Oggi vivi in provincia di Treviso ma hai vissuto a Venezia, la tua famiglia materna è di origine montenegrina e quella paterna discende dai magiari. L’ispettore Stucky, tua creatura letteraria, è mezzo persiano, mezzo veneziano. Un omaggio all’integrazione?

Un’applicazione della biodersità, l’esaltazione del valore dell’incrocio. Ma anche un omaggio all’amicizia, al rapporto fraterno che mi lega ad un medico iraniano da cui ho molto imparato. Un richiamo a quella terra tormentata che è l’Iran di questi anni.

Come ti sembra che sia oggi l’atteggiamento della gente in generale, e della politica in particolare, verso la diversità?

C’ è una straordinaria schizofrenia: come consumatori vogliamo la massima discrezionalità di scegliere oggetti sempre cangianti e come cittadini siamo infastiditi da ciò che non riusciamo ad assimilare a noi, alle nostre generali convinzioni, ai nostri stili di vita, persino al nostro colore di pelle, ai suoni quotidiani del nostro linguaggio. Siamo scelti da una miriade di oggetti inutili, che ci fanno perdere il senso di quello che siamo e crediamo di mantenere la nostra identità opponendoci, anche con violenza, a chi è diverso. Due compensazioni per una stessa malattia.

In “Finché c’è prosecco c’è speranza” il vino (e le sue bollicine) scorre in sottofondo come una frizzante metafora. Del piacere della vita e della sua bellezza?

Della bellezza, rappresentata dalla conservazione della struttura del territorio e dal suo godimento.

Finché c’è prosecco c’è speranza” ruota attorno all’apparente suicidio del conte Ancillotto: c’è un giallo quindi, da chiarire. Cosa rispondi a coloro che ritengono il giallo un genere di seconda categoria?

Non sono un giallista nel senso stretto della parola. Mi interessa inventare: tentare di metterci un po’ di brio, annotazioni scientifiche in sottotraccia, un po’ di umana commedia, far riflettere sorridendo. Può essere che il giallo sia un genere di seconda categoria. Tuttavia, leggendo, mi impantano in certe scritture, che dovrebbero appartenere alla Prima Categoria, ed allora sono portato a credere che in seconda categoria ci si annoi meno e si prenda meno in giro il lettore.

I nomi dei personaggi dei tuoi romanzi sono molto pittoreschi, a partire – in “Finché c’è prosecco c’è speranza” – dal conte Ancillotto, per continuare con gli agenti Spreafico e Landrulli. Come li scegli, intuizioni improvvise o lunghe meditazioni?

Suoni occasionali, cantilene: assemblaggi di parole e nomi che emergono all’improvviso, da una scatola di biscotti, una trasmissione radiofonica, dal campanello di un condominio.

Sempre per Marcos y Marcos hai scritto “Follia docente”, un libro che racconta la scuola attuale con le sue problematiche inerenti gli alunni di oggi ma non solo, e che supera i luoghi comuni. Forse questo libro non sarebbe nato se tu non fossi stato anche professore?

Ho cercato di raccontare la scuola proprio nei suoi aspetti di illogicità e, per molti aspetti, di caos sul piano formativo ed educativo. È uno dei macrosistemi collettivi su cui si discute astrattamente, si migliora poco, si distrugge molto. Ma mi chiedevo anche, mentre scrivevo, a chi diavolo veramente interessi un sistema scolastico che faccia maturare esseri umani e formi cittadini sensati. C’è davvero una quantità significativa di adulti che desideri, profondamente, che i giovani siano migliori della generazione che li ha prodotti? O soltanto che abbiano un po’ di più?

Se tu venissi nominato ministro dell’istruzione, quali sono i primi provvedimenti che prenderesti?

Istituirei l’insegnamento dell’Idiozia, peraltro già spalmato in molte discipline.

Mi sembrerebbe un contributo interdisciplinare per far cogliere la stupidità che governa una quota importante delle attività umane.

L’ironia nella tua produzione: la inserisci spontaneamente, hai scelto i dialoghi come luogo d’elezione, la valuti con attenzione...

Cerco di aumentare il tasso di ironia a scapito del sangue: appartengo ad una generazione sottoposta ai ricatti di cortine di ferro, pericoli nucleari ed altre bazzecole. Ad essere terrorizzati dall’alto ci si stanca. Ad un certo punto sento di dover mettere un po’ a riposo le ghiandole surrenali e produrre meno adrenalina. Soprattutto godermi un bel sorriso. Sono anche convinto che l’ironia produca ferite che infettano, socialmente, assai meno del terrore. Ci fa vivere più sani.

Una citazione da “Finché c’è prosecco c’è speranza”

Una delle frasi di Isacco Pitusso, il matto del paese: “… il mondo dovrebbe essere governato dai matti, purtroppo non ce ne sono abbastanza. Allora bisognerebbe lasciare il timone ai potatori. Perché solo i potatori conoscono il passato, producono il presente e riescono ad immaginare il futuro”. Ad maiora…