Il ferragosto di Isabel Mabouka (etica della ricerca)

Cinque fotografie in una busta: un primo piano, paesaggi amatoriali, una bambina alla guida di una macchina a pedali. Nella tasca posteriore del pantalone di I. M., corpo a mollo nel canale di scolo del Villaggio Coppola.

La notte del 14 agosto Isabel Mabouka camminava per le strade di Castel Volturno senza apparente fretta, in direzione contraria agli schiamazzi della folla. Non avresti indovinato la sua età a un metro di distanza.

Puttana! gridano i paesani al seguito della processione.

Puttana.

Il prete fa il segno della croce e passa oltre, "è o’ riavol " (è il diavolo) mormorano le vecchie additandola con mani artritiche; qualcuno sputa per terra, dove la scia di profumo e la polvere vibrano ancora al passo di lei.

L’ispettore è cortese: "Russo, porta un caffè alla dottoressa, per favore " dice senza alzare lo sguardo dai suoi appunti.

Poi, rivolto a me: “E allora, ha visto le immagini sul giornale di oggi? Ha saputo del cadavere?”

Annuisco.

“Conosceva I.M. ?”

”No, ma sapevo chi fosse, del suo ruolo nell’organizzazione”.

“Eh, ho sentito dire che è un’esperta del settore. Ma come mai?”

Cincischio. La strada che dall’università porta alla Domiziana, tra prostitute e wodoo, non so percorrerla al rovescio. 

Esco dal commissariato con la testa vuota.

Il corpo nel fossato, mai stato più vivo nella memoria.

Me ne sto in macchina con la sinfonia n° 3 di Górecki quando il telefono squilla.

"D’accordo - concludo senza convinzione - non preoccuparti, l’importante è che tu e il piccolo stiate bene".

Cinque fotografie in una busta. Nella tasca posteriore del pantalone di I M., ripescato in un canale di scolo nei pressi del Villaggio Coppola.

Paesaggi amatoriali, un primo piano, una bambina alla guida di una macchina a pedali. Ordinaria amministrazione, se I.M. non fosse stato un nigeriano di due metri, “il lungo”, e le immagini non avessero ritratto la mia famiglia.

Nelle case fatiscenti della periferia nord, stipate come giumente, le nere lavorano ininterrottamente alla catena di montaggio del sesso. 

Al controllo c’è Regina, datele qualche anno, diventerà madame. Al posto di Isabel.

Non venite a raccontarmi che quello del sociologo sia un mestiere innocuo. A studiare mondi, sistemi complessi, ci si mette per traverso. Se non avessi mostrato le foto di mia figlia ad Isabel lei camminerebbe con il culo stretto e lo sguardo altrove per il corso del paese.

“Voglio dare una possibilità al mio bambino” aveva detto prima di sparire, toccandosi il ventre.

Le vecchie sputerebbero ancora sulla sua ombra, se fosse qui. Ma è lontana.

A chi mi domanda che fine abbia fatto, indico un fazzoletto macchiato che pende dalla corda del bucato.

Da oltre un anno.

Per quanto mi riguarda, da un po’ di tempo lavoro in dipartimento e evito di seminare indizi sulla mia incapacità professionale nelle tasche di chicchessia.

Il lungo, l’uomo del fossato, era il padre del bambino. Un purè boy, una nullità. 

Me ne sto in macchina con la sinfonia n° 3 di Górecki e un sorriso triste steso tra un finestrino e l'altro. I granelli sospesi nell'abitacolo galleggiano alla luce obliqua del primo mattino.

Fisso le evoluzioni della polvere nella penombra. Le prime foglie per terra, io inchiodata al volante.

“La peculiarità che maggiormente stupisce chi osserva il sistema di sfruttamento della prostituzione nigeriana è la sua gestione al femminile…

Accanto alle maman spesso è stato osservato il gravitare di figure maschili con compiti unicamente 'di servizio' ”.