
4. Renato Olivieri e il commissario Ambrosio
Più concreta e quotidiana l’atmosfera milanese dei libri di Renato Olivieri. Il suo vice-commissario (poi commissario) Ambrosio, interpretato sullo schermo da Ugo Tognazzi, è un investigatore raffinato, colto, che lontanamente guarda agli esempi di Philo Vance e di Nero Wolfe. Certamente, anche in questi romanzi è una realtà torbida ad esplodere nel corso delle indagini, a lacerare quell’aspetto di facciata davanti alla quale è tanto comodo fermarsi, finché è possibile. Nei tanti libri di Olivieri, da Il caso Kodra (1978) a Maledetto ferragosto (1980), da Villa Liberty (1984) a Largo Richini (1987) ad altri, le vicende di Giulio Ambrosio – pur così ‘reali’ nella descrizione – si svolgono soprattutto nel dialogo fra i vari personaggi. Milano è senz’altro più decifrabile e contemporanea rispetto ai testi di Scerbanenco, ma appare scenario delle continue uscite di Ambrosio.
La stessa realtà sociale ha differenti caratteristiche in Olivieri: generalmente si tratta della ricca borghesia, nel cui ambiente l’indagine è assai difficoltosa, in quanto facilmente il colpevole può comprare l’omertà. Fra l’ombra metropolitana di Scerbanenco, secondo cui la violenza e il crimine coinvolgono completamente l’ambiente esterno, e perciò l’innocenza non è mai al sicuro; e la penombra delle vicende di Olivieri ci sono differenze di stili e di ambientazioni abbastanza evidenti. Non da ultimo, c’è la diversità di status fra Duca Lamberti, ex medico e investigatore per caso, e Ambrosio che invece svolge mansioni professionali. Gli interni domestici, più che le vie e le piazze, sembrano avvolgere le narrazioni di Olivieri.
5. Andrea G. Pinketts e Lazzaro Sant’Andrea
Olivieri è di una generazione più giovane di Scerbanenco; a sua volta, Pinketts lo è rispetto a Olivieri. Ha esordito con Lazzaro, vieni fuori nel 1991, che fin dal titolo mette in evidenza una caratteristica frequente in Pinketts: affrontare profanamente – in apparenza – argomenti sacri e religiosi. Lazzaro, vieni fuori presenta Lazzaro Sant’Andrea alla sua prima avventura. Egli non è un investigatore ufficiale e non lo è neanche nella vita privata. È una figura assolutamente anomala nella storia del genere poliziesco, un personaggio che sembra autoinventarsi e che ci riesce benissimo. Andrea G. Pinketts costruisce storie complesse iniziando da eventi e segnali che sembrano pretestuosi. Se ha qualche riferimento nei classici, non li ha nel genere poliziesco, a esclusione dell’amara umanità di Chandler. Andrea G. Pinketts rintraccia parentele letterarie con Lewis Carroll e con Edward Lear; possiede infatti una magmatica creatività verbale e piega la logica alla volontà della lingua; visionario, smargiasso, buono e sboccato, allo stesso modo dipinge il suo Lazzaro. Che nel libro più originale (Il conto dell’ultima cena, 1998) accumula parodie dei linguaggi più triti, comicità forti o demenziali e giunge a citare lo stesso Pinketts che lo ha creato. È una Milano senz’altro reale, quella di Lazzaro Sant’Andrea, anche se talvolta lontana per i tanti voli pindarici dello scrittore.
6. Parentesi su
Maurizio Cucchi
È curioso, senza dubbio, che in una rapida analisi del poliziesco e della metropoli lombarda, si parli – sia pure brevemente – di un poeta che non ha mai pubblicato “gialli”. Il fatto è che il primo libro di
Maurizio Cucchi, Il disperso (1976) possiede innegabilmente cadenze e toni da poliziesco. Se ne accorse con lucidità Giovanni Giudici, e fu quello un commento assai appropriato per un libro che resta, probabilmente, il più riuscito dell’autore, finora. La presenza di Milano appare assai rilevata, e non di solo sfondo, nell’insieme dei versi; la trama stessa, per così dire, della raccolta, sia pure secondo percorsi frammentari e asmatici, allude a un mistero privato, come sommerso nella grande città. Pure
Cucchi, come nei romanzi fa Pinketts, ama parlare di piccole cose, di fatti minuscoli, di persone chiuse in dignitoso anonimato: ma a un certo punto lo scrittore – per gioco di prestigio o d’intelletto – mostra come la realtà si leghi a tante piccole cose plurali e ne racchiuda in sé il mosaico.
NOTE
1) Cfr. E.G. Laura, Storia del giallo, Studium, Roma 1981, pp. 298-301.
2) Alessandro Varaldo, Il segreto della statua, Mondadori, Milano 1936.
3) Franco Fossati, Dizionario del genere poliziesco, Vallardi, Milano 1994, p. 68.
4) Giorgio Scerbanenco, Traditori di tutti, Garzanti, Milano 1970, p. 97.
5) Luca Doninelli, prefazione a G. Scerbanenco, Venere privata, Garzanti, Milano 2001, p. 1.
6) Giorgio Scerbanenco, I milanesi ammazzano al sabato, Garzanti, Milano 1998, p. 7.