Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente 

In qualunque posto e in qualsiasi momento. Scrivo sempre, in un certo senso. Anche quando lavoro, o sono impegnato in altre attività, una parte della mia mente è attenta a intuire ispirazioni. Anche quando dormo, i miei incubi diventano al risveglio un incentivo a immaginare situazioni al limite dell’orrore. Scrivo fisicamente quando sono nel mio studio, a sera o nel fine settimana. Allora vedo con gli occhi della fantasia le azioni e gli ambienti, “sento” l’atmosfera e le emozioni dei personaggi, vedo il buio e la penombra, ascolto le loro voci, partecipo alla storia come se fossi dentro di essa. La osservo e descrivo. Poi la racconto.

 
Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini? 

Ogni mia storia è un meccanismo narrativo dove il legame fra assassino e vittime è ciò che per convenzione chiamiamo movente. Prima scelgo la colpa, quindi chi può averla commessa. Infine, la vittima di questa colpa. Una colpa, un crimine, un peccato, chiamiamolo con il nome che ci sembra più adatto alla trama, che dovrebbe essere punita da chi amministra la giustizia. Invece, costoro evitano di farlo. Perché sono distratti, incapaci, complici, o criminali anch’essi. Quindi a loro volta, diventano colpevoli. La vittima di abusi, prepotenza, soprusi, torti, decide così di farsi giustizia da sé. E le parti si rovesciano: la vittima diventa assassino, e i colpevoli diventano vittime. Chi sono questi colpevoli destinati a essere giustiziati? Dei genitori che ci hanno deluso. Un fratello o una sorella che ci hanno negato il loro affetto. Un ragazzo o una ragazza che ci hanno giurato un amore eterno che non si è rivelato tale. Degli amici che hanno tradito la nostra fiducia. Dei compagni di scuola che hanno commesso una marachella, e poi hanno accusato noi, per evitare la punizione. Tutti responsabili di quei torti, soprusi, ingiustizie, prepotenze che un giorno pagheranno. Uccisi, anzi giustiziati, dall’assassino.

 
Qual é il tuo modus operandi? 

Annoto ogni idea, ispirazione, spunto narrativo, anche il più elementare: un nome, un ricordo, un luogo, un tempo. In oltre 25 anni di attività, ho riempito migliaia di pagine in più di trenta agende. Poi quel seme della mia fantasia si sviluppa e diventa un soggetto. Allora lo trascrivo nel computer, in attesa di svilupparlo come una scaletta dettagliata, una specie di storyboard cinematografica. Scelgo gli “interpreti” dei miei personaggi, perché devo dare loro un volto, un fisico, una voce. E un carattere, naturalmente. Questi “attori” sono persone vere, pubbliche o solo mie conoscenti personali. Poi scelgo gli ambienti più adatti alla storia, e li descrivo in modo essenziale, solo per costruire un’atmosfera. E infine scelgo prospettive, luci e ombre, come se scrivessi un film. Capisco che la mia trama funziona quando mi trovo all’interno della vicenda, in mezzo ai personaggi, coinvolto come loro nelle situazioni canoniche di un giallo. Quando percepisco la loro paura, quando sento il loro respiro affannoso e intuisco il loro cuore che batte freneticamente. Quando sono finalmente sicuro che anche i lettori saranno contagiati dalle stesse emozioni.

Chi sono i tuoi complici? 

La memoria, che mi permette di trovare incentivi all’immaginazione nel ricordo di eventi che ho vissuto, o di cui sono stato testimone, o mi hanno raccontato. O forse solamente sognato. 

Il silenzio del mio studio, a tarda sera, quando tutti dormono, e i rumori, le voci, i suoni diminuiscono fino a scomparire.

Il buio della casa, e la luce solo nel mio studio, dove finalmente posso immaginare e scrivere le stesse storie che vorrei leggere anche io.

La consapevolezza che tutto ciò spalanca una porta dove la realtà confina con la fantasia, e sono finalmente felice. Perché nella mia vita reale accade quasi sempre ciò che decidono gli altri. Nella mia immaginazione, accade solo ciò che decido io.

Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!

Il sostegno, la fiducia, l’affezione e le opinioni positive dei lettori sono un conforto indispensabile. Soprattutto, quando li incontro di persona, durante manifestazioni, presentazioni e festival. Ho invece un rapporto distaccato e diffidente con i cosiddetti “social”. Perché il mio carattere è riservato, custodisco con discrezione le convinzioni personali, non provo l’esigenza di apparire a ogni costo, di parlare o scrivere sempre di sé, di esondare come torrenti durante un alluvione con foto, selfie, video, post su ogni argomento, soprattutto su se stessi. Rispetto chi fa tutto ciò, naturalmente vale solo per me.

Sono convinto che un autore parli di sé attraverso ciò che scrive. E sia in fondo un mezzo, un tramite, fra la realtà dell’immaginazione e quella dei lettori. Come tale, preferisco rimanere dietro le quinte, lasciare il palcoscenico ai miei personaggi e la platea ai lettori.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere?

Spaventare. 

Non ho scelto io di scrivere storie che fanno paura. Sono state loro, le storie, a scegliere me. 

Nella mia giovinezza ho coltivato un desiderio, anzi una speranza, comune a tanta gente: amare e essere amato. Questo era il sentimento che volevo provare e far provare. A volte, mi chiedo se il mio desiderio si sia rivelato un sogno, e la speranza sia diventata un’illusione. Se abbia fallito. Forse no. 

Comunque, di solito si finisce per incolpare il tempo, le circostanze o le coincidenze. 

È sbagliato, perché sono le persone che decidono il nostro destino. Tutto il resto, il tempo, le circostanze o le coincidenze appunto, sono quello che per convenzione chiamiamo alibi, per giustificare le inadeguatezze, nostre e altrui.

Così oggi sono gratificato da un altro sentimento: spaventare, attraverso le storie che scrivo.

Perché fa paura scoprire dopo l’inevitabile colpo di scena che l’assassino è un personaggio familiare, innocuo, rassicurante che invece nasconde un’indole violenta, rabbiosa, allucinata e vendicativa.

Fa paura perché frantuma quieti modi di vivere, banali certezze, equilibri solidi solo in apparenza. E dimostra la fragilità di relazioni costruite su egoismo, presunzione e prepotenza.

Egoismo, presunzione e prepotenza. Gli stessi difetti imperdonabili che possono distruggere un desiderio e renderlo un sogno, distruggere una speranza e renderla un’illusione.