E’ uno dei roman-roman di Simenon, e che ora chiamiamo con termine inglese narrativa “mainstream”. In realtà uno splendido noir filosofico.

Fin dall’inizio, l’autore ci fa capire i rapporti tesi di una coppia nata per caso, durante un viaggio. Non c’è amore fra i due, soltanto un tacito accordo di sfruttare al massimo ogni occasione di facile guadagno. La donna fa l’entreneuse nei locali notturni, l’uomo è un faccendiere spiantato avvolto in un alone di mistero circa la gli anni passati in Turchia. La ragazza cerca un riscatto sociale, è fredda, calcolatrice, risoluta.

Nel corso di un viaggio in treno commette un omicidio. Non se ne conosce il motivo, forse sono più di uno. Gelosia, sete di denaro per vivere al di sopra delle possibilità, nessuna voglia di accontentarsi del poco che la vita gli offre al momento. Non c’è nessun segno di pentimento né di paura per le conseguenze. L’uomo si rifugia come pensionante in casa della famiglia della ragazza, all’insaputa del suo crimine. L’unica donna che lo capisce fino a intuirne il dramma e a seguirlo fino alla fine, è la madre della ragazza, una borghese a cui la vita ha riservato una vita monotona rimasta affascinata dalla figura del giovane uomo che racconta esperienze favoleggianti. Simenon tratteggia non tanto l’ambiente degli anni ’30 quanto i personaggi. Il suo sguardo ce li fa vedere come in una ripresa cinematografica, uno ad uno, con le loro miserie, i loro sogni nascosti, le loro aspirazioni. E’ l’umanità che interessa all’autore, e soprattutto le zone d’ombra nascoste in ognuno.. Nel silenzio, nel senso di estraniamento dalla realtà di Elie, c’è tutta la sua sofferenza. La certezza che non potrà sottrarsi al suo destino mi ha ricordato il personaggio di Meursault ne Lostraniero di Camus. Anche lui uccide per caso, anche lui accetta la condanna senza difendersi, senza reagire. Come Meursault, anche Elie è un uomo apatico, senza mappa e senza coordinate, che si lascerà condurre dalla sorte.