Neon

Il telefono squilla e nella stanza il silenzio crolla in mille pezzi. Mi sveglio di soprassalto. Frustrato, alzo la cornetta e rispondo. «Pronto?» la mia voce, roca a causa del catarro, è diluita in un sospiro carico di fastidio. Quando scopro che dall’altra parte del telefono si trova il mio capo, sono rammaricato per aver adoperato questo tono, anche se involontariamente. Avrei dovuto controllarmi, ma fortunatamente il mio dirigente sembra non aver dato peso al timbro della mia voce. Mi dice che un segmento del binario della metropolitana è danneggiato e che occorre immediatamente una riparazione. Sono le due del mattino e non ho assolutamente voglia di andare in quel meandro oscuro che è il tunnel del metrò. Faccio per reificare il compito, ma l’uomo riesce a convincermi accennando qualcosa riguardo una ingente somma che mi sarebbe spettata come gratifica. Il pensiero del denaro dissolve il sonno. Passano un paio di minuti e sono pronto. Carico gli attrezzi in auto e mi dirigo alla stazione Eur Magliana. Arrivo all’ufficio, ove mi attende il direttore. Questo prende una mappa sulla quale sono rappresentate tutte le linee ferroviarie di Roma e mi indica il segmento danneggiato del binario di cui mi ha parlato al telefono. È situato tra le stazioni Eur Magliana e Marconi. Le lampade neon sistemante nel tunnel della metropolitana vengono accese. Buona idea: in questo modo non dovrò lavorare con lo scomodo supporto di una torcia. Mi introduco nel tunnel, camminando con la mappa del mio capo fra le mani. Passa una decina di minuti e mi volto. L’imbocco della galleria appare come un lontano punto luminoso di forma semicircolare. Il rumore dei miei passi si espande in un eco dalla voce aulica che canta assieme all’eterna corrente d’aria fredda che urla sommessamente nel tunnel. Sono arrivato alla meta. Un’ora di lavoro e avrò finito. Scendo dalla pedana e inizio a lavorare. Il baccano che provocano i miei attrezzi da lavoro sul metallo dei binari è assordante. Quasi riesco a sentire le piccole creature del modo sotterraneo, quali topi, scarafaggi e vermi, reclamare le loro ore di sonno. Il frastuono infierisce nella galleria a lungo, dopodiché il mio lavoro giunge repentinamente alla sua fine, incompiuto. Dalle buie profondità dell’arteria sotterranea, i neon si spengono uno dopo l’altro. L’oscurità mi travolge con la violenza di una valanga. Nell’arco di trenta secondi tutto è nero. Penso subito ad un blackout. Ho paura. Non vedo nulla. Come faccio a tornare indietro? Quando arriveranno i soccorsi? Io sono qui. E se si dovessero dimenticare di me? Una luce in lontananza, poi due e subito dopo tre. Tre neon si sono accesi uno dopo l’altro e allo stesso modo si spengono nel giro di pochi secondi. La luce scaturita dalle lampade durante ha rivelato un qualcosa di spaventoso in fondo al tunnel. È orribile. Non so cosa sia, ma fa paura. Il mio cuore sta per schizzarmi fuori dal petto. Una seconda serie di neon si accende e si spegne di nuovo. Questa volta più distante, ma ho modo di vederlo meglio. Ha due gambe e due braccia. È tutto nero. Sembra una statua di petrolio. Odo dei rumori. Risuonano in direzione di quell’affare… Pare stia camminando! Inizio a correre. Fuggo, ma non so dove. La paura mi ha fatto perdere il senso dell’orientamento. Dove sono diretto? Alla Magliana o alla Marconi? Segue una terza serie di neon. È alle mie spalle, non molto lontano da me. Ha cambiato aspetto. Ora sembra uno scorpione. Corro, aumento il passo e poi un solo neon s’accende. Mi sta davanti e lo spavento raggiunge l’apogeo. Le tempie rullano, la pressione sale e qualcosa nella mia testa sta scoppiando. Forse un capillare. Sto agonizzando e sento quell’essere che ride.

 

Di me. Trascorre un’ora lunga un’eternità e il blackout ha fine. Tutto torna come prima, ma io rimango sdraiato qui, fra i binari, morto di paura.