Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente…

Ho due sedi di lavoro. Lo studio principale è in soffitta, molto piccolo e avvolgente. Stipato di libri. Con un lucernario che mostra una piccola porzione di cielo. Lavoro su due postazioni di computer, una accanto all’altra, con quattro schermi a disposizione. Collegato a casse home theatre per sentire bene la musica. Sulla sinistra c’è un tabellone di sughero tipo quello degli indizi degli investigatori dell’FBI, dove attacco note, fotografie di ambientazioni, personaggi, stralci di idea di trama, che a volte collego con fili di cotone colorati, proprio come se stessi effettuando un’indagine su qualcuno o su qualcosa. Misteri da risolvere. Storie. Assassini da scoprire. Fatti e misfatti.

Poi ho uno studio secondario approntato in una veranda che dà sulla mia collina di ciliegi. Con vetrate che mostrano paesaggi bucolici con lo sguardo che può allungarsi fino a sfiorare montagne lontane. E distese di boschi. Un luogo di lavoro troppo ameno per creare cose truci. Che uso più che altro per rileggere. Per correggere. Per redigere appunti.

Quando scrivo, quando produco, fisicamente sono in questi due luoghi.

Mentalmente invece, mi pare scontato dire che sono dentro alla storia che sto cercando di narrare, non credo ci saranno scrittori che risponderanno in altro modo. Ma credo ti sia dimenticato di chiedere la cosa più importante: dove mi trovo spiritualmente, quando scrivo. E siccome voglio essere piuttosto collaborativo durante questo crudo interrogatorio, te lo voglio rivelare lo stesso: con lo spirito sono dentro ai palpiti di ogni personaggio, dentro ad ogni loro respiro. Nel sangue e nei sorrisi e nelle lacrime, dentro a tutte le grida e nei pensieri. Dentro a tutto e dentro a niente.

Come scegli le tue vittime e i tuoi assassini?

Non li scelgo, me li ritrovo addosso. All’inizio ci sono piccole e grandi idee di massima. Poi tutto si evolve, quando si palesano i personaggi. Soprattutto il cattivo di turno o il mostro, (nel mio caso, occorre comprendere pure questi, eh). Le vittime arrivano di conseguenza. Quando il villain è quello giusto, tutto diventa più facile. Ogni cosa deve essere in equilibrio con la trama. In funzione di quello di cui vuoi parlare. Simbolismi che si incrociano. Cerchi da chiudere e battiti da condividere. Assassini e vittime. Non mi hai chiesto però come scelgo i miei eroi, e prima che tu mi dia una botta in testa per estorcermi una risposta in merito, ti rimando alla visione di uno specchio. L'immagine di quello che sono sussurra nel buio, oltre quel riflesso.

Quale è il tuo modus operandi?

Te lo posso rivelare con due parole emblematiche: ordo caos.

Il filosofo Edgar Morin diceva che tutto ciò che è fisico, dagli atomi agli astri, dai batteri agli uomini, ha bisogno di disordine per organizzarsi e trovare forme nuove. Ecco io applico un metodo di creazione basato su questo concetto: schizzato e incredibilmente faticoso, scrivendo senza preparare o redigere sinossi iniziali (a meno che non mi venga esplicitamente richiesto dall’editore). Lavoro quindi nel caos creativo più assoluto, senza sapere bene dove andrò a parare. Con l’esigenza assurda di essere in ritardo per la consegna. Solo quando finire il lavoro è diventata un’impresa impossibile, mi parte tutto.

Porre ordine al caos allo stremo delle forze… ecco questo è il mio cazzo di modus operandi…

Chi sono i tuoi complici? 

Sono le sintonie. Con autori che mi aiutano ad aprire le porte della mia percezione. Ma anche con le musiche. Ogni mio romanzo ha una colonna sonora che è fonte di ispirazione (forse a causa del mio retaggio di musicista), con i brani che mi aiutano a trovare la cadenza e il ritmo giusto, così come la melodia che devono avere le frasi e le parole per comporre le trame della storia stessa.  Poi la visione di film per trovare le immagini e le suggestioni che servono. Non a caso, alla fine di ogni mio romanzo sono descritte le soundtrack, le visiontrack e le bibliotrack che hanno contribuito a rendere la mia malefatta letteraria degna di essere vissuta.

Che rapporto hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti parla!

Beh non sarei niente senza di loro, lo confesso. E loro non sarebbero nulla senza di me, se è per quello. Quindi un rapporto di fratellanza biunivoca, direi. È come se loro formassero tutti assieme un mostro indefinito con tante teste. E quando dico mostro, non intendo qualcosa di negativo. Perché, come diceva mio figlio quando era piccolo (e anche adesso) i mostri sono belli! I miei lettori e le mie lettrici sono in definitiva come una sorta di entità pluricefala da compiacere e da provocare, con tanti cuori che battono all’unisono assieme al mio. Nel bene e nel male, ovviamente. Quelli che capiscono e quelli che non ti capiscono, tutti quanti contribuiscono a lastricare quella magica strada di comunicazione fra il mondo della fantasia e quello della percezione. Come scrittore condivido le mie grida (di gioia e di dolore), mettendomi in gioco, e coloro che mi leggono debbono fare lo stesso, nolenti o volenti. Alla fine, pensandoci: diventano complici pure loro.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere?

Un SOS al mondo. Un message in the bottle, come nella canzone dei Police. Perché siamo tutti naufraghi dispersi in un mare solitario. Scrivere deve essere come una fuga spasmodica verso l’isola che non c’è. Niente di più, niente di meno. Solo per salvarci un poco.