Il caldo ci travolse, secco e polveroso, nel momento preciso che scendemmo dalla corriera.

Nonostante gli occhiali da sole, mi dovetti schermare gli occhi per vedere qualcosa e nemmeno Pablo sembrava stare meglio, era tanto intontito da dimenticare di tirarsi la barba.

Mi guardai in giro, cercando di capire quale delle donne che passeggiavano all'ombra degli alberi o sedevano sulle panchine, potesse essere Najat.

– La vedi? – gli chiesi.

– Non è mica qui l'appuntamento. Dobbiamo andare nella piazza del municipio, su, al paese alto.

Mi indicò una scalinata che si arrampicava di fianco al teatro comunale e che doveva aver visto tempi migliori; cominciammo a salire, lui spedito, io maledicendo l'urbanistica medievale, poco adatta alle mie zeppe, in cima c'era una strada che svoltava a destra e un largo sdrucciolo con pochi gradini.

– È presto, aspettiamo qui all'ombra – disse.

C'era ombra, infatti e un muro coperto di glicini, il loro profumo dolce e forte sembrava far parte del sole, del caldo e del silenzio. All'improvviso un gruppetto di ragazze chiacchierine, spuntate dal nulla, presero a risalire la stessa scala che avevamo percorso noi e riempirono l'aria di risate e richiami. Avevano tutte il velo ed erano vestite di scuro; soltanto l'idea di trovarmi sotto tutti quegli strati di stoffa mi fece sudare.

– Qui c'è una comunità araba molto numerosa – rispose Pablo prima che glielo chiedessi – e queste sono di sicuro studentesse, è l'ora che arriva lo scuolabus in paese.

– Come lo sai?

– Al liceo avevo un'amica che abitava qui.

Pescai un fazzoletto di carta nel disordine della mia borsa e mi asciugai le mani.

– Come fanno a essere tanto allegre con questo caldo e quella corazza, proprio non so, quasi quasi mi metterei a piangere io.

– Sembrano felici.

– Perché ridono? Bello mio, ti potrei presentare gente che ride tutto il giorno e aspetta solo di morire – ficcai di nuovo il fazzoletto in borsetta. – Andiamo, dai, è quasi ora.

Avevo detto una cavolata e lo sapevo, divento sempre odiosa quando sono tesa.

Spensi il cellulare, non volevo essere interrotta mentre parlavo con la ragazza e poi, una volta riacceso, sarebbe stato bello trovare un messaggio di Andrea, una bellissima sorpresa, vero?

Pensa al lavoro, coccola.

Sì, papà.

La piazza del municipio era tutta in salita, tutto quel dannato paese era tutto in salita, poco adatto alle zeppe e caldo da morire; mi appoggiai a un muro e ruotai una caviglia, ovvio che a casa avrei dovuto farmi il pediluvio più lungo della storia.

La mia attenzione si concentrò sul bar, che sembrava essere il punto focale della vita del paese, almeno a quell'ora. Aveva ragione Pablo, di arabi lì ce n'erano proprio un sacco, tutti vestiti all'occidentale, almeno gli uomini.

– Bevono alcolici, non capisco niente di religioni, ma questo so che non lo potrebbero fare.

Pablo mi aiutò a stare in equilibrio per massaggiarmi l'altra caviglia.

– È facile prendere cattive abitudini quando non hai niente.

Le donne erano tante, giravano con i passeggini e uno scodazzo di suocere e bambini vivaci che facevano chiasso, non stavano al bar, ma un po' più in là, qualcuna aveva i jeans e parlava timida e spavalda con gli uomini più giovani.

– La vedi?

– No. Faccio un giro.

E si allontanò.

– Ti posso offrire un caffè?

Non mi ero nemmeno accorta del ragazzo, si doveva essere buttato a pesce nel momento esatto che aveva visto Pablo andarsene per i fatti suoi.

Maledissi la mia vocazione ad attirare i guai e gli sorrisi, non mi piace essere maleducata.

– No, grazie, il caffè mi fa venire il mal di stomaco.

– Guarda che non ti voglio portare a letto.

– Nemmeno io.

Restò zitto per un momento e sperai che se ne andasse, o che quell'imbecille che mi accompagnava tornasse.

– Sono regolare, sai? Guarda – tirò fuori da un vecchio portafoglio una carta d'identità con il chip dell'impronta digitale, proprio come quella che avevo fatto, nuova nuova, due giorni prima.

Continuai a sorridere.

– È che proprio non mi va, mica c'entri tu.

– Parliamo solo.

Cominciai a innervosirmi.

– No, ho da fare.

– Solo cinque minuti, non fare la milanese.

Pablo piombò a sorpresa e mi prese per un braccio.

– L'ho trovata.

Non vide il ragazzo, non registrò nemmeno la sua presenza, aveva troppa fretta.

– Ciao – gli soffiai un saluto veloce, – magari la prossima volta.

– Scusa se ti ho rubato del tempo.