Esistono i “Felpini”? Secondo l’accusa sono sette, hanno 14 anni, e frequentano la terza media alla scuola Maffei, una delle più “in” della città di Vicenza. Come indica il nome, farebbero della felpa, obbligatoriamente firmata, una ragione di vita, oltre che uno status symbol irrinunciabile. Se dalle loro parti si aggira qualcuno che osa sfoggiare un maglioncino privo di griffe, scatta la più efferata delle ritorsioni. E’ quanto ha raccontato alla polizia il loro coetaneo e compagno di classe Mario, nome fittizio scelto in omaggio all’italiano medio, che in epoche non lontane spesso si chiamava così. Colpevole di non indossare felpe di marca, Mario sarebbe stato molestato per tre lunghi anni dai Felpini a forza di spinte, calci e pugni. Il vaso è traboccato dopo la ferita a un braccio, inferta con un righello durante una lezione di educazione artistica, con successive cure al pronto soccorso. “Se non hai abiti di marca, non vali nulla” la frase rivelatrice riferita dalla vittima (Il Corriere del Veneto del 12 aprile). La mamma di Mario si è rivolta alla polizia anche perché sarebbe stata minacciata a sua volta dal “branco” davanti alla scuola. “Nulla di tutto ciò, sono normali screzi fra adolescenti -  dichiarano al Gazzettino del 14 aprile alcuni genitori dei presunti Felpini. – E’ vero piuttosto che quel ragazzo ha problemi di relazione, e che per aiutarlo è stato nominato capoclasse”. Mentre la Vicenza bene si interroga sulla credibilità della vicenda, gli investigatori della Procura dimostrano che per una felpa firmata oggi si può vendere l’anima, arrestando Willi, ivoriano di 22 anni, finito dietro le sbarre dopo avere estorto migliaia di euro, maglioncini griffati e costosissimi cellulari ai ragazzini che frequentano il centro cittadino. Tutta merce che Willi prima si faceva dare minacciando di violenze inaudite le sue giovani vittime, e poi rivendeva a qualche loro coetaneo.

“Gigetto” è il quindicenne padovano che, bisognoso di grano per riparare il proprio scooter, si è guardato attorno e ha capito cosa doveva fare: rapire Stella, amatissima bastardina dello zio, al quale far sborsare adeguato riscatto. Una volta allestito un recinto all’interno di un cantiere, i due ragazzi hanno sequestrato l’animale per poi telefonare ai loro proprietari, chiedendo 1500 euro in cambio della liberazione di Stella. Il giovane genio del male non aveva però fatto i conti con i carabinieri. Questi, una volta saputo che il nipotino era stato l’unico a passare a casa dello zio nel giorno del rapimento, si sono presentati a casa sua e lo hanno fatto cantare. Dopodichè Gigetto e l’amico sono stati denunciati per tentata estorsione al Tribunale dei minori (Il Gazzettino del 7 aprile).       

 “Provo una passione irresistibile per i rettili, se vedo un tritone devo assolutamente impossessarmene, anche a costo di rubarlo”. E’ la confessione rilasciata ai carabinieri da Viscido, nome d’arte del ladro di animali rari, 40 anni, padovano, che per mesi e mesi si è reso autore di furti all’interno dell’Allevamento Max, gestito dal signor Massimo Boaro a Loria, paesino in provincia di Padova. Frequentatore quasi quotidiano del negozio, nonostante il marcamento stretto praticato nei suoi confronti dal gestore, Viscido se ne usciva solo dopo avere sottratto un raro camaleonte o un pregiato pappagallo Ara con cui arricchire lo zoo privato allestito nella propria abitazione. A volte era abilissimo nell’infilarli in tasca, ma anche dentro i propri calzini. Finché le telecamere non lo hanno beccato in flagrante, e i carabinieri hanno così potuto presentarsi a casa sua, dove parte della refurtiva è stata subito recuperata (Il Gazzettino del 13 aprile).Non solo truffa, ma anche inganno ai danni dello Stato sono i capi di accusa che pendono sopra la testa di Minnie, professionista di 30 anni, e del suo amico Topolino, stessa età e una vocazione irrefrenabile per i segreti dell’informatica. A lui Minnie si rivolge perché ossessionata dalle multe che deve pagare posteggiando l’auto nei parking a tempo del centro di Bassano. Con l’aiuto del fidato Topolino, la donna si fa confezionare dei falsi tagliandi che poi lascia sopra il cruscotto, pensando di passarla liscia. Invece no, quei bigliettini sono stampati su carta diversa e recano numeri seriali sbagliatissimi. Due ausiliari del traffico se ne accorgono, e Minnie non può che diventare rossa di vergogna (Il Gazzettino del 5 aprile).