Oggi c’è il sole. I raggi si arrampicano sul muro di cinta, sono le otto del mattino e fanno fatica. Piano, cominciano a leccare la finestra, mi fanno infine il solletico sul braccio. Sono distratta.

E’ perché oggi è il mio compleanno. Compio dieci anni.

La maestra Maria dice che avrebbe giurato ne compissi venti, e questa cosa mi fa ridere. La maestra dice sempre che sono una donna nel corpo di una bambina, e io penso che non è vero, perché se fosse così me ne sarei accorta, avrei sentito la pelle tirare ed avrei anche tutte quelle cose belle che hanno le femmine grandi, quello sguardo che sembra uguale a quello dei gatti, e la camminata sicura, un piede avanti all’altro, nonostante i tacchi.

Giovanni è dall’altra parte dell’aula, e il sole gli ferisce gli occhi azzurri, perché li tiene sempre rivolti verso di me. Io invece lo guardo poco, perché non trovo mai niente che non mi piaccia, in lui, e allora arrossisco e mi vergogno. Anche quando mi ha dato il regalo, stamattina, non l’ho guardato, ma lui non se l’è presa: sorrideva. Era orgoglioso del ritratto che mi ha fatto, e aveva ragione a esserlo: sembra una fotografia. L’ho ringraziato, poi l’ho infilato nel quaderno grande, quello con i quadroni: è il più doppio di tutti e lo manterrà bello stirato.

Oggi non ci sono quadri nell’aula, forse è per questo che mi annoio e mi distraggo, oltre al fatto che è un giorno speciale che viene una volta all’anno. La maestra Maria ci porta sempre i poster con le foto dei quadri, invece oggi non ha portato niente, ha detto che dovevamo parlare di un filosofo e che un filosofo non lascia niente di materiale, quando deve esprimere quello che sente.

Allora Daniele le ha chiesto come si fa a capire quello che vuole dire un filosofo, e lei ha risposto che non c’è sempre bisogno di vedere, per capire, che a volte bastano le parole, se chi le pronuncia è abbastanza intelligente.

-A me non interessano le parole.- ha detto poi Daniele, ma la maestra non si è arrabbiata, anzi, ha fatto su e giù con la testa.

E poi gli ha detto: -Kant, che era un filosofo, ti avrebbe dato ragione. Le cose sono belle solo in maniera disinteressata, diceva lui. Se hai interesse a ritenere una cosa bella, essa non sarà mai bella. La bellezza è disinteressata, finalizzata solamente a se stessa. Nessuno può ricamarci sopra una morale, un secondo fine, una necessità.

Io non la capisco bene, la maestra Maria. Però meglio di Luisa, Antonio e Michele, che non capiscono proprio niente e si mettono a fare disegni o a leccarsi le dita per pulire il banco.

Daniele risponde sempre alla maestra, invece Giovanni la ascolta e basta. Questo succede perché Daniele è il più intelligente di tutti noi, sa usare le parole come fossero oggetti, te le tira addosso quando è arrabbiato e allora sono guai. Forse perché non gli interessano, forse è per questo che riesce a usarle con tanta leggerezza.

Non che Giovanni sia stupido, anzi. Giovanni invece delle parole usa i pennelli, e la maestra Maria lo capisce lo stesso; comunicano così, scambiandosi i disegni.

Io invece parlo con la maestra, però solo delle cose che faccio, e di quelle che provo. Parlo delle cose vere, non di quelle nascoste nei quadri, anche se vorrei tanto capirci qualcosa in più, della luce e delle ombre, del segreto nascosto dietro le figure, quello che le rende belle, come dice la maestra.

Quando parla della bellezza, la maestra pensa sempre a Daniele, io lo so. Perché lo guarda e dice che un essere umano raramente è bello, più spesso è mediocre e ridicolo. E dice che c’è una sola persona nella nostra scuola che non è mai ridicola. Il nome non lo dice, ma io lo so che si riferisce a mio fratello.

Daniele sembra già un ragazzo, uno di quelli che si vedono nei film americani: sempre in ordine, sempre sicuro, come un attore. Ha tredici anni e non dovrebbe essere così, io lo so. Lo so perché anche altri, all’istituto, hanno tredici anni, ma non sono come lui, sono buffi e camminano in modo strano e fanno cose schifose come misurarsi il pisello nei bagni e scoreggiare nelle bottiglie di plastica. Daniele non farebbe mai una cosa del genere.