Benvenuto Danilo. Sei ingegnere informatico, ma ti occupi anche di lettura, scrittura e disegno. Quanto queste attività si arricchiscono reciprocamente?

Ti apparirà strano, ma di solito percepisco la mia dualità tecnica/umanistica come una grande fatica. So che nell’inevitabile scambio molta parte di una si fonde nell’altra, ma non riesco mai a smettere di credere che se non mi avessero attirato così diverse passioni avrei vissuto quelle poche con maggiore intensità e senza sensi di colpa. Infatti ogni qualvolta mi dedico con maggiore energia ad una di esse sento di togliere qualcosa ad un’altra. E le vivo male, con entusiasmi sempre autosoffocati.

Immagino suoni molto strano, no? Vabbè, non voglio drammatizzare, dopotutto, pur con screzi, le mie moltitudini continuano a coesistere!

Cosa significa disegnare per te? Tecnicamente parlando: quanto disegni e quanto scrivi quotidianamente? Sei ordinato, costante o ti affidi solo all'ispirazione?

Disegnare è sempre stato per me uno sfogo, una risposta immediata a un impulso creativo, prevalentemente umorisitico. Parallelamente, quando l’impulso richiede maggiore respiro e non può essere imbrigliato in una semplice vignetta, diventa il supporto, anche solo mentale, alla creazione dei personaggi e delle situazioni. Come mi è capitato di dire in passato scrivo come disegnerei e disegno come scriverei. A dispetto del mio carattere, molto ordinato, preciso e sistematico, nel disegno e nella scrittura sono spesso e volentieri estremamente impulsivo e schiavo dell’ispirazione.

Forse proprio per compensazione. Pertanto nessuna delle due attività ha in effetti una cadenza quotidiana, si alternano periodi di attività ed altri di pigra attesa spettatrice (nel senso che comunque, questo sì sempre e quotidianamente, leggo).

“Il segreto del Morbillaio” (Edizioni XII, 2010) è una storia di poesia, fanciullezza e molto altro: cinque bambini trovano una poesia inedita di un loro illustre concittadino, Saturnetto Vinceslovo detto il Morbillaio. Ciò scatena reazioni e curiosità. Perché tanto trambusto attorno a una poesia?

Non penso che sia la poesia in sé, ma ciò che nasconde, e dunque il segreto. Il senso del mistero è quello che ha spinto avanti l’umanità, o per lo meno che le ha consentito le conquiste più ardite. Nella mente di un bambino il senso dell’ignoto si scatena anche solo per una pietra dalla forma insolita, da un buco mai visto nel terreno, dal moto imprevedibile di un uccello.

Da bambino fantasticavo molto di eventi arcani: se con gli amici avessi rinvenuto una poesia misteriosa, chissà cosa sarebbe potuto succedere…

Lo shining (ovvero la luccicanza, il potere calamitante) di un paese come Vermiziano, coi suoi abitanti bislacchi, la sua scuola speciale...

Non c’è. Oppure c’è, e sta nella semplicità del piccolo borgo, nel quale le diversità possono diventare note caratteristiche e non problematiche da omologare o nascondere.

Vermiziano è speciale perché lo sono i suoi abitanti, che il lettore, spero divertendosi, non si sogna mai di etichettare come emarginati. Io, a Vermiziano, andrei molto volentieri!

La scelta dei nomi dei personaggi: da Saturnetto Vinceslovo detto il Morbillaio a Ebète a Erode a Cassandra, fino alla Gioconda e alla Spilunga: nomi evocativi che rimandano a ulteriori significati. Come li scegli?

I soprannomi si scelgono o si affibbiano, ma i nomi no. Per questo molti personaggi seguono la filosofia del “nomen omen” e altri hanno invece nomi che non li rappresentano. In verità la generazione dei nomi mi viene molto naturale, probabilmente anche per il fatto di immaginarli come caricature.

Il quarto capitolo si intitola “La guerra delle domande”. Ti chiedo di formulare 5 domande a scelta al Mondo, puoi chiedergli quello che vuoi.

Non ne faccio: ho paura che poi lui ne faccia altrettante a me. E sarebbero guai.

Progetti?

Nessuno in particolare. Non mi sento uno scrittore, scrivo quando la mia parte creativa prevale su quella tecnica, e ultimamente il gioco di forze è sbilanciato. Ma forse la pubblicazione del Morbillaio risveglierà la prima che saprà riprendersi il tempo che le spetta.

Ma ho una speranza: che venga ripubblicato il mio primo romanzo, L’Enigma dei Bastardi, ormai esaurito. Penso avesse ancora altro da dire, e non ha potuto farlo.

Ci saluti con una citazione dal tuo libro “Il segreto del Morbillaio”?

Permettetemi di presentare il cane Deficenzio:

La mascotte del club era il cane Deficenzio, un animale di pelo raso e nero quasi inamovibile. Era un incrocio tra molteplici, ripetuti, reiterati, insistiti, randagi amori. Era un cagnetto lungo nemmeno un metro ma pesante quarantasette chili. Mangiava qualsiasi cosa gli venisse messa davanti. Ne era risultata una palla medica nera con atrofizzate escrescenze al posto delle zampe. La pancia impediva ormai a ciò che restava di esse di toccare il suolo, ragione per cui ondeggiava incessantemente tutto il giorno uggiolando a orari precisi in occasione della prima colazione, spuntino, aperitivo, pranzo, merenda, aperitivo, cena, spuntino di mezzanotte, cracker delle quattro di mattina. Beveva solo birra rossa e acqua gasata. Ruttava molto spesso. Petola lamentava di non riuscire più a tenere dietro ai suoi escrementi e Deficenzio era stato messo in un angolo della sala riunioni, accanto a un’agave, su una base di segatura ogni giorno ripulita. Deficenzio, pur con scarsa motilità, era un cane estremamente felice.