Coriolanus, quest’anno la mia quarta National Theatre production via satellite live in un cinema. La location scelta dalla regista Josie Rourke (anche proprietaria della suddetta location) è un po’ inusuale: un teatro nuovo molto piccolo, il Donmar Theatre, vicino a Covent Garden e originariamente magazzino di banane destinate al food market. Un azzardo, insomma, con un palco minuto e pochissimi posti in platea. Solo un play di grande richiamo potrebbe a rigor di logica attirare le grandi folle, e tra le Roman plays Coriolanus è sicuramente la meno conosciuta, per cui il rischio è molto alto. Ma cosa accade quando a interpretare il title role è, se non proprio un’icona del teatro contemporaneo (anche se come attore è tutt’altro disprezzabile), colui decretato nel 2013 “the sexiest man alive”, Tom Hiddleston? Il pubblico accorre a frotte, ovviamente, e la sala registra il pienone tutte le sere!! (ciò che è accaduto al Coriolanus di Rourke, dunque, probabilmente perché tutti, inclusi i fan della Marvel, reduci dal Loki di Thor, interpretato proprio da Hiddleston, fremevano dal volerlo vedere nei panni di un altro eroe, nonostante fosse del buon vecchio Shakespeare). Al di là della scelta furba (quante orde di ragazzine saranno andate a vedere lo spettacolo solo per contemplare l’innegabile e notevole bellezza di Hiddleston? Nella sala non gremita dove mi trovavo ce n’erano parecchie e ridacchiavano spesso rispondendo imbarazzate/innamorate ai sorrisi e ammiccamenti dell’eroe), secondo me si rivela vincente non tanto nel momento in cui si assiste allo spettacolo, dove, anzi, a volte si è presi dalla disturbante sensazione che Hiddleston, nel dare voce al disprezzo per il popolo che incita Coriolanus a mostrare le ferite di guerra, sembri deridere e parodiare se stesso in quanto sex symbol pur dandosi in pasto al pubblico, come Coriolanus si dà in pasto ai cani della vendetta, ma dopo, una volta ripensato a quanto si è visto. Caius Martius detto Coriolanus è un personaggio sgradevole, un soldato che ha come unici valori “nobili” la violenza e il sangue e come unico legame quello con la madre, anche a costo della propria vita. Un arrogante cocco di mamma Volumnia, deciso a voler comandare perché convinto che dio gliel’abbia concesso per via della propria prowess, una bestia cieca e feroce che pur di non piegarsi alle regole della diplomazia che gli permetterebbero di diventare console e poi forse, chissà, il dittatore che sogna di essere per schiacciare “l’idra” del popolo (per lui ragione dell’incapacità di Roma di prevalere sulle altre tribù presenti in Italia), alla fine preferisce farsi bandire come traditore e rivolgersi al proprio nemico Alfidius, capo dei Volsci da lui sconfitti ai Corioli (da cui il soprannome “Coriolanus”), per rivoltare la propria rabbia contro Roma. Una furia distruttiva, insomma, un folle brutale che non conosce il parlare né l’agire “mildly”. Cosa ci fa uno come Hiddleston, dai tratti regali, eleganti e delicati, a interpretare un simile figuro, probabilmente più adatto a un Ralph Fiennes (che infatti lo interpretò nel 2011 in un film da lui stesso diretto)? Il perché è nell’idea di base delle stage directions decise di Josie Rourke: Coriolanus, tragedia politica in cui lo spazio della public arena e del debate è uno spazio di voci, dove tutti gli attori/politicanti sono sempre presenti sulla scena proprio come voci, dando addosso agli altri, urlando, criticando, banishing chi non la pensi in maniera corretta, ma anche un letterale slaughterhouse, e quindi uno spazio fatto di corpi, o meglio di un corpo, quello di Coriolanus, ora orso brutale che dilania, sbrana e si riempie di sangue altrui e dunque di “trofei” (Hiddleston letteralmente immerso nel sangue fa una certa impressione in effetti, se non altro per il forte contrasto con il suo fisico statuario e l’aria nobile e angelicata da principe/condottiero senza macchia che lo contraddistingue) ora agnello sacrificale, che tutti si eccitano carnalmente, fisicamente, ossessivamente (madre e nemico compresi) a voler vedere nudo, a baciare, a esibire le ferite, intrecciato nella lotta virile, fino a berne il sangue per possederlo fino in fondo, cosa che infatti nella versione di Rourke Alfidius coerentemente fa alla fine, accogliendo estasiato le gocce che stillano dal corpo appeso di Coriolanus quasi come si accoglierebbe una pioggia di liberazione. Coriolanus non è solo una tragedia di extremities (sicuramente una delle parole chiave del dramma) ma è anche un cedere alla rabbia cieca prima e al sacrificio dopo nonché, in sostanza, una conscia celebrazione di cannibalismo (mangio metaforicamente mio figlio, m’immergo e bevo il sangue del mio nemico per renderlo mio per sempre), e cosa c’è di più perverso tra le insidie del rapporto fittizio tra pubblico e star/sex symbol se non il desiderio di cannibalismo, voler ossessivamente vedere il personaggio famoso e desiderarlo fino ad annientarlo? Anche per questo nella versione di Rourke l’omosessualità neanche troppo latente insita nel rapporto che Alfidius ha con Coriolanus viene esplicitata da un bacio: chi, ci sembra dire la regista, avendo davanti the sexiest man alive non desidererebbe dargli un bacio, uomo o donna che sia? E Hiddleston sta al gioco perfettamente, riuscendo a rigettarci contro sia il corpo e l’estremismo di Coriolanus che il suo ingombrante ruolo da star desiderata da tutti per la sua bellezza. Qui è probabilmente il tocco a suo modo geniale di Rourke, nonostante a volte questo dialogare muto con il pubblico in quanto ammiratore o curioso osservatore di Hiddleston tra le pieghe di un dramma folle, brutale e tutt’altro che facile possa risultare troppo cinicamente auto-compiaciuto.