I legami fra spionaggio e letteratura non passano solo per i romanzi sull’argomento, ma anche per le persone fisiche degli scrittori, alcuni dei quali appartengono al mondo dell’intelligence o ne sono comunque coinvolti.

Nell’ottobre 2009, da Città del Messico, le agenzie battono che Gabriel García Márquez era «un agente della propaganda al servizio dell’intelligence cubana» ed avrebbe avuto un ruolo nel traffico d’armi tra l'isola caraibica e il suo Paese, la Colombia. Risulta dagli archivi dei servizi segreti messicani, che tra il 1967 e il 1985 hanno spiato le attività dello scrittore, residente dagli anni ’60 nello stato dell’America centrale.

Un esempio estero di quello che in Italia viene ormai definito “dossieraggio”? Cioè la pratica di pubblicare indiscrezioni eclatanti su personalità pubbliche? Ad avvalorare le esternazioni della DFS, Dirección Federal de Seguridad, l’intelligence di Città del Messico, contribuirebbe quanto ha già scritto Gerald Martin, un critico letterario cui si deve la Vita di Gabriel Garçia Marquez, uscita l’anno scorso nell’edizione italiana da Mondadori. Su uno dei documenti declassificati del servizio segreto messicano si legge: «Oggi 30 aprile 1980, alle 10.43, è arrivato all'aeroporto di Città del Messico un aereo Antonov, di fabbricazione sovietica e proveniente dall’Avana, che, su ordine di Fidel Castro, porterà Garcia Marquez a Cuba per celebrare il primo maggio». L’accusa, poi, diviene più circostanziata. A “Gabo” si imputano connivenze con la guerriglia colombiana del movimento M-19.

Inoltre, da Città del Messico si fa rilevare che «Garcia Marquez ha girato i diritti di Cronaca di una morte annunciata» al governo di Fidel Castro. Solo agente della propaganda? E se lo scrittore avesse rivelato all’Avana i colloqui con i politici europei che frequentava?

        

Gli anni scorsi tornarono nel circuito mediatico le vicende di George Orwell, che informava sui comunisti i servizi di sicurezza inglesi e ne era a sua volta sorvegliato per i suoi trascorsi di sinistra, ricevendo però un nulla osta finale, perché lo si riteneva semplicemente socialdemocratico, non filorusso.

Ma la storia dei rapporti fra letterati e centrali spionistiche tocca addirittura i classici. Il drammaturgo Christopher Marlowe collaborava attivamente con gli apparati segreti della corte elisabettiana. Quasi certamente, la sua morte, avvenuta nel corso di una brutale rissa da taverna, nascondeva invece l’inevitabile eliminazione di un agente ormai troppo addentro ai complotti del potere. Di contiguità con i servizi segreti si parlò per lo stesso William Shakespeare, che nel suo teatro non manca mai di scavare dietro le facciate di corti, famiglie o singoli individui.

Kim Philby
Kim Philby
A Cambridge, negli anni tra le due guerre mondiali, studiarono le menti migliori dell'aristocrazia britannica. Tra cui Kim Philby. Un giovane che lasciava trasparire i traguardi ambiziosi che lo attendevano. Entrato a far parte del MI6, il servizio di spionaggio estero del governo inglese, Philby aggiunge ai requisiti della spia quelli dell'uomo di cultura. Tanto che per un certo periodo sarà il corrispondente da Beirut per il Times. Peccato che, in realtà, lui stesse facendo il doppio gioco dagli inizi della carriera.

I suoi ideali comunisti erano maturati proprio a Cambridge, negli anni universitari, quando Mosca sembrava l'unico baluardo in grado di resistere alla dilagante barbarie nazista. Dopo sospetti che nessuno osava spingere all'estremo, Philby fu definitivamente smascherato nel 1963 e costretto a fuggire dietro la cortina di ferro. Riapparve a Mosca con la medaglia dell'Ordine di Lenin e il grado di generale del KGB.

Tra le fila inglesi, un suo collega non smise mai di considerarlo amico. Era Graham Greene, tra i più raffinati scrittori del Novecento, egli stesso autore di romanzi che elevarono la spy-story ai livelli della grande letteratura. Si ricordino, per tutti, Una pistola in vendita, Quinta colonna, Il terzo uomo, Il nostro agente all'Avana e Il fattore umano. Greene era stato reclutato per l’MI6 dalla sorella Elizabeth e durante la Seconda guerra mondiale venne inviato in Sierra Leone, avendo come supervisore proprio Philby. Malgrado le sue frequenti accuse agli Stati Uniti, lo scrittore seguitò la sua collaborazione con i servizi segreti di Sua Maestà fino alla morte, stando al suo biografo ufficiale Norman Sherry.

             

Nella Berlino divisa dal Muro si fece le ossa David Cornwell, un funzionario britannico del Foreign Office. Più tardi cominciò a pubblicare romanzi con lo pseudonimo di John le Carré. Il realismo dei suoi libri deriva dall’esperienza.

Di spy-stories ne ha scritte il consigliere di Nixon E. Howard Hunt, dai trascorsi nella CIA, ammessi con un’autobiografia dal titolo smaccato: American Spy. Una strada intrapresa anche da Stella Rimington, prima donna a dirigere l’MI5, negli anni ’90, oggi autrice apprezzatissima e competente di romanzi di spionaggio.

William Somerset Maugham
William Somerset Maugham
Visti gli esempi riportati, ha ragione lo studioso Gabriel Veraldi a ravvedere la preminenza inglese nella spy-story, che comporta “un quasi monopolio anglo-americano a maggioranza britannica”. William Somerset Maugham è l'autore di Ashenden. Protagonista uno scrittore che viaggia nell’Europa della Prima guerra mondiale per svolgere incarichi non meglio specificati di origine governativa. Questo porta Ashenden a contatto con ladri, truffatori, ricattatori e donnine allegre. Il campionario ricorrente dello spionaggio. La competenza e il realismo di Maugham su tali temi ha del sorprendente perfino in una penna geniale come la sua. In realtà, le avventure di Ashenden si ispirano proprio a quelle vissute dallo scrittore durante il suo periodo di arruolamento nei ranghi del Secret Service britannico.

Prima di Maugham, un diplomatico di carriera pensò bene di approfittare del patrimonio di conoscenze accumulate al Ministero degli Esteri britannico, per trarne dei libri destinati che avrebbero molto influito sul romanzo di spionaggio contemporaneo. Era John Buchan, autore de I 39 gradini, trasposto più volte al cinema, anche da Alfred Hichtcock. Il protagonista è Richard Hannay, ingegnere minerario in Sudafrica, che tornando a Londra scopre un complotto. Lo si ritroverà negli altri romanzi di Buchan, che anticipava gli sviluppi internazionali mentre l'Europa correva verso la catastrofe innescata dall’attentato di Sarajevo.